martedì 24 luglio 2012

Il ritorno dei Talebani


  
Dall’Afghanistan giungono notizie d’altri tempi: gli studenti che a lungo hanno governato quel Paese e che non hanno mai smesso di esercitare una forte influenza sulla popolazione, in barba alla armata planetaria che occupa quel territorio, sono tornati agli onori della cronaca. Per impedire alle ragazze di andare a scuola,  il che potrebbe presupporre il pericolo di avere donne autonome ed emancipate, hanno inaugurato una nuova strategia: bruciano o fanno esplodere le scuole che ospitano, appunto, studentesse.
Le famiglie conoscono bene i Talebani e sanno che questi avvertimenti vanno presi sul serio. Le ragazze potrebbero essere coinvolte in roghi o esplosioni non molto consigliate per la loro salute. Ed ecco che con relativo spreco di energie, l’obbiettivo è stato pressoché raggiunto. Le ragazze a casa. Continuino a servire l’uomo, a lavorare, a pensare alla sopravvivenza della famiglia perché l’uomo ha cose più importanti da fare, come studiare il Corano.
Per loro le donne sono razza inferiore, non devono mettersi grilli per la testa, non devono uscire fuori dal seminato. Le lasciano in vita solo perché utili, come le mucche, le pecore, le capre.
Eppure in questi stessi giorni è stato pubblicato uno studio secondo il quale il quoziente di intelligenza delle donne è mediamente più alto di quello degli uomini.
Noi siciliani a questo punto non siamo mai arrivati. Ma fino cinquant’anni, sessant’anni fa non eravamo lontanissimi.
Scuola? Bastava la quinta elementare. I mariti? Scelti da papà. Lavoro? Solo quello domestico, al servizio dell’uomo. Diritti? Ma vai a lavare i piatti!
Ma quei tempi sono passati, per fortuna. Ormai le donne possono studiare, lavorare (un po’ meno), sposarsi liberamente, perfino convivere con chi desiderano. C’è solo un piccolo retaggio di talebanismo, però: debbono sempre ricordarsi chi comanda. Altrimenti muoiono. Non passa settimana senza notizia di una donna uccisa dal marito o dal compagno perché voleva lasciarlo.
Un’altra forma di talebanismo, fino a questo momento non violento, forse perché non mette in discussione la posizione dominante del maschio è quella contro i cittadini omosessuali.
Questo talebanismo è ipocrita, mellifluo, strisciante.
La maggior parte dei talebani omofobi non affronta il problema direttamente: forse non ha forti argomenti o non vuole apparire retrograda. Allora affronta la questione per via indiretta: sono  feroci e spietati, ma tengono molto ad apparire civilissimi e tolleranti.
Non se la prendono con gli omosessuali: non sarebbe fine.
Né parlano come uomini di chiesa, appannerebbero la loro immagine di rivoluzionari, a cui tengono molto.
Loro si scagliano con veemenza rabbiosa contro quei politici che ”perdono tempo” a trattare per esempio, del matrimonio tra omosessuali, una richiesta che una cospicua parte di cittadini italiani chiede da anni di affrontare.
Perché il problema è proprio qua: se un problema viene posto da un omosessuale non va neppure considerato.
Non si rendono conto, i poveretti, che la loro ottusità e le loro paura tendono a ghettizzare una parte della popolazione e a ridurre i loro diritti.
Forse è solo un problema di stupidità. Ma anche un problema di stupidità se ha campo libero diventa invasivo e toglie spazio. Come certa mala erba.

mercoledì 18 luglio 2012

La splendida Salvina Gagliardo




È tempo di vacanze. C’è chi va al mare, chi in montagna, chi cerca bellezze ambientali e chi vita mondana. La maggior parte rimane in casa, alcuni serenamente, altri col groppo alla gola.

Io ho conosciuto una giovane professionista che le vacanze le fa strane, è giovane, libera, fa il chirurgo all’ospedale di Lentini (è nell’equipe del dottor Trombatore) e le vacanze strane può permettersele.
Si chiama Salvina ed ogni anno per un mese va in Africa.
Ma non a fare safari o nelle spiagge di Sharm El Sheik.
Va in Kenia, in un villaggio sperduto nella giungla che si chiama Chaaria e si trova a 500 chilometri da Nairobi.
Qua c’è una piccola struttura ospedaliera creata alcuni anni fa da un frate italiano dell’ordine del Cottolengo, padre Beppe. Una struttura “inventata”, carente di molte cose, dagli strumenti all’igiene, dal filo per la sutura agli anestetici, dai medicinali al personale specializzato.
Eppure è il “posto dei miracoli” perché è l’unico ospedale in un’ area vastissima.
C’è gente che fa 4 o 5 giorni di cammino a piedi con un bambino malato in braccio o con la febbre altissima o con una grave ferita per sperare di essere salvata o di salvare il bambino o la persona cara. Quasi tutti hanno l’HIV.
Salvina trascorre qua il suo periodo di vacanza.
Ma non per riposarsi.
Per lavorare.
Ancora da chirurgo, ma a gratis, stavolta.
E in condizioni impossibili.
Per un mese combatte contro tutti gli insetti del pianeta Terra riuniti in convegno permanente a Chaaria, contro le paure, la fatica tremenda, il caldo umido, il dubbio di avere sbagliato qualcosa.
Ci va da quattro anni, da quando si è specializzata.
L’anno prossimo forse andrà in Madagascar o in qualche altro luogo dove si sta peggio di Chaaria.

Salvina è giovane, professionista, single. potrebbe trascorrere le vacanze in mille modi. Potrebbe lamentarsi perché lavora troppo, perché le vacanze sono brevi. Oppure conservare il suo splendido sorriso solo per una persona o per una ristretta cerchia di amici.
Invece no, va in Kenya o in Madagascar, a dedicare il suo tempo, le energie, il sorriso a chi sta peggio.
E salva vite umane, mettendo a rischio la proria.
Sempre con il sorriso, senza credersi superiore perché di sinistra o di destra. Credendosi solo nel giusto perché lotta per gli altri.
Un giusto aperto a tutti, non esclusivo, non elitario.
Qualcosa che ha molto degli insegnamenti di Gesù Cristo, di madre Teresa, di San Francesco.

Io non mi permetto di dire ai ragazzi e alle ragazze della sua età di seguire il suo esempio. Ci vuole una forza che non tutti hanno. Ma è importante sapere e tenere presente che la vita non è fatta di Grande Fratello, di olgettine, di discoteche o shopping sfrenato.
Si può scegliere anche altro: l’amore per il prossimo, la generosità, il rispetto per la vita altrui e per quella propria.
Si, l’amore per se stessi, perché queste cose non servono solo ai bambini sfortunati dell’Africa ma anche a noi stessi, per dare un significato importante alla nostra vita.
La nobiltà si raggiunge attraverso le azioni nobili, alte.
E la vita, questa congiuntura straordinaria e irripetibile, non può essere sprecata solo inseguendo piccoli obbiettivi personali.

Io ringrazio Salvina Gagliardo, che abita a Lentini da un anno e mezzo e viene da Aci S. Antonio, perché con la sua vita mi ha aperto il cuore, il cervello, la coscienza.
Con la sua vita ci aiuta a misurare meglio i nostri obbiettivi a capire per cosa vale la pena lottare, combattere, gioire o piangere.
E ringrazio Pippo Cardello per avermela fatta conoscere e per avere mandato, a nome di tutta Lentini, anche a nome di chi, come me, non ha fatto niente, 1.500 euro a Chaaria, all’Ospedale di padre Beppe e di Salvina.
E prego il Sindaco di fare un grande regalo a Lentini. Accogliamo tra noi, con la cittadinanza onoraria, Salvina Gagliardo, da cui abbiamo tanto da imparare.
E già che ci sono, rivolgo anche a voi che mi ascoltate o mi leggete una preghiera: sostenete la proposta di fare diventare Salvina un poco lentinese.
Una società migliora se segue buoni esempi.
Sono certo che le chiese, le associazioni di volontariato, le associazioni culturali, i club service, le donne e gli uomini di cultura e dai sentimenti profondi saranno d’accordo con me.

giovedì 12 luglio 2012

Mario Strano


Con Mario Strano se ne va un pezzo molto significativo di “politica d’altri tempi”.
Era nato a Lentini il 1° gennaio del 1926. La sua famiglia proveniva da Aci Catena (Orazio Strano, il cantastorie, suo zio)
Cominciò a lavorare da “panararo” prima e da bracciante poi.
Il suo innato e fortissimo senso della giustizia lo portò da giovanissimo a partecipare alle lotte bracciantili e a frequentare la Camera del Lavoro, di cui divenne presto dirigente.
Contemporaneamente militava anche nel Partito Comunista, dove era considerato giovane su cui puntare. Per questa ragione il suo partito a fare esperienza in Emilia Romagna. Qui conobbe da vicino gli scioperi a rovescio, che i lavoratori disoccupati praticavano nei confronti dello Stato, sistemando strade interpoderali, fossi di scolo, canali autonomamente e senza certezze di remunerazione.
Tornato a Lentini divenne segretario della Camera del Lavoro in un periodo di tremenda crisi occupazionale. Richiamandosi al Decreto Gullo sull’imponibile di manodopera nelle campagne e rielaborando l’esperienza emiliana avviò una campagna di sciopero a rovescio in salsa lentinese: centinaia e centinaia di braccianti andavano a zappare, senza l’autorizzazione dei proprietari, gli agrumeti che ne avevano bisogno ma erano lasciati in stato di trascuratezza. A volte le paghe arrivarono, altre volte no. Nell’ottobre del 1948 scoppiò il caso che rimase nella storia e che consacrò Mario Strano come dirigente coraggioso e convincente: in contrada Vaddara, in una vasta proprietà del Barone Beneventano giunsero nove carabinieri per cacciare i lavoratori abusivi. Senza tanti preamboli né validi argomenti lo arrestarono mentre intimavano agli altri di lasciare il fondo. Ma i suoi compagni tentarono di liberarlo. Da ciò nacque uno scontro epico tra lavoratori e forze dell’ordine. I carabinieri furono disarmati, dispersi per le campgna ed alcuni anche feriti.
Agli occhi dei lavoratori quella era stata una psedizione punitiva richiesta non dalle autorità ma personalmente dal Barone. E in realtà non era mai accaduto, in decine di altri casi che le forzee dell’ordine procedessero con tanta decisione all’arresto di un sindacalista. Qualche mese dopo furono processati 220 lavoratori, molti dei quali furono condannati.
Mario Strano Rimase in carcere per 14 mesi in attesa di un’accusa, senza potere incontrare un avvocato. Quando ci fu il grande processo fu assolto per non aver commesso alcun reato. Nessuno gli chiese mai scusa né lo risarcì per i 14 mesi vissuti in galera. Era chiaro il tentativo di intimidire sindacati e lavoratori. Ma egli con grande sangue freddo riuscì a trasformare il carcere in una occasione per studiare, leggere, approfondire. E dopo i 14 mesi di galera, anzicché perdere tempo in lamentele e vittimismi, in cause e richieste di risarcimenti, si ripresentò sul fronte sindacale e politico più preparato e determinato di prima.
Tornò a dirigere la Camera del Lavoro, poi fu candidato alle elezioni regionali e venne eletto Deputato con una travolgente affermazione personale.
Successivamente fu chiamato a dirigere la Lega Nazionale delle Cooperative, l’Alleanza Contadina, l’Associazione Provinciale dei Produttori Agrumicoli e Ortofrutticoli.
Dovunque è andato ha sempre lasciato un forte esempio di trasparenza, onestà, disinteresse e straordinario impegno nel lavoro.
L’ultima volta che lo vidi, tre anni fa, mi colpì la sua lucidità, la sua capacità di collegare fatti persone ed episodi e di capire connessioni e conseguenze e lo straordinario numero di libri che sbucavano dai posti più impensati.
Molti politici più giovani non conoscono né la storia del movimento bracciantile a Lentini né il valore di Mario Strano, né la sua cultura, ma chi non ha mai scambiato l’estremo disinteresse per dabbenaggine lo ricorda come un Maestro.
Da parte mia spero di coinvolgere alcun amici e compagni per organizzare un incontro per ricordarlo degnamente e solennemente.





L’atomica delle parole




È tornata di moda una di quelle espressioni mitiche, quelle che entrano subito nella mente e nella fantasia, quelle che non possono essere messe in discussine e che chiunque può pronunciare sicuro di trovarsi in grande compagnia, quelle espressioni definitive e a cui non si può replicare, quelle espressioni che appena pronunciate prosciugano e oscurano tutto il resto. Sono espressioni assolute: non c’è bisogno di aggiungere altro. Sono condanne definitive e senza appello. E poco importa se non sono sostenute da niente.
Questa espressione è MACELLERIA SOCIALE.
       Basta saperla pronunciare con il tono giusto e una certa espressione del volto e a chi la pronuncia nessuno può obbiettare niente.
Chi l’ha imparata e la ripete dove ci sono almeno due altre persone sa di avere un salvacondotto: quelle due paroline condannano e lui, il giudice, è esentato dall’obbligo di sapere, di conoscere, perfino di capire. Di portare prove neanche a parlarne.
Sicuramente è giusta, perché l’ha detta la Camusso, che è segretario della CGIL e l’ha detta Squinzi, che è presidente di Confindustria.
Una specie di compromesso retorico di cui c’era un gran bisogno.
Operai e imprenditori uniti nella lotta per raggiungere un obbiettivo storico: cacciare Mario Monti.
Mario Monti, scusate se lo ricordo, è il capo di un governo nominato per dichiarata incapacità dei partiti italiani di governare.
Quando governavano un paio di questi partiti, quelli che hanno contribuito a portare l’Italia al disastro e che poi hanno chiamato Monti per spegnere l’incendio che loro avevano appiccato, la Camusso e Squinzi, che allora non erano alla testa delle rispettive organizzazioni, non pronunciarono mai frasi di simile forza, ma soprattutto non ravvisarono il bisogno di questa grande alleanza tra operai e padronato. Ora si. Anche perché adesso il trofeo, la testa del nemico, si può conquistare facilmente, non avendo Monti un partito che lo difenda.
Ma torniamo all’espressione atomica. Poiché, come dicevo prima, oscura, cancella, annulla ogni altro avvenimento, non si parla più, tanto per dirne una, del dimezzamento delle province e della cancellazione di oltre 3.000 enti inutili.
E siccome Monti è un macellaio sociale, non conta che abbia avviato qualcosa che tutti, compresa la CGIL, compresa la Confindustria, speravano da decenni che si avviasse: la drastica riduzione delle province e la soppressione degli enti inutili.
Le Province sappiamo tutti cosa sono, cosa sono state e cosa sono diventate. Forse non tutti sappiamo quanto costano e quanto siano utili ai partiti per collocare loro uomini e clienti. Ma degli Enti inutili, della cui auspicabile soppressione si parlava (e come ne parlava la CGIL!) da oltre quarant’anni, forse sappiamo troppo poco. Non sarei in grado di approfondire l’argomento né potrebbe bastare lo spazio che ho a disposizione. Mi limito solo a ricordare che ognuno di essi ha una sede, almeno un’auto e un autista, un  presidente, almeno quattro consiglieri, direttori, funzionari, impiegati, addetti alle pulizie, telefoni fissi e mobili. Costi spaventosi per fare cose, appunto inutili, attività che potrebbero benissimo essere svolte da altri enti, tipo comuni, province o Regioni. Il personale degli enti inutili non è scelto per concorso ma direttamente dai partiti, in proporzione alla loro forza elettorale, per mantenere le loro strutture. Insomma un’altra forma ancora più subdola, di finanziamento pubblico.
Confesso che non ho capito bene cos’è che quella notte è stato deciso in direzione di una macellazione sociale indiscriminata (ma quanto è brutta questa espressione). Sulla stessa sanità, per esempio, in momenti più sereni molti, anche la stessa CGIL ha denunciato gli sprechi, gli appalti senza trasparenza (nessuno ricorda più i casi Tarantini e di quell’assessore alla sanità della regione Puglia di cui non ricordo il nome?).
Ma ho capito benissimo che quella notte si è cominciato a mettere in discussione una gigantesca mangiatoia alimentata con i nostri soldi.
Ma quella orribile, falsa, demagogica espressione ha fatto diventare tutto grigio.
Alla signora Camusso rimprovero di averci tolto il piacere di festeggiare un momento atteso da decenni. La sua totale cieca opposizione (che va ben oltre la difesa dei diritti dei lavoratori) non prevede un po’ di attenzione per qualche semino da cui potrebbe nascere qualcosa di buono.
Io spero che prima di Monti si ritiri a vita privata la signora Camusso (di Squinzi non parlo perché con il mio mondo non ha niente a che vedere)

martedì 3 luglio 2012

Parliamo di calcio?



Siamo a luglio, c’è molto caldo e non sono ancora trascorsi due giorni dalla finale di campionati europei di calcio.
Tutto invoglia a parlare un po’ di calcio.
E poiché non appartengo alla categoria degli snobisti, né di quelli che dovunque vedono l’oppio dei popoli parlerò, se permettete, di calcio da appassionato (eufemismo per dire da competente senza correre il rischio di passare per sbruffone).
La prima cosa da dire è che sono contento di come sono andate le cose. Un secondo posto dopo una squadra di extraterrestri può considerarsi grande risultato.
Se consideriamo le condizioni da cui siamo partiti (scandalo scommesse, il terremoto che, oltre allo shock che causò, impedì perfino di disputare una delle due amichevoli di prova programmate, il trauma dello 0-3 con la Russia) e che uno dei perni della squadra, Cassano, aveva subito un’operazione al cuore pochi mesi fa ed ancora, durante il Campionato, non aveva del tutto recuperato la forma fisica, cedo che la conquista del diritto di disputare la finale sia da considerarsi un traguardo inaspettato.
Inoltre, accanto a delle splendide conferme (Pirlo, Buffon, Barzagli, Cassano) abbiamo avuto la consacrazione di alcuni elementi su cui costruire qualcosa di importante per il futuro. Mi riferisco a Prandelli e Balotelli in primo luogo.
Insomma, mi azzardo a dire che tutto è andato per il meglio.
Adeso molti criticano Prandelli perché avrebbe sbagliato la formazione. Anch’io critico Prandelli, ma per motivi opposti: Lo critico perché anche lui discute di queste bazzecole e non della questione vera. Gli Spagnoli sono tutti bravissimi e penso che avrebbero vinto anche a parità di condizioni di forma, di infortunati e di errori di formazione.  Ma la questione vera è che hanno un sistema di gioco efficacissimo, collaudato, intelligente e, anche se ormai vecchio di sei-sette anni, ancora non decifrato da nessun altro allenatore al mondo. Pensate a quanto hanno vinto la Nazionale spagnola e i Barcellona che pratica lo stesso gioco. E non è che ogni volta hanno trovato Prandelli che sbagliava formazione, Certo, anche loro ogni tanto perdono, ma la regola è che vincono.
Loro hanno portato alla perfezione il meglio di tre sistemi di gioco dell’ultimo mezzo secolo: il “movimiento” di Heriberto Herrera del ‘65-66, il “calcio totale” dell’Olanda di Cruif, Kroll, Neeskens, Resembrink degli anni ’70, e il gioco del Milan e ella Roma di Liedholm deglianni ‘80.
Il loro sistema sia sul possesso di palla, sulla tecnica e la preparazione atletica e sul controllo del territorio. L’uomo ha la palla non la lancia verso un compagno con l’idea della finalizzazione immediata ma la manda nello spazio vuoto più vicino; i suoi compagni corrono sempre verso gli spazi vuoti sanno che quelli sono i luoghi dell’appuntamento con la palla. Prima o poi una di queste mattonelle sarà quella giusta per tirare in porta.
Loro hanno un piano in testa e le direzioni del pallone non sono prevedibili, noi abbiamo l’abitudine di controllare uomini e palloni secondo la direzione porta-porta. Loro seguono una mappa segreta che disegnano durante lo volgimento della partita.
Per batterli bisognerà inventare un altro sistema di gioco più efficace e praticarlo per anni oppure sperare che i calciatori che per sopraggiunti limiti di età abbandoneranno la nazionale non troveranno sostituti adeguati.
Se può farci piacere, negli ultimi anni la squadra di club che segue questo credo e che fornisce il maggior numero di giocatori a questa Spagna, il Barcellona, è stata fermata dall’Inter di Mourino e dal Chelsea di Di Matteo: una squadra italiana guidata da un portoghese ed una inglese guidata da un italiano. In comune avevano il gioco, il gioco cosiddetto all’italiana: un portiere, nove difensori e un attaccante.
Come gioco non è divertente, ma neanche perdere lo è.
Io spero si inventi qualcosa di nuovo, ma anche contrastare e perfino battere extraterrestri sarebbe qualcosa di nuovo.