domenica 28 giugno 2009
Vi presento un amico: Francesco Scollo. A Monterosso Almo, il paese dov’è nato e risiede, lo chiamano "U caribaldinu", per via di un suo avo che seguì i Mille (ma in tutta la Sicilia si dice “garibaldino” anche di un modo di fare, di vivere, di apparire: coraggioso, irruente, deciso; sotto questo profilo, Francesco il suo titolo se lo è guadagnato pienamente). Di lui parlo spesso. Qua ne scrivo perché proprio domenica scorsa (il 28 giugno) ha presentato il suo sesto libro, dal titolo “Dialoghi”. È una raccolta di poesie a sfondo morale in forma di dialogo nella parlata monterossana. Egli è un’espressione straordinariamente autentica della cultura contadina degli Iblei. È poeta e scrittore dialettale, cantatore e autore di serenate, suona il flauto, disegna. E in tutto è bravissimo. Ma c’è una cosa che fa senza sforzo e quasi senza accorgersene, che lo rende preziosissimo (e non solo ai miei occhi): egli conserva, valorizza, diffonde la dolce parlata e le tradizioni dei paesi Iblei ragusani. Un ambasciatore magnifico della sua terra. Ha settant’anni ed una prestanza fisica da quarantenne in pieno vigore. Lo chiamano anche “masciu” perché è mastro muratore, ma è nato e cresciuto pastore, è stato bracciante e contadino, ha conosciuto l’emigrazione a Milano, in Svizzera, in Germania. È esperto di arti marziali. E scrive, scrive, scrive. E a scrivere ha imparato da solo, sui prati, con le pecore come sole compagne.
lunedì 15 giugno 2009
Il fedele soldato Liguori
Recentemente, in uno dei rarissimi programmi TV (emittente La7) in cui nessuno aveva parlato dei festini di Berlusconi con le giovanette, il berlusconiano Paolo Liguori improvvidamente riportò lo scottante tema al centro della discussione. Dall’intempestività con cui si avventurò nel tema c’è da pensare che la riflessione che poi espose l’aveva in mente da tanto tempo ma nessuno gli aveva ancora dato l’opportunità di estrinsecarla. Qual’era questa riflessione? “Noi sessantottini abbiamo fatto battaglie memorabili (e vittoriose) per l’emancipazione sessuale e voi, dopo quarant’anni, ancora vi scandalizzate per i gusti sessuali del premier”. A parte che, ricordare la sua esperienza sessantottina e quella in Lotta Continua mentre è vestito di intenso azzurro forzitalista forse può apparire incongruo, il punto più interessante è questo: la battaglia per l’emancipazione sessuale all’epoca veniva condotta, se non prima, di pari passo con quella dell’emancipazione femminile.
Il buon soldato Paolo mentre parlava convinto di avere assestato un duro colpo ai “moralisti antiberlusconiani” non si accorgeva di evocare anche quell’altra questione, quella femminile. E prendere ragazze in affitto per il sollazzo proprio (di Berlusconi) e dei propri amici (maschi) non è proprio come calpestare la dignità e i tentativi di emancipazione femminile? Cautela, Paolino, cautela. La fedeltà non è sempre utile.
Il buon soldato Paolo mentre parlava convinto di avere assestato un duro colpo ai “moralisti antiberlusconiani” non si accorgeva di evocare anche quell’altra questione, quella femminile. E prendere ragazze in affitto per il sollazzo proprio (di Berlusconi) e dei propri amici (maschi) non è proprio come calpestare la dignità e i tentativi di emancipazione femminile? Cautela, Paolino, cautela. La fedeltà non è sempre utile.
domenica 14 giugno 2009
Non chiamatele prove di dittatura!
Ma cosa andate pensando?
Considera il parlamento un ostacolo, la magistratura una metastasi, la stampa un danno per la società; si è reso non giudicabile per qualsiasi reato, dichiara antiitaliano chi lo critica e accusa la Banca d’Italia di complotto; ha fatto anche nascere le ronde nere, d’accordo. Ma si è mai fatto fotografare mentre miete il grano? No! E allora perché dite che sta introducendo la dittatura in Italia?
Considera il parlamento un ostacolo, la magistratura una metastasi, la stampa un danno per la società; si è reso non giudicabile per qualsiasi reato, dichiara antiitaliano chi lo critica e accusa la Banca d’Italia di complotto; ha fatto anche nascere le ronde nere, d’accordo. Ma si è mai fatto fotografare mentre miete il grano? No! E allora perché dite che sta introducendo la dittatura in Italia?
venerdì 12 giugno 2009
Gaetano
Qualche settimana fa su face book c’era un appello “Qualcuno ha visto di recente Gaetano? Rispondete, per favore, non lo vedo da tempo e sono preoccupata!”
Frasi così a casa o tra amici li sentiamo spesso: chiunque non vede Gaetano per pochi giorni va a chiedere in giro notizie.
Personalmente devo confessare che ogni volta che Gaetano mi si avvicina e mi saluta con una strusciata di testa o di spalla, dopo averlo accarezzato per ricambiare, mi guardo in giro fiero, come per dire “Vedete? Io sono suo amico”.
Tutti così, ormai a Lentini.
Ma per noi Gaetano non è solo l’amata mascotte della città, né soltanto il cane di tutti e neppure solamente il personaggio che ci aiuta a rompere il ghiaccio con gli sconosciuti senza dovere fare ricorso alle condizioni meteorologiche; egli è anche il più grande diplomatico inviato dal mondo animale in quello degli uomini per avvicinare le due le due specie; il personaggio che ha fatto aumentare enormemente la capacità di esprimere amore e affetto dei lentinesi; una bandiera attorno alla quale ci ritroviamo come comunità. Una volta “lintinisi larunchiari” oggi “lintinisi gaetani”.
Forse è giunto il momento di modificare lo stemma della città: al posto del leone, Gaetano placidamente sdraiato all’ombra della Torre.
Ma lui sicuramente ci chiede altro: un po’ d’amore e di attenzione in più anche per i suoi fratelli meno noti e fortunati e una mano a quel gruppo di Angeli-Santi-Eroi dell’associazione PACE che spendono buona parte della loro vita per proteggere, nutrire, curare, salvaguardare Gaetano e i suoi fratelli.
Frasi così a casa o tra amici li sentiamo spesso: chiunque non vede Gaetano per pochi giorni va a chiedere in giro notizie.
Personalmente devo confessare che ogni volta che Gaetano mi si avvicina e mi saluta con una strusciata di testa o di spalla, dopo averlo accarezzato per ricambiare, mi guardo in giro fiero, come per dire “Vedete? Io sono suo amico”.
Tutti così, ormai a Lentini.
Ma per noi Gaetano non è solo l’amata mascotte della città, né soltanto il cane di tutti e neppure solamente il personaggio che ci aiuta a rompere il ghiaccio con gli sconosciuti senza dovere fare ricorso alle condizioni meteorologiche; egli è anche il più grande diplomatico inviato dal mondo animale in quello degli uomini per avvicinare le due le due specie; il personaggio che ha fatto aumentare enormemente la capacità di esprimere amore e affetto dei lentinesi; una bandiera attorno alla quale ci ritroviamo come comunità. Una volta “lintinisi larunchiari” oggi “lintinisi gaetani”.
Forse è giunto il momento di modificare lo stemma della città: al posto del leone, Gaetano placidamente sdraiato all’ombra della Torre.
Ma lui sicuramente ci chiede altro: un po’ d’amore e di attenzione in più anche per i suoi fratelli meno noti e fortunati e una mano a quel gruppo di Angeli-Santi-Eroi dell’associazione PACE che spendono buona parte della loro vita per proteggere, nutrire, curare, salvaguardare Gaetano e i suoi fratelli.
domenica 7 giugno 2009
Io non respingo
Finite le elezioni, finalmente si può riprendere a parlare di questioni importanti senza essere accusati di “strumentalizzare” per fini elettorali.
Per me tra le questioni importanti c’è anche quella dei cosiddetti respingimenti dei migranti. In realtà i poveracci che cercano di fuggire dalla fame, dalle malattie e dalle guerre non vengono respinti, ma spediti in Libia, il cui ruolo in questa vicenda è solo quello di carceriere. Ora, non credo possa esserci uno sciocco così sciocco da credere che la Libia, ricevuti in consegna gruppi di persone non libiche né italiane, faccia grandi sforzi economici e organizzativi per rifocillarli, curarli, farli riposare, garantire loro il minimo di igiene e di privacy, evitare violenze. E in realtà le notizie che trapelano lasciano pensare più ai lager nazisti che non a centri di accoglienza (che già non sono il massimo della vita). Io sono italiano ma non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di condividere questa oscena scelta del governo italiano, di Berlusconi, Maroni, Coda, Calderoli.
Io non respingo. E sto con la CEI, con l’ONU, con la Caritas, con le organizzazioni umanitarie, con quelli che danno qualcosa e non con quelli che sbattono le porte in faccia a chi ha bisogno. E sono convinto di essere una infinitesima parte di una grande moltitudine di italiani. E penso pure che sia importante dirlo, reagire, fare qualcosa. Come padre Carlo D’Antoni, il parroco della Chiesa di Bosco Minniti a Siracusa. Proprio nella sua parrocchia sabato prossimo, 13 giugno alle 18, ci sarà un’importante iniziativa durante la quale sarà proiettato il documentario "Come un uomo sulla terra" e si incontreranno tante bellissime persone provenienti da ogni parte del mondo.
lunedì 1 giugno 2009
Mangiando odore di pane
Rocco D. un giorno mi raccontò che quand'era bambino e andava a garzone da un calzolaio, questi tutte le mattine ad una certa ora lo mandava al forno a comprare il pane.
A casa di Rocco, pane se ne vedeva poco.
E gli altri cibi, un poco più accessibili, non è che passassero a scadenze regolari, da quelle parti.
Quell'andare per il pane per Rocco era l'avvenimento più bello della giornata, il più atteso e il più ricordato.
L'andata la faceva quasi tutta di corsa.
Il ritorno era un dolce, lentissimo viaggio con il pane, una calda pagnottona rotonda e marrone, piatta e larga e morbida e umida.
Rocco non la toccava: offriva il sacchetto di stoffa che fungeva da borsa, aperto, alla fornaia, come una sposa si offre al suo uomo dopo lunga attesa.
Lei con rapidità ma con dolcezza, sicura e precisa, vi infilava il pane accompagnandolo con la mano fino in fondo.
Rocco chiudeva gli occhi. E si sentiva posseduto tutto dal calore ed dal profumo.
Poi se lo poggiava sulla pancia, lo teneva stretto con tutte e due le mani e dondolando tornava, mangiando odore di pane.
Non sentiva altro che il pane nelle mani, sulle labbra, tra i denti, sulla lingua, nella gola, nel petto, nello stomaco, nella pancia, sul sesso.
E si reputava fortunato, perché poteva provare quelle sensazioni sconosciute ai suoi fratelli.
Quando consegnava quel tesoro alla moglie del calzolaio, osservava ogni sua espressione, nel timore che qualcosa non le andasse e l'indomani non avesse scelto lui per quella missione. Un giorno, più duro degli altri perché da quarantott'ore non toccava cibo, quando stava ormai proprio per arrivare alla botteguccia fece una cosa mai pensata prima: infilò la mano destra nel sacchetto e con molta delicatezza e inaspettata naturalezza, con l'indice e il pollice, torcendolo un poco, staccò un bocconcino di pane e se lo portò in bocca.
Quel contatto (non la paura delle conseguenze o il senso di colpa per la profanazione, ma solo il contatto del pane caldo con la sua bocca umida) fu talmente sconvolgente che Rocco perse i sensi.
Proprio cadde a terra, svenuto, sulla strada di terra battuta, puzzolente di cacca di galline e di asini, di cani e di capre, con in mezzo il rigagnolo puzzolente d'acqua sudicia.
Proprio stette là, lungo lungo e fermo fermo, in terra, per un bel po' di tempo, con gli occhi chiusi e le braccia strette attorno al pane, senza vedere né sentire nulla dello strepitio, delle mani premurose, dei volti spaventati che lo circondavano.
Non so cosa successe dopo. Rocco finì il suo racconto con l'espressione addolorata e stupita per l'incongruenza e l'ingiustizia di quello svenimento.
Poi, più grandicello, lasciò il suo paese.
Trascorse qualche mese a Lentini, dove abitava una sua sorella sposata, poi partì per la Svizzera.
Là lavorò in una fabbrica di cioccolata, imparò il tedesco, lesse molto, scoprì Buttitta, si iscrisse al Partito Comunista.
Scrisse molte furiose poesie di lotta.
E fece anche una cosa che raramente si fa: nel momento in cui prese coscienza di non potersi dire cattolico, bensì ateo, fece l'atto solenne di abiura.
Ebbe una relazione che durò diversi anni con una compaesana anch'essa operaia nella fabbrica di cioccolata, e con lei ebbe una figlia.
Poi si trasferì a Milano, trovò posto alla Motta e frequentò le scuole serali fino a a che non prese il diploma di ragioniere.
Appena diplomatosi si licenziò e tornò in Sicilia.
Qui, dopo tanti anni e chilometri, tante esperienze e avanzate, chissà perché, ricominciò a fare il calzolaio.
Rocco è morto poco prima delle tre di oggi 1 giugno 2009.
Si è buttato giù dal balcone. In piazza Taormina. Aveva 74 anni, stava male ed era stanco di vivere.
Penso lui lo sapesse, ma mi dispiace lo stesso non avergli potuto dire che gli ho voluto sempre molto bene.
A casa di Rocco, pane se ne vedeva poco.
E gli altri cibi, un poco più accessibili, non è che passassero a scadenze regolari, da quelle parti.
Quell'andare per il pane per Rocco era l'avvenimento più bello della giornata, il più atteso e il più ricordato.
L'andata la faceva quasi tutta di corsa.
Il ritorno era un dolce, lentissimo viaggio con il pane, una calda pagnottona rotonda e marrone, piatta e larga e morbida e umida.
Rocco non la toccava: offriva il sacchetto di stoffa che fungeva da borsa, aperto, alla fornaia, come una sposa si offre al suo uomo dopo lunga attesa.
Lei con rapidità ma con dolcezza, sicura e precisa, vi infilava il pane accompagnandolo con la mano fino in fondo.
Rocco chiudeva gli occhi. E si sentiva posseduto tutto dal calore ed dal profumo.
Poi se lo poggiava sulla pancia, lo teneva stretto con tutte e due le mani e dondolando tornava, mangiando odore di pane.
Non sentiva altro che il pane nelle mani, sulle labbra, tra i denti, sulla lingua, nella gola, nel petto, nello stomaco, nella pancia, sul sesso.
E si reputava fortunato, perché poteva provare quelle sensazioni sconosciute ai suoi fratelli.
Quando consegnava quel tesoro alla moglie del calzolaio, osservava ogni sua espressione, nel timore che qualcosa non le andasse e l'indomani non avesse scelto lui per quella missione. Un giorno, più duro degli altri perché da quarantott'ore non toccava cibo, quando stava ormai proprio per arrivare alla botteguccia fece una cosa mai pensata prima: infilò la mano destra nel sacchetto e con molta delicatezza e inaspettata naturalezza, con l'indice e il pollice, torcendolo un poco, staccò un bocconcino di pane e se lo portò in bocca.
Quel contatto (non la paura delle conseguenze o il senso di colpa per la profanazione, ma solo il contatto del pane caldo con la sua bocca umida) fu talmente sconvolgente che Rocco perse i sensi.
Proprio cadde a terra, svenuto, sulla strada di terra battuta, puzzolente di cacca di galline e di asini, di cani e di capre, con in mezzo il rigagnolo puzzolente d'acqua sudicia.
Proprio stette là, lungo lungo e fermo fermo, in terra, per un bel po' di tempo, con gli occhi chiusi e le braccia strette attorno al pane, senza vedere né sentire nulla dello strepitio, delle mani premurose, dei volti spaventati che lo circondavano.
Non so cosa successe dopo. Rocco finì il suo racconto con l'espressione addolorata e stupita per l'incongruenza e l'ingiustizia di quello svenimento.
Poi, più grandicello, lasciò il suo paese.
Trascorse qualche mese a Lentini, dove abitava una sua sorella sposata, poi partì per la Svizzera.
Là lavorò in una fabbrica di cioccolata, imparò il tedesco, lesse molto, scoprì Buttitta, si iscrisse al Partito Comunista.
Scrisse molte furiose poesie di lotta.
E fece anche una cosa che raramente si fa: nel momento in cui prese coscienza di non potersi dire cattolico, bensì ateo, fece l'atto solenne di abiura.
Ebbe una relazione che durò diversi anni con una compaesana anch'essa operaia nella fabbrica di cioccolata, e con lei ebbe una figlia.
Poi si trasferì a Milano, trovò posto alla Motta e frequentò le scuole serali fino a a che non prese il diploma di ragioniere.
Appena diplomatosi si licenziò e tornò in Sicilia.
Qui, dopo tanti anni e chilometri, tante esperienze e avanzate, chissà perché, ricominciò a fare il calzolaio.
Rocco è morto poco prima delle tre di oggi 1 giugno 2009.
Si è buttato giù dal balcone. In piazza Taormina. Aveva 74 anni, stava male ed era stanco di vivere.
Penso lui lo sapesse, ma mi dispiace lo stesso non avergli potuto dire che gli ho voluto sempre molto bene.
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