Sabato 24, alle ore 17,30, alla masseria Militti (via F.lli Bandiera, 18) sarà presentato il libro di poesie di Fino Giuliano “Piogge rivierasche” (ed. Balt-East, Praga) alla presenza dell’autore, lentinese da anni residente a Vicenza.
Insieme a Guglielmo Tocco, che fungerà da padrone di casa, e all’autore, ne parleranno Guido Arcidiacono e Angelo Mattone. Le poesie saranno lette dall’attrice Veronica Roccella.
In anteprima ci parla della silloge il giovane lentinese Luca Zarbano
A diciott’anni conobbi Czslaw Milosz, lui aveva molte più lune delle mie sopra le spalle e mi insegnò che guardarsi nello specchio significa andarsene per la via di ogni corpo, e a nulla, a nulla serve protestare; protestare vorrebbe dire battersi col tempo, misurarsi coll’incommensurabile per finire a ridere di sé, ironicamente sconfitti dall’eternità.
E allora, come si può ingannare il tempo?
Basta fermarsi un attimo, basta sorridere agli smottamenti casuali della memoria; abbandonarsi a sottili ritorni, lontananze ignote, ariose nostalgie.
Basta un attimo fermarsi ed andare a ritirare il bucato…, steso in un angolo del passato (Riccardo).
Piogge Rivierasche è un viaggio a ritroso nel tempo interno della memoria, in un non luogo fatto di inganni ed emozioni rimaste condensate nell’eterna irrealtà del verso, in cui Catania si confonde con Praga ed entrambe si innestano lungo la via di un medesimo universo, vivo, abitato da facce e sbiadite fotografie: Petra, Veronika, Angela, Riccardo, Radka, Patricia, nomi di vita che richiamano in coro altri nomi.
La parola poetica è tesa alla ricerca di una dimensione di dialogo con voci che si recepiscono come lontani orizzonti: niente minaccia la tua giovinezza, questi monti che ricordano la terra…che ti allontanano sempre di più, con il cuore ti cerco, non inseguire le nuvole stasera; tutti versi rivolti ad un tu molteplice che di volta in volta cambia ma è sempre ungarettianamente “scavato nella propria vita come in un abisso”.
E poi c’è un altro tu: è il proprio io che affida il suo destino ai capricci della memoria (Estate), che rivive in bianco e nero le gite domenicali fuori porta insieme ai sogni giovanili di rivolta (Lentini), che contempla faticosamente la solitudine in mezzo a chiese barocche (Via Crociferi).
Su tutto questo campeggiano divertimenti brevi di ironia (Vedi che fine fanno i poeti?).
E sulla memoria e sul ricordo regna sovrano il tema del viaggio: l’esigenza carnale di partire, da piazza dei Sofisti non partono più le corriere per il mondo (Lentini); domani mattina andremo a Holesovice a guardare i treni partire (Praga).
Ma c’è anche un viaggio diverso, inteso come possibilità e voglia di ritorno: questi monti… che ti allontanano sempre di più da un punto lontano all’orizzonte che ti ostini a chiamare Patria (Veronika).
Oppure come privazione: la tua terra lontana non ha il mare. La cerchi ogni sera nei tramonti africani che fanno meno duro il tuo esilio.
Ed anche un viaggio o una partenza che si sospettano da un saluto: dolce fu il congedo quella sera a Piazza Dante (Piazza Dante).
Accanto a queste, altre tematiche di memoria e privazione: proietteranno la tua assenza solo per me (Padre), in cui l’ossimoro si tinge di significati più ampi ed intimissime emozioni.
Leggere Piogge Rivierasche è come spiare i fotogrammi proiettati a caso di un’intera vita, sentendoti quasi in imbarazzo per aver aperto un cassetto che non è tuo, ma trovandovi dentro misteriosamente pezzi del tuo passato.
Si è trasportati all’interno di una condivisione, del tentativo genuinamente montaliano di svuotare la poesia di verità assolute per arrivare ad emozioni quasi universali: nostro compito è risvegliare parole coperte dalla neve (Radka), liberare la fronte dai ghiaccioli, partire unicamente per andare, accettando le offerte di Ulisse anche se non ha solcato per nulla i nostri mari; poiché “unica ragione del viaggio è viaggiare”. Tanto più per noi siciliani, popolo di mare;
per noi il lamento è lento da dimenticare.
Noi sempre su un’isola, noi sempre lontani da noi stessi,
noi solamente soli e falsamente insieme;
noi col cuore bruno e le facce nere;
noi latini, greci, bizantini o saraceni,
noi angioini, svevi o aragonesi;
noi per tutto e niente, di tutto o di nessuno,
noi cosa nostra sempre; noi liberi a digiuno.
Noi! tremendamente noi;
triangolino evanescente di memorie svanite,
di primavere spente ed estati bollite;
noi isola ed isola sempre.
Noi: superba e decadente solitudine.
Per noi siciliani, in fondo - dicevo –
l’inganno è verità.
Luca Zarbano
giovedì 15 gennaio 2009
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