Nel ’66 Lentini non era una città povera e sonnolenta. Anzi, rispetto al resto della Sicilia, possiamo dire che a lentini si stava bene.
Come scuole superiori c’erano il Liceo Classico Gorgia e l’Istituto Tecnico di Ragioneria e Geometri. In quest’anno ad essi si aggiunse l’Istituto Magistrale Parificato. Per frequentarlo bisognava pagare una robusta retta mensile, eppure ben presto fece il pieno di studenti. Le ragioni? Tante. Ma tra queste c’era certamente la guida forte, originale, fantasiosa e incisiva del giovanissimo preside Gianni Giuffré.
L’innovazione più importante che egli apportò nel magistrale e nell’intero mondo scolastico di Lentini fu la costituzione di una compagnia teatrale “d’Istituto”.
E fu innovazione anche nell’ambito teatrale lentinese, che a sua volta vantava buone tradizioni e personaggi di spicco, in primis Carlo Lo Presti: nessuno aveva mai osato fare teatro con mezzi diversi da quelli raccattati nelle soffitte delle famiglie dei teatranti.
Giuffrè ebbe (e insegnò) l’audacia, l’ambizione, la sfrontatezza di fare teatro importante e sontuoso con i modi, lo stile e i mezzi del teatro professionistico. Curava le scene, la dizione, i costumi, i movimenti, le musiche come se la sua compagnia, formata da ragazzi della sua scuola, fosse chiamata a recitare davanti alla Regina d’Inghilterra, al papa, al Presidente della Repubblica, ai Premi Nobel. Per portare in scena il “Cyrano di Bergerac” tenne ad Alfio Valenti e a Gianni Anzalone un corso di scherma che durò mesi.
Ora è un affermato poeta e scrittore (non “anziano” ché la sua figura, i suoi occhi la sua vitalità e la sua voce sono inconciliabili con questo aggettivo).
Lo avremo con noi a Lentini domenica 1 febbraio, alle 17,30, alla Masseria Militti in una serata che possiamo definire “appendice a Ziti, miti e riti degli anni ’60”.
Lo presenteranno, intervisteranno, provocheranno Gianni Anzalone e il sottoscritto per ricordare, capire meglio, spiegare e rivalutare quell’esperienza, quell’epoca e quell’uomo
Siete tutti invitati.
mercoledì 28 gennaio 2009
mercoledì 21 gennaio 2009
L’impareggiabile profumo della giovinezza
Preparando il San Valentino è normale che si scoprano nuovi poeti, personaggi, situazioni poco note. Alla vigilia di questa dodicesima edizione mi sono imbattuto in un’altra bella storia che avrà certamente un peso nella manifestazione: quella di tre piccole antologie di poesie scritte da ragazzi di 15, 16 anni, alunni della professoressa (e scrittrice) Maria Lucia Martinez al liceo scientifico “Elio Vittorini” di Lentini.
“Adolescenti” dice la professoressa, “che si sono accostati scolasticamente per la prima volta alla leggi di decodificazione di un testo poetico, a cui ho chiesto di cimentarsi nella composizione di una poesia”.
Si tratta di una settantina di poesia di ottimo livello, alcune delle quali straordinariamente belle.
Gli autori sono alunni della II S dell’anno 2005, della II S dell’anno 2007 e della II F dell’anno scolastico in corso.
Una particolarità colpisce immediatamente: nessuna delle poesie porta il nome dell’autore o dell’autrice. Da qui discendono due risultati: per un verso, grazie a all’anonimato i ragazzi hanno espresso con grande libertà sentimenti, passioni, talvolta disagi, rivelandosi, così, come campioni di una categoria - non solo di studenti di una determinata classe di una determinata scuola, e neanche soltanto di giovani lentinesi, ma di ragazzi e giovani di quest’epoca -; per l’altro verso, la loro rinuncia alla gratificazione individuale, all’elogio personale, al protagonismo appare come un atto di meravigliosa generosità dei più bravi nei confronti dei meno bravi, ma anche di grande amore nei confronti della loro insegnante e della scuola, per il cui buon nome hanno offerto i loro lavori.
La professoressa Martinez conclude così la presentazione delle tre raccolte: “I poeti ellenistici chiamavano fiori le poesie che poi raccoglievano in metaforiche corone simposiali. Lungi da noi l’idea di voler paragonare a quei fiori pregiati questi fiori di campo, che hanno, tuttavia, un profumo impareggiabile, quello della giovinezza”. A me sembra anche profumo di buon futuro per le città in cui vivono.
Ve ne porgo alcune…
Poesia
Ho appoggiato il tuo ricordo in un cielo azzurro
Le tue parole le ho regalate al vento
La nostalgia chiusa in me.
I ragazzi che si amano
Come in una danza
si prendono per mano,
invocano la pioggia
che infrange le diversità,
si immergono in una nebbia
che cela i difetti,
sussurrano ad un vento
che avvolge i loro abbracci,
si scaldano sotto un sole
che illumina i loro baci,
seguono una stella
che splende sui loro passi,
guardano ad un’alba
che gli rischiara il cammino;
collezionano raggi di gioia
che filtrano dall’eternità!
Si amano.
Dicono…
Dicono che alla nostra età si debba sempre ridere,
ma chi lo dice non è stato mai giovane,
perché alla nostra età
si piange per due occhi verdi o azzurri,
per un sorriso o per uno sguardo…
Si piange perché non ti guarda,
perché non si accorge di te e che esisti…
Dicono che alla nostra età non si soffra per
una domenica non vissuta,
passata da sola in casa,
perché lui non ti pensa,
perché si è dimenticato di te,
perché i tuoi non ti lasciano andare…
Dicono che alla nostra età è troppo presto per amare,
ma chi lo dice non sa che alla nostra età
l’amore è l’unica cosa che conta.
A mio padre
Io so che gli basterebbe un gesto
e per me sarebbe tutto diverso.
Non si rende conto, forse non lo sa,
ma ogni sua parola ha per me un peso
che non si immagina,
sfumature
che non può prevedere.
Il mio giudicare può cambiare se lui
vi mette un’indicazione.
Io so che gli basterebbe un gesto e
io non mi sentirei più la stessa.
Ma vi è come una barriera
che non oso toccare.
Un muro silenzioso e trasparente,
che fa vedere ma non fa sentire.
Un lastra di ghiaccio che permette
che mi arrivi l’aiuto, ma
Non fa passare richiesta.
“Adolescenti” dice la professoressa, “che si sono accostati scolasticamente per la prima volta alla leggi di decodificazione di un testo poetico, a cui ho chiesto di cimentarsi nella composizione di una poesia”.
Si tratta di una settantina di poesia di ottimo livello, alcune delle quali straordinariamente belle.
Gli autori sono alunni della II S dell’anno 2005, della II S dell’anno 2007 e della II F dell’anno scolastico in corso.
Una particolarità colpisce immediatamente: nessuna delle poesie porta il nome dell’autore o dell’autrice. Da qui discendono due risultati: per un verso, grazie a all’anonimato i ragazzi hanno espresso con grande libertà sentimenti, passioni, talvolta disagi, rivelandosi, così, come campioni di una categoria - non solo di studenti di una determinata classe di una determinata scuola, e neanche soltanto di giovani lentinesi, ma di ragazzi e giovani di quest’epoca -; per l’altro verso, la loro rinuncia alla gratificazione individuale, all’elogio personale, al protagonismo appare come un atto di meravigliosa generosità dei più bravi nei confronti dei meno bravi, ma anche di grande amore nei confronti della loro insegnante e della scuola, per il cui buon nome hanno offerto i loro lavori.
La professoressa Martinez conclude così la presentazione delle tre raccolte: “I poeti ellenistici chiamavano fiori le poesie che poi raccoglievano in metaforiche corone simposiali. Lungi da noi l’idea di voler paragonare a quei fiori pregiati questi fiori di campo, che hanno, tuttavia, un profumo impareggiabile, quello della giovinezza”. A me sembra anche profumo di buon futuro per le città in cui vivono.
Ve ne porgo alcune…
Poesia
Ho appoggiato il tuo ricordo in un cielo azzurro
Le tue parole le ho regalate al vento
La nostalgia chiusa in me.
I ragazzi che si amano
Come in una danza
si prendono per mano,
invocano la pioggia
che infrange le diversità,
si immergono in una nebbia
che cela i difetti,
sussurrano ad un vento
che avvolge i loro abbracci,
si scaldano sotto un sole
che illumina i loro baci,
seguono una stella
che splende sui loro passi,
guardano ad un’alba
che gli rischiara il cammino;
collezionano raggi di gioia
che filtrano dall’eternità!
Si amano.
Dicono…
Dicono che alla nostra età si debba sempre ridere,
ma chi lo dice non è stato mai giovane,
perché alla nostra età
si piange per due occhi verdi o azzurri,
per un sorriso o per uno sguardo…
Si piange perché non ti guarda,
perché non si accorge di te e che esisti…
Dicono che alla nostra età non si soffra per
una domenica non vissuta,
passata da sola in casa,
perché lui non ti pensa,
perché si è dimenticato di te,
perché i tuoi non ti lasciano andare…
Dicono che alla nostra età è troppo presto per amare,
ma chi lo dice non sa che alla nostra età
l’amore è l’unica cosa che conta.
A mio padre
Io so che gli basterebbe un gesto
e per me sarebbe tutto diverso.
Non si rende conto, forse non lo sa,
ma ogni sua parola ha per me un peso
che non si immagina,
sfumature
che non può prevedere.
Il mio giudicare può cambiare se lui
vi mette un’indicazione.
Io so che gli basterebbe un gesto e
io non mi sentirei più la stessa.
Ma vi è come una barriera
che non oso toccare.
Un muro silenzioso e trasparente,
che fa vedere ma non fa sentire.
Un lastra di ghiaccio che permette
che mi arrivi l’aiuto, ma
Non fa passare richiesta.
venerdì 16 gennaio 2009
giovedì 15 gennaio 2009
Poesie di Fino Giuliano alla Masseria Militti
Sabato 24, alle ore 17,30, alla masseria Militti (via F.lli Bandiera, 18) sarà presentato il libro di poesie di Fino Giuliano “Piogge rivierasche” (ed. Balt-East, Praga) alla presenza dell’autore, lentinese da anni residente a Vicenza.
Insieme a Guglielmo Tocco, che fungerà da padrone di casa, e all’autore, ne parleranno Guido Arcidiacono e Angelo Mattone. Le poesie saranno lette dall’attrice Veronica Roccella.
In anteprima ci parla della silloge il giovane lentinese Luca Zarbano
A diciott’anni conobbi Czslaw Milosz, lui aveva molte più lune delle mie sopra le spalle e mi insegnò che guardarsi nello specchio significa andarsene per la via di ogni corpo, e a nulla, a nulla serve protestare; protestare vorrebbe dire battersi col tempo, misurarsi coll’incommensurabile per finire a ridere di sé, ironicamente sconfitti dall’eternità.
E allora, come si può ingannare il tempo?
Basta fermarsi un attimo, basta sorridere agli smottamenti casuali della memoria; abbandonarsi a sottili ritorni, lontananze ignote, ariose nostalgie.
Basta un attimo fermarsi ed andare a ritirare il bucato…, steso in un angolo del passato (Riccardo).
Piogge Rivierasche è un viaggio a ritroso nel tempo interno della memoria, in un non luogo fatto di inganni ed emozioni rimaste condensate nell’eterna irrealtà del verso, in cui Catania si confonde con Praga ed entrambe si innestano lungo la via di un medesimo universo, vivo, abitato da facce e sbiadite fotografie: Petra, Veronika, Angela, Riccardo, Radka, Patricia, nomi di vita che richiamano in coro altri nomi.
La parola poetica è tesa alla ricerca di una dimensione di dialogo con voci che si recepiscono come lontani orizzonti: niente minaccia la tua giovinezza, questi monti che ricordano la terra…che ti allontanano sempre di più, con il cuore ti cerco, non inseguire le nuvole stasera; tutti versi rivolti ad un tu molteplice che di volta in volta cambia ma è sempre ungarettianamente “scavato nella propria vita come in un abisso”.
E poi c’è un altro tu: è il proprio io che affida il suo destino ai capricci della memoria (Estate), che rivive in bianco e nero le gite domenicali fuori porta insieme ai sogni giovanili di rivolta (Lentini), che contempla faticosamente la solitudine in mezzo a chiese barocche (Via Crociferi).
Su tutto questo campeggiano divertimenti brevi di ironia (Vedi che fine fanno i poeti?).
E sulla memoria e sul ricordo regna sovrano il tema del viaggio: l’esigenza carnale di partire, da piazza dei Sofisti non partono più le corriere per il mondo (Lentini); domani mattina andremo a Holesovice a guardare i treni partire (Praga).
Ma c’è anche un viaggio diverso, inteso come possibilità e voglia di ritorno: questi monti… che ti allontanano sempre di più da un punto lontano all’orizzonte che ti ostini a chiamare Patria (Veronika).
Oppure come privazione: la tua terra lontana non ha il mare. La cerchi ogni sera nei tramonti africani che fanno meno duro il tuo esilio.
Ed anche un viaggio o una partenza che si sospettano da un saluto: dolce fu il congedo quella sera a Piazza Dante (Piazza Dante).
Accanto a queste, altre tematiche di memoria e privazione: proietteranno la tua assenza solo per me (Padre), in cui l’ossimoro si tinge di significati più ampi ed intimissime emozioni.
Leggere Piogge Rivierasche è come spiare i fotogrammi proiettati a caso di un’intera vita, sentendoti quasi in imbarazzo per aver aperto un cassetto che non è tuo, ma trovandovi dentro misteriosamente pezzi del tuo passato.
Si è trasportati all’interno di una condivisione, del tentativo genuinamente montaliano di svuotare la poesia di verità assolute per arrivare ad emozioni quasi universali: nostro compito è risvegliare parole coperte dalla neve (Radka), liberare la fronte dai ghiaccioli, partire unicamente per andare, accettando le offerte di Ulisse anche se non ha solcato per nulla i nostri mari; poiché “unica ragione del viaggio è viaggiare”. Tanto più per noi siciliani, popolo di mare;
per noi il lamento è lento da dimenticare.
Noi sempre su un’isola, noi sempre lontani da noi stessi,
noi solamente soli e falsamente insieme;
noi col cuore bruno e le facce nere;
noi latini, greci, bizantini o saraceni,
noi angioini, svevi o aragonesi;
noi per tutto e niente, di tutto o di nessuno,
noi cosa nostra sempre; noi liberi a digiuno.
Noi! tremendamente noi;
triangolino evanescente di memorie svanite,
di primavere spente ed estati bollite;
noi isola ed isola sempre.
Noi: superba e decadente solitudine.
Per noi siciliani, in fondo - dicevo –
l’inganno è verità.
Luca Zarbano
Insieme a Guglielmo Tocco, che fungerà da padrone di casa, e all’autore, ne parleranno Guido Arcidiacono e Angelo Mattone. Le poesie saranno lette dall’attrice Veronica Roccella.
In anteprima ci parla della silloge il giovane lentinese Luca Zarbano
A diciott’anni conobbi Czslaw Milosz, lui aveva molte più lune delle mie sopra le spalle e mi insegnò che guardarsi nello specchio significa andarsene per la via di ogni corpo, e a nulla, a nulla serve protestare; protestare vorrebbe dire battersi col tempo, misurarsi coll’incommensurabile per finire a ridere di sé, ironicamente sconfitti dall’eternità.
E allora, come si può ingannare il tempo?
Basta fermarsi un attimo, basta sorridere agli smottamenti casuali della memoria; abbandonarsi a sottili ritorni, lontananze ignote, ariose nostalgie.
Basta un attimo fermarsi ed andare a ritirare il bucato…, steso in un angolo del passato (Riccardo).
Piogge Rivierasche è un viaggio a ritroso nel tempo interno della memoria, in un non luogo fatto di inganni ed emozioni rimaste condensate nell’eterna irrealtà del verso, in cui Catania si confonde con Praga ed entrambe si innestano lungo la via di un medesimo universo, vivo, abitato da facce e sbiadite fotografie: Petra, Veronika, Angela, Riccardo, Radka, Patricia, nomi di vita che richiamano in coro altri nomi.
La parola poetica è tesa alla ricerca di una dimensione di dialogo con voci che si recepiscono come lontani orizzonti: niente minaccia la tua giovinezza, questi monti che ricordano la terra…che ti allontanano sempre di più, con il cuore ti cerco, non inseguire le nuvole stasera; tutti versi rivolti ad un tu molteplice che di volta in volta cambia ma è sempre ungarettianamente “scavato nella propria vita come in un abisso”.
E poi c’è un altro tu: è il proprio io che affida il suo destino ai capricci della memoria (Estate), che rivive in bianco e nero le gite domenicali fuori porta insieme ai sogni giovanili di rivolta (Lentini), che contempla faticosamente la solitudine in mezzo a chiese barocche (Via Crociferi).
Su tutto questo campeggiano divertimenti brevi di ironia (Vedi che fine fanno i poeti?).
E sulla memoria e sul ricordo regna sovrano il tema del viaggio: l’esigenza carnale di partire, da piazza dei Sofisti non partono più le corriere per il mondo (Lentini); domani mattina andremo a Holesovice a guardare i treni partire (Praga).
Ma c’è anche un viaggio diverso, inteso come possibilità e voglia di ritorno: questi monti… che ti allontanano sempre di più da un punto lontano all’orizzonte che ti ostini a chiamare Patria (Veronika).
Oppure come privazione: la tua terra lontana non ha il mare. La cerchi ogni sera nei tramonti africani che fanno meno duro il tuo esilio.
Ed anche un viaggio o una partenza che si sospettano da un saluto: dolce fu il congedo quella sera a Piazza Dante (Piazza Dante).
Accanto a queste, altre tematiche di memoria e privazione: proietteranno la tua assenza solo per me (Padre), in cui l’ossimoro si tinge di significati più ampi ed intimissime emozioni.
Leggere Piogge Rivierasche è come spiare i fotogrammi proiettati a caso di un’intera vita, sentendoti quasi in imbarazzo per aver aperto un cassetto che non è tuo, ma trovandovi dentro misteriosamente pezzi del tuo passato.
Si è trasportati all’interno di una condivisione, del tentativo genuinamente montaliano di svuotare la poesia di verità assolute per arrivare ad emozioni quasi universali: nostro compito è risvegliare parole coperte dalla neve (Radka), liberare la fronte dai ghiaccioli, partire unicamente per andare, accettando le offerte di Ulisse anche se non ha solcato per nulla i nostri mari; poiché “unica ragione del viaggio è viaggiare”. Tanto più per noi siciliani, popolo di mare;
per noi il lamento è lento da dimenticare.
Noi sempre su un’isola, noi sempre lontani da noi stessi,
noi solamente soli e falsamente insieme;
noi col cuore bruno e le facce nere;
noi latini, greci, bizantini o saraceni,
noi angioini, svevi o aragonesi;
noi per tutto e niente, di tutto o di nessuno,
noi cosa nostra sempre; noi liberi a digiuno.
Noi! tremendamente noi;
triangolino evanescente di memorie svanite,
di primavere spente ed estati bollite;
noi isola ed isola sempre.
Noi: superba e decadente solitudine.
Per noi siciliani, in fondo - dicevo –
l’inganno è verità.
Luca Zarbano
domenica 11 gennaio 2009
San Valentino a Lentini è un'altra cosa
Manca circa un mese al 14 febbraio. E poi sarà San Valentino, una delle feste considerate (non a torto) tra le più consumistiche: regali, cene, ecc. Ed anche, per certi aspetti, tra le più discriminanti: è la festa degli innamorati, mica di tutti. Questo, però, vale per tutta l’Italia, ma non per il “territorio libero di Lentini”. Questa è la patria di Iacopo, poeta d’amore. Qui le cose cambiano. A nessuna coppia di innamorati è impedito di festeggiare come meglio crede, ma qui la festa è più ampia: oltre che degli innamorati è anche festa dell’amore, della poesia e della poesia d’amore.
Qui si invitano gli innamorati a scambiarsi poesie e parole poetiche, anziché costosi regali. E tutti, ma proprio tutti (gli innamorati corrisposti e quelli non corrisposti, gli ex e gli aspiranti innamorati, quelli che aspettano e quelli che si sono seccati di aspettare ed anche quelli che non ne vogliono proprio sentire parlare) possono partecipare alla grande festa. Come? Scrivendo o anche solo leggendo o ascoltando poesie d’amore in italiano, in dialetto o in lingua straniera.
Chi le scrive può inviarle a www.sanvalentinolentini.it.
Chi vuole leggerle può farlo sullo stesso sito ed anche su un libro, un meraviglioso libro che ogni anno viene pubblicato con tutte le poesie che sono giunte e che ognuno può ottenere gratuitamente, facendo solo lo sforzo di venirlo a prendere al teatro Odeon Lo Presti la sera della festa. Perché è il Comune di Lentini che li dona gratuitamente a tutti coloro che ne fanno richiesta.
Ma la cosa più bella che si possa fare è quella di ascoltarle.
Anche quest’anno, tutti insieme, poeti affermati e poeti improvvisati, genitori e figli, nonni e nipoti, insegnanti e alunni leggeranno le loro poesie ad un pubblico che, ci si può scommettere, di nuovo riempirà come un uovo il teatro. E anche quest’anno, oltre ai poeti, ci saranno attori, musicisti, cantanti lietissimi di rendere la serata memorabile.
Sarà la dodicesima volta. Dodici anni hanno permesso di fare conoscere il San Valentino di Lentini e la nostra città in ogni parte del mondo, ed hanno fatto sì che la festa diventasse una festa cittadina e delle scuole.
Rigorosissimi studi e approfondite ricerche hanno appurato che chi partecipa al San Valentino in poesia a Lentini, a qualsiasi titolo, trascorre un anno felice, elettrizzante, pieno di amore e di sorprese. Gli altri… vivacchiano maluccio, poverini.
Qui si invitano gli innamorati a scambiarsi poesie e parole poetiche, anziché costosi regali. E tutti, ma proprio tutti (gli innamorati corrisposti e quelli non corrisposti, gli ex e gli aspiranti innamorati, quelli che aspettano e quelli che si sono seccati di aspettare ed anche quelli che non ne vogliono proprio sentire parlare) possono partecipare alla grande festa. Come? Scrivendo o anche solo leggendo o ascoltando poesie d’amore in italiano, in dialetto o in lingua straniera.
Chi le scrive può inviarle a www.sanvalentinolentini.it.
Chi vuole leggerle può farlo sullo stesso sito ed anche su un libro, un meraviglioso libro che ogni anno viene pubblicato con tutte le poesie che sono giunte e che ognuno può ottenere gratuitamente, facendo solo lo sforzo di venirlo a prendere al teatro Odeon Lo Presti la sera della festa. Perché è il Comune di Lentini che li dona gratuitamente a tutti coloro che ne fanno richiesta.
Ma la cosa più bella che si possa fare è quella di ascoltarle.
Anche quest’anno, tutti insieme, poeti affermati e poeti improvvisati, genitori e figli, nonni e nipoti, insegnanti e alunni leggeranno le loro poesie ad un pubblico che, ci si può scommettere, di nuovo riempirà come un uovo il teatro. E anche quest’anno, oltre ai poeti, ci saranno attori, musicisti, cantanti lietissimi di rendere la serata memorabile.
Sarà la dodicesima volta. Dodici anni hanno permesso di fare conoscere il San Valentino di Lentini e la nostra città in ogni parte del mondo, ed hanno fatto sì che la festa diventasse una festa cittadina e delle scuole.
Rigorosissimi studi e approfondite ricerche hanno appurato che chi partecipa al San Valentino in poesia a Lentini, a qualsiasi titolo, trascorre un anno felice, elettrizzante, pieno di amore e di sorprese. Gli altri… vivacchiano maluccio, poverini.
venerdì 2 gennaio 2009
Ziti, miti e riti secondo Aldo Failla
Aldo Failla ha scritto l'articolo che potete leggere qui di seguito e che sarà pubblicato su Murganzio martedì prossimo (5 gennaio). Lo ringrazio molto anche per la generosità nell'uso degli aggettivi nei miei confronti ma soprattutto per avere saputo fotografare in maniera impeccabile il senso dela NOSTRA piccola iniziativa. ho evidenziato NOSTRA perché il merito dell'avvocato Failla è stato enorme: mille informazioni a me sconosciute le ho ricevute da lui, così come da lui ho ricevuto stimoli, incoraggiamenti ed entusiasmo. Inoltre tengo a precisare che senza di lui non avrei mai potuto raggiungere molte delle persone che hanno costituito l'asse portante della narrazione, dalle signore Zerega a Maurizio Tesei, da Pupa Gangemi a Cesare Pisano, Nino Risuglia, maria Arisco ecc. ecc. D'altra parte, il suo valore e il suo impegno in campo culturale a Lentini è noto a tutti. Io, come ai tempi del Comitato Antico Lavatoio, di "Oggi qui, domani là" e di tante altre iniziative messe in piedi assieme, ho avuto il piacere e la fortuna di godere della sua straordinaria onoscenza della città e della sua generosa disposizione a condividerla.
Lentini, c’era una volta…….
“Ziti, riti e miti - flashback sugli anni ’60 a Lentini”, non è solo il titolo della fortunata trasmissione in diretta radio (Radio Elleuno) mandata in onda dal dinamico e poliedrico Guglielmo Tocco nelle quattro consecutive domeniche di Dicembre (dalla “Masseria Militti”), ma è stata la magnifica occasione per reincontrarci per una rilettura di quella magnifica stagione che a Lentini è stata vissuta e mai dimenticata. Ispirata la ideazione, perfetta la regia, in sintonia tutti i protagonisti che “in diretta” hanno raccontato le loro storie, rivissute non in chiave melensa e mielosamente da amarcord, ma come sempre da protagonisti.
Si era partiti dal volere ricordare la chiusura “per limiti di età” del fascinoso studio fotografico di Luigi Lo Re (ex “LoreLan”), frequentato da tutta “la meglio gioventù” di Lentini in quei favolosi anni ‘60’ ed oltre, ma ci si è subito resi conto che ciò sarebbe stato obiettivamente restrittivo.
Ed allora, ecco “ziti, riti e miti”, nata quasi in punta di piedi, ma poi scoppiata in tutta la sua importanza, perché di qualcosa di importante si è parlato. La manifestazione si è snodata attraverso il ricordo di una Lentini che c’era in quel periodo, ricordando tutto ciò che Lentini ha offerto, dall’essere stata sede del secondo scalo ferroviario d’Europa (il primo era quello di Dusseldorf, nella magna Germania), all’essere stata sede di una grande operatività economica e commerciale, in continua trasformazione, si è parlato del grande fervore teatrale, ereditato da Carlo Lo Presti e Mario Piazza, con grandi protagonisti che hanno portato in Italia il teatro leontino, con Gianni Anzalone, Agostino La Fata, Alfio Valenti, Gianni Giuffrè, Piero Russo, Elio Cardillo, Enzo Ferraro ed altri che certamente dimentico di citare. Si è ricordata la grande stagione del Liceo Gorgia, coi tanti suoi protagonisti sia nel campo docente che discente, con le grandi squadre di atletica leggera che primeggiavano, sia in campo maschile che femminile, alle gare provinciali e regionali. Dei giornali che a Lentini vedevano la luce, primo fra tutti “La Fessura”, foglio fedele cronista e critico del tempo; si è parlato delle grandi famiglie che a Lentini, quasi per un non organizzato fenomeno di “ricambio etnico”, venivano per lavorare e far lavorare, sia quanto a singole famiglie (Zerega, Gangemi, Tesei), che quanto a grandi collettività (da Giampilieri le più consistenti) che qui hanno trovato la loro e la nostra felicità in un connubio che la storia conferma. E che dire della grande Leonzio che furoreggiava dovunque, di Augusto Ferrante “genio e sregolatezza”, di Turi Di Pietro, maestro di “Petru ‘u turcu”, Pietro Anastasi? Una Leonzio che rappresentò l’espressione di una Città opulenta, creativa, che si faceva rispettare in ogni campo.
Abbiamo parlato dei grandi Avvocati e Magistrati che Lentini ha avuto in quel periodo, della FUCI, della nascita del “Ponte”, circolo liberal-culturale, voluto dal Pretore Salvatore Paglialunga assieme a Sebastiano Addamo, Alessandro Tribulato, i fratelli Turi e Pippo Moncada, Franco Zerega, Alfio Siracusano e tanti altri. E che dire della fiaccola olimpica che i tedofori lentinesi dell’estate 1960 dopo 48 anni hanno orgogliosamente mostrato (peccato non esserci anche la televisione a Masseria Militti…); tanti nostri giovani questo non lo sanno di certo. Come non sanno che al Carmes Hotel si festeggiava il “Ballo degli Anni Verdi”, in cui era richiesta l’unica droga ammessa, cioè la voglia del bello, la voglia di vivere ed il coraggio di affrontare la vita e divertirsi con il cuore, la spontaneità ed il piacere della scoperta. Non c’erano molte macchine in giro, spesso si andava al “Pic-Nic”, per uno dei pochi svaghi consentiti, il mezzo pollo arrosto e/o la pizza, anche a piedi, ma si tornava “in orario”, certamente sobri, ma “ubriachi” di felicità, che magari non apprezzavamo appieno.
Bene, alla fine di tutta questa “rivisitazione”, ci siamo guardati negli occhi con una sola domanda: ma dove siamo finiti?, perché non si è dato seguito a tutto questo grosso patrimonio che i protagonisti degli anni ’50 avevano costruito e ci avevano donato ? Per chi o per cosa i nostri braccianti hanno lottato, si sono fatti arrestare, bastonare? Dove sono i frutti di tutto ciò, se tutto attorno a noi è solo miseria, mancanza di ideali, povertà economica e di ideali ? Le risposte sono state tante, di varia natura, ma tutti abbiamo convenuto che disperdere il patrimonio acquisito è stato un vero peccato, per tutti. Qualcuno ha detto che i “padroni” del bene-Lentini hanno pensato di coltivare il proprio orticello extra-moenia, dimenticando il proprio seminato, che “i macchi nunn’hana statu abbiviratu acchiù”. Qualcun altro ha riscontrato, e questo è altrettanto grave, che in realtà gli eletti al governo della cosa pubblica non sono veramente eletti “direttamente” dal popolo lentinese, come accadeva una volta. Certo, il panorama è disarmante, alla classe culturale reduce di quei meravigliosi anni ’60, tuttora vivente a Lentini, non viene chiesto neanche un parere consultivo, figuriamoci quello decisionale, appannaggio solo dei “quantitativamente” più rappresentativi. Ebbene, ci siamo sentiti e visti come quei famosi “ragazzi del 99” (inteso 1899),i quali, per uno strano scherzo del destino anagrafico, furono costretti al richiamo alle armi ed a combattere per la seconda volta in difesa della Patria.
E se, spinti da sacro furore e vero Amore per la Città di appartenenza (Proprietà acquisita per diritto di nascita e non espoliata…..), non decidessimo tutti di….autorichiamarci alle armi ? Riflettiamoci.
Una volta, quando negli anni ’60, sottoscrivevo i miei articoli su un giornalino locale, con lo pseudonimo “Alfa 47”, finivo sempre con la classica frase: “Ad maiora et meliora”, che era un canto di fondata speranza, che oggi mi sento di ripetere, non foss’altro che per quello che ho visto ed ascoltato in queste quattro meravigliose domeniche di Dicembre 2008.
Aldo Failla.
Lentini, c’era una volta…….
“Ziti, riti e miti - flashback sugli anni ’60 a Lentini”, non è solo il titolo della fortunata trasmissione in diretta radio (Radio Elleuno) mandata in onda dal dinamico e poliedrico Guglielmo Tocco nelle quattro consecutive domeniche di Dicembre (dalla “Masseria Militti”), ma è stata la magnifica occasione per reincontrarci per una rilettura di quella magnifica stagione che a Lentini è stata vissuta e mai dimenticata. Ispirata la ideazione, perfetta la regia, in sintonia tutti i protagonisti che “in diretta” hanno raccontato le loro storie, rivissute non in chiave melensa e mielosamente da amarcord, ma come sempre da protagonisti.
Si era partiti dal volere ricordare la chiusura “per limiti di età” del fascinoso studio fotografico di Luigi Lo Re (ex “LoreLan”), frequentato da tutta “la meglio gioventù” di Lentini in quei favolosi anni ‘60’ ed oltre, ma ci si è subito resi conto che ciò sarebbe stato obiettivamente restrittivo.
Ed allora, ecco “ziti, riti e miti”, nata quasi in punta di piedi, ma poi scoppiata in tutta la sua importanza, perché di qualcosa di importante si è parlato. La manifestazione si è snodata attraverso il ricordo di una Lentini che c’era in quel periodo, ricordando tutto ciò che Lentini ha offerto, dall’essere stata sede del secondo scalo ferroviario d’Europa (il primo era quello di Dusseldorf, nella magna Germania), all’essere stata sede di una grande operatività economica e commerciale, in continua trasformazione, si è parlato del grande fervore teatrale, ereditato da Carlo Lo Presti e Mario Piazza, con grandi protagonisti che hanno portato in Italia il teatro leontino, con Gianni Anzalone, Agostino La Fata, Alfio Valenti, Gianni Giuffrè, Piero Russo, Elio Cardillo, Enzo Ferraro ed altri che certamente dimentico di citare. Si è ricordata la grande stagione del Liceo Gorgia, coi tanti suoi protagonisti sia nel campo docente che discente, con le grandi squadre di atletica leggera che primeggiavano, sia in campo maschile che femminile, alle gare provinciali e regionali. Dei giornali che a Lentini vedevano la luce, primo fra tutti “La Fessura”, foglio fedele cronista e critico del tempo; si è parlato delle grandi famiglie che a Lentini, quasi per un non organizzato fenomeno di “ricambio etnico”, venivano per lavorare e far lavorare, sia quanto a singole famiglie (Zerega, Gangemi, Tesei), che quanto a grandi collettività (da Giampilieri le più consistenti) che qui hanno trovato la loro e la nostra felicità in un connubio che la storia conferma. E che dire della grande Leonzio che furoreggiava dovunque, di Augusto Ferrante “genio e sregolatezza”, di Turi Di Pietro, maestro di “Petru ‘u turcu”, Pietro Anastasi? Una Leonzio che rappresentò l’espressione di una Città opulenta, creativa, che si faceva rispettare in ogni campo.
Abbiamo parlato dei grandi Avvocati e Magistrati che Lentini ha avuto in quel periodo, della FUCI, della nascita del “Ponte”, circolo liberal-culturale, voluto dal Pretore Salvatore Paglialunga assieme a Sebastiano Addamo, Alessandro Tribulato, i fratelli Turi e Pippo Moncada, Franco Zerega, Alfio Siracusano e tanti altri. E che dire della fiaccola olimpica che i tedofori lentinesi dell’estate 1960 dopo 48 anni hanno orgogliosamente mostrato (peccato non esserci anche la televisione a Masseria Militti…); tanti nostri giovani questo non lo sanno di certo. Come non sanno che al Carmes Hotel si festeggiava il “Ballo degli Anni Verdi”, in cui era richiesta l’unica droga ammessa, cioè la voglia del bello, la voglia di vivere ed il coraggio di affrontare la vita e divertirsi con il cuore, la spontaneità ed il piacere della scoperta. Non c’erano molte macchine in giro, spesso si andava al “Pic-Nic”, per uno dei pochi svaghi consentiti, il mezzo pollo arrosto e/o la pizza, anche a piedi, ma si tornava “in orario”, certamente sobri, ma “ubriachi” di felicità, che magari non apprezzavamo appieno.
Bene, alla fine di tutta questa “rivisitazione”, ci siamo guardati negli occhi con una sola domanda: ma dove siamo finiti?, perché non si è dato seguito a tutto questo grosso patrimonio che i protagonisti degli anni ’50 avevano costruito e ci avevano donato ? Per chi o per cosa i nostri braccianti hanno lottato, si sono fatti arrestare, bastonare? Dove sono i frutti di tutto ciò, se tutto attorno a noi è solo miseria, mancanza di ideali, povertà economica e di ideali ? Le risposte sono state tante, di varia natura, ma tutti abbiamo convenuto che disperdere il patrimonio acquisito è stato un vero peccato, per tutti. Qualcuno ha detto che i “padroni” del bene-Lentini hanno pensato di coltivare il proprio orticello extra-moenia, dimenticando il proprio seminato, che “i macchi nunn’hana statu abbiviratu acchiù”. Qualcun altro ha riscontrato, e questo è altrettanto grave, che in realtà gli eletti al governo della cosa pubblica non sono veramente eletti “direttamente” dal popolo lentinese, come accadeva una volta. Certo, il panorama è disarmante, alla classe culturale reduce di quei meravigliosi anni ’60, tuttora vivente a Lentini, non viene chiesto neanche un parere consultivo, figuriamoci quello decisionale, appannaggio solo dei “quantitativamente” più rappresentativi. Ebbene, ci siamo sentiti e visti come quei famosi “ragazzi del 99” (inteso 1899),i quali, per uno strano scherzo del destino anagrafico, furono costretti al richiamo alle armi ed a combattere per la seconda volta in difesa della Patria.
E se, spinti da sacro furore e vero Amore per la Città di appartenenza (Proprietà acquisita per diritto di nascita e non espoliata…..), non decidessimo tutti di….autorichiamarci alle armi ? Riflettiamoci.
Una volta, quando negli anni ’60, sottoscrivevo i miei articoli su un giornalino locale, con lo pseudonimo “Alfa 47”, finivo sempre con la classica frase: “Ad maiora et meliora”, che era un canto di fondata speranza, che oggi mi sento di ripetere, non foss’altro che per quello che ho visto ed ascoltato in queste quattro meravigliose domeniche di Dicembre 2008.
Aldo Failla.
giovedì 1 gennaio 2009
Il mio augurio per il nuovo anno
A tutti voi che frequentate questo luogo di parole, chiacchere e ragionamenti persi auguro un anno di felicità ininterrotta.
Che ogni giorno della vostra vita, ogni situazione, ogni nuovo incontro assomigli a questo 1° gennaio di Lentini: luminoso, limpido, senza nubi, tiepido. E che ogni giorno vi giunga almeno una bella sorpresa. E che chiunque vi veda (soprattutto i più poveri, i più soli, quelli con meno speranze) vi sorrida, per un vostro gesto, una vostra parola, un vostro sorriso.
Che ogni giorno della vostra vita, ogni situazione, ogni nuovo incontro assomigli a questo 1° gennaio di Lentini: luminoso, limpido, senza nubi, tiepido. E che ogni giorno vi giunga almeno una bella sorpresa. E che chiunque vi veda (soprattutto i più poveri, i più soli, quelli con meno speranze) vi sorrida, per un vostro gesto, una vostra parola, un vostro sorriso.
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