I programmi televisivi della domenica pomeriggio sono così seguiti dal pubblico che quando in qualcuna di loro viene proposto qualcosa di originale tutta l’Italia ne viene a conoscenza. Se ne parla in famiglia, nei bar, nelle sale d’attesa dei medici e in quelli degli avvocati. Da qualche tempo, forse alcuni anni, questo tipo di impatto si era fatto più tenue e meno frequente. Segno che gli autori di tali programmi non inventano niente di nuovo o di memorabile. Quest’anno il programma di intrattenimento domenicale condotto da Pippo Baudo sembra abbia fatto il “colpaccio”. Ne ho sentito parlare da persone e in luoghi assai diversi tra loro. Qual è la novità? La poesia. C’è uno spazio dedicato alla poesia. Gli spettatori (tutti, non solo gli allitterati) sono invitati a inviarne una scritta da loro e anche a votare democraticamente (una telefonata - un voto) quella che preferiscono. Addirittura c’è un sostanzioso premio (ben cinquemila euro) per chi vince la gara settimanale. Due considerazioni facili facili. 1) Pippo Baudo e gli autori della trasmissione con uno sforzo economico e organizzativo minimo hanno realizzato un segmento di programma di notevole successo. E questa è genialità. 2) Con la loro trovata hanno fatto “scoprire” la poesia, la bellezza della parola poetica, il piacere delicato e sofisticato di scrivere e, inevitabilmente, la curiosità di leggere la “grande poesia” a milioni e milioni di persone.
“Il venerdì di Repubblica” è un magazine con un numero di lettori infinitamente più piccolo di quello degli spettatori di “Domenica in” ma certamente non trascurabile. Ebbene, nell’ultimo numero, quello di venerdì 24 ottobre, a pagina 105, pubblica un articolo che parla, guarda un po’, di poesia. Informa che una cantautrice siciliana che vive in Germania, Etta Scollo, ha inciso e pubblicato un disco che sta ottenendo un grande successo. Le canzoni che lo compongono sono i testi delle poesie dei poeti arabi siciliani vissuti attorno all’anno mille e musicate dalla stessa Etta ed il suo titolo è dolcissimo e poetico a sua volta: “Il fiore splendente”. Franco Battiato, che è da tutti riconosciuto come uno che di musica e di poesia qualcosa capisce, non solo ha manifestato un grande entusiasmo per la musicista ed il suo disco, ma ha perfino cantato un brano (Corro con te) insieme a lei.
E a questo punto l’accelerazione dei battiti del mio cuore si è fatta preoccupante.
Per due ragioni.
Prima: nel nostro piccolo (ma proprio piccolissimo) la poesia aperta a tutti, offerta a tutti, la poesia come gioco e invenzione, come piacere e divertimento, senza discriminazioni di titoli o di bravura, non la proponiamo da dodici anni con il San Valentino a Lentini? Seconda: ma la poesia medievale (Iacopo da Lentini, San Francesco d’Assisi, Iacopone da Todi, Dante) non l’abbiamo vestita di musica anche a Lentini (nel 2000, assessore alla cultura Renato Marino, tra i lettori il sottoscritto, Tommaso Cimino, Marizio Caffi, Salvo Cultrera e altri ancora)?
Oltre all’evidente e non dissimulabile mia personale vanità (lo confesso), mi hanno spinto a scrivere questo articolo due riflessioni più serie. Una è che scoprire che a Lentini talvolta riusciamo a fare cose un po’ originali e non solo copiato, dovrebbe dare un po’ di fiducia in noi stessi e incoraggiarci a osare qualcosina di più e a compiangerci un po’ di meno. L’altra è quella di riflettere che questa è la città di Iacopo: giocando con intelligenza la carta di Iacopo e della poesia anche Lentini potrebbe ottenere i successi che oggi arridono a Pippo Baudo e a Etta Scollo.
sabato 25 ottobre 2008
sabato 18 ottobre 2008
Lettera a perta ad Aldo Failla
Caro Aldo, il tuo articolo sulla cerimonia di intestazione di un’aula del Tribunale di Lentini a Giovanni Falcone ha lasciato l’amaro in bocca. Con dolore, infatti, facevi rilevare la scarsa presenza di politici lentinesi e della provincia.
Forse non tutti hanno colto che ricordando Giovanni Falcone non si ricorda “solo” un eroe che ha immolato la vita consapevolmente per il bene dell’intera società siciliana e italiana, e neanche “solo” il magistrato intelligente e tenace che riuscì a trovare la chiave per aprire la porta ai segreti che rendevano inattaccabile la mafia siciliana. Forse molti credevano che si stesse parlando di avvenimenti ormai passati e noti a tutti e, dunque, di una semplice cerimonia commemorativa. Sarebbe bastato appena uno dei motivi che ho citato per sollecitare una partecipazione più massiccia del ceto politico. Tuttavia proprio in questi giorni si avverte più acuto il bisogno parlare e fare parlare di mafia, dei Falcone, dei Borsellino, dei Livatino, degli Impastato. Sono questi i giorni della strage degli immigrati da parte dei Casalesi e delle reiterate minacce di morte per Saviano; sono i giorni in cui due ministri dibattono se questa guerra debba chiamarsi “di mafia” o “civile”, concordando, però, sul fatto che di guerra si tratta. E che si combatte con le armi. All’interno del nostro Paese.
In giorni come questi ogni occasione dovrebbe essere utilizzata per parlare, ricordare, imparare qualcosa di più. Sono giorni in cui i politici, le personalità, gli uomini impegnati che su questo versante hanno sempre fatto il proprio dovere dovrebbero inventarsi qualcos’altro da fare. E quelli che il proprio dovere non l’hanno fatto dovrebbero recuperare il tempo perduto, pagare il debito. Lentini, l’intera città e il suo ceto politico l’hanno fatto il proprio dovere? Io credo di no. Oggi, sedici anni dopo la morte, tu e il Kiwanis avete sollecitato l’intestazione dell’Aula a Giovanni Falcone; un mese dopo l’attentato Luigi Boggio e la CGIL al termine di una manifestazione con poche decine di persone piantarono un simbolico carrubo alla villa Gorgia. Iniziative, dibattiti, assemblee, discussioni ne sono stati fatti tanti, anche di alto livello e anche con personalità di prestigio (con Armando Rossitto, don Ciotti, Rita Borsellino, ecc.) Ma gli unici segni leggibili da chiunque e in qualunque momento sono rimasti l’Aula e il carrubo. E basta.
Lentini è una delle pochissime città siciliane (forse il 10%) che non ha una via intestata ad una vittima della mafia, ad un eroe della resistenza antimafiosa. Sarebbe ora di recuperare il tempo perduto ed intestare qualche via e qualche piazza a Falcone, Borsellino, Chinnici, Livatino, ed anche a Peppino Impastato e Libero Grassi, Giuseppe Fava.
Sull’importanza della nomastica penso non ci sia bisogno di spendere molte parole. Basta, forse, ricordare il livello dello scontro sul nome dell’aeroporto di Comiso.
Tu, Luigi Boggio e Armando Rossitto avete i titoli e l’autorità morale per avviare una forte iniziativa in tale direzione. Ed essendo Armando vice sindaco, qualche risultato si potrebbe raggiungere.
Forse non tutti hanno colto che ricordando Giovanni Falcone non si ricorda “solo” un eroe che ha immolato la vita consapevolmente per il bene dell’intera società siciliana e italiana, e neanche “solo” il magistrato intelligente e tenace che riuscì a trovare la chiave per aprire la porta ai segreti che rendevano inattaccabile la mafia siciliana. Forse molti credevano che si stesse parlando di avvenimenti ormai passati e noti a tutti e, dunque, di una semplice cerimonia commemorativa. Sarebbe bastato appena uno dei motivi che ho citato per sollecitare una partecipazione più massiccia del ceto politico. Tuttavia proprio in questi giorni si avverte più acuto il bisogno parlare e fare parlare di mafia, dei Falcone, dei Borsellino, dei Livatino, degli Impastato. Sono questi i giorni della strage degli immigrati da parte dei Casalesi e delle reiterate minacce di morte per Saviano; sono i giorni in cui due ministri dibattono se questa guerra debba chiamarsi “di mafia” o “civile”, concordando, però, sul fatto che di guerra si tratta. E che si combatte con le armi. All’interno del nostro Paese.
In giorni come questi ogni occasione dovrebbe essere utilizzata per parlare, ricordare, imparare qualcosa di più. Sono giorni in cui i politici, le personalità, gli uomini impegnati che su questo versante hanno sempre fatto il proprio dovere dovrebbero inventarsi qualcos’altro da fare. E quelli che il proprio dovere non l’hanno fatto dovrebbero recuperare il tempo perduto, pagare il debito. Lentini, l’intera città e il suo ceto politico l’hanno fatto il proprio dovere? Io credo di no. Oggi, sedici anni dopo la morte, tu e il Kiwanis avete sollecitato l’intestazione dell’Aula a Giovanni Falcone; un mese dopo l’attentato Luigi Boggio e la CGIL al termine di una manifestazione con poche decine di persone piantarono un simbolico carrubo alla villa Gorgia. Iniziative, dibattiti, assemblee, discussioni ne sono stati fatti tanti, anche di alto livello e anche con personalità di prestigio (con Armando Rossitto, don Ciotti, Rita Borsellino, ecc.) Ma gli unici segni leggibili da chiunque e in qualunque momento sono rimasti l’Aula e il carrubo. E basta.
Lentini è una delle pochissime città siciliane (forse il 10%) che non ha una via intestata ad una vittima della mafia, ad un eroe della resistenza antimafiosa. Sarebbe ora di recuperare il tempo perduto ed intestare qualche via e qualche piazza a Falcone, Borsellino, Chinnici, Livatino, ed anche a Peppino Impastato e Libero Grassi, Giuseppe Fava.
Sull’importanza della nomastica penso non ci sia bisogno di spendere molte parole. Basta, forse, ricordare il livello dello scontro sul nome dell’aeroporto di Comiso.
Tu, Luigi Boggio e Armando Rossitto avete i titoli e l’autorità morale per avviare una forte iniziativa in tale direzione. Ed essendo Armando vice sindaco, qualche risultato si potrebbe raggiungere.
venerdì 10 ottobre 2008
Un grande lavoratore
C’è a Lentini una carta di lutto che comunica alla cittadinanza la scoparsa di tl Filadeflo Insolia, di anni 64. Non so chi sia, ma è possibile che lo conosca. Sarebbe facile indagare e ho in programma di farlo. Ma ora mi piace dire qualcosa di lui proprio in quanto sconosciuto.
Nella carta di lutto, proprio sotto il nome, i suoi familiari hanno fatto scrivere, in neretto e maiuscolo: GRANDE LAVORATORE.
Trovo la cosa di bellezza commovente. I familiari del defunto hanno ritenuto di assegnare al loro caro un titolo. E questo titolo è “grande lavoratore”.
Sicuramente egli in vita sarà stato un vero, grande, serio, affidabile lavoratore. Per fortuna ce ne sono stati, ce ne sono al mondo e ce ne saranno ancora tanti altri e tuttavia, anche se egli è in copiosa compagnia il suo titolo di “grande lavoratore” non perde niente. Ma c’è qualcosa di straordinariamente raro e importante: il fatto che i suoi familiari (forse su richiesta dello stesso Insolia) abbiano deciso di dichiararlo con tutta la solennità insita in un manifesto che ne annuncia la morte, nell’ultimo e più importante annuncio che lo riguarda, quasi a volere rendere sacra e definitiva quella dichiarazione. Una dichiarazione che attiene al rapporto di quell’uomo con il lavoro, evidentemente visto e affrontato come impegno dalle implicazioni sociali, visto che è alla società che viene resa la dichiarazione. Come dire: Filadelfo Insolia ha lavorato consapevole che il lavoro di ognuno di noi non serve solo a noi stessi. E ha lavorato con grande impegno, serietà e bravura anche per tutti voi che leggete.
Questa idea del lavoro mi sembra vera e straordinariamente bella e sono sicuro che Filadelfo Insolia nella sua vita è stato davvero un grande lavoratore. Porterò un fiore sulla sua tomba e ringrazio la sua famiglia per questa splendida lezione.
Nella carta di lutto, proprio sotto il nome, i suoi familiari hanno fatto scrivere, in neretto e maiuscolo: GRANDE LAVORATORE.
Trovo la cosa di bellezza commovente. I familiari del defunto hanno ritenuto di assegnare al loro caro un titolo. E questo titolo è “grande lavoratore”.
Sicuramente egli in vita sarà stato un vero, grande, serio, affidabile lavoratore. Per fortuna ce ne sono stati, ce ne sono al mondo e ce ne saranno ancora tanti altri e tuttavia, anche se egli è in copiosa compagnia il suo titolo di “grande lavoratore” non perde niente. Ma c’è qualcosa di straordinariamente raro e importante: il fatto che i suoi familiari (forse su richiesta dello stesso Insolia) abbiano deciso di dichiararlo con tutta la solennità insita in un manifesto che ne annuncia la morte, nell’ultimo e più importante annuncio che lo riguarda, quasi a volere rendere sacra e definitiva quella dichiarazione. Una dichiarazione che attiene al rapporto di quell’uomo con il lavoro, evidentemente visto e affrontato come impegno dalle implicazioni sociali, visto che è alla società che viene resa la dichiarazione. Come dire: Filadelfo Insolia ha lavorato consapevole che il lavoro di ognuno di noi non serve solo a noi stessi. E ha lavorato con grande impegno, serietà e bravura anche per tutti voi che leggete.
Questa idea del lavoro mi sembra vera e straordinariamente bella e sono sicuro che Filadelfo Insolia nella sua vita è stato davvero un grande lavoratore. Porterò un fiore sulla sua tomba e ringrazio la sua famiglia per questa splendida lezione.
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