Rocco D. un giorno mi raccontò che quand'era bambino e andava a garzone da un calzolaio, questi tutte le mattine ad una certa ora lo mandava al forno a comprare il pane.
A casa di Rocco, pane se ne vedeva poco.
E gli altri cibi, un poco più accessibili, non è che passassero a scadenze regolari, da quelle parti.
Quell'andare per il pane per Rocco era l'avvenimento più bello della giornata, il più atteso e il più ricordato.
L'andata la faceva quasi tutta di corsa.
Il ritorno era un dolce, lentissimo viaggio con il pane, una calda pagnottona rotonda e marrone, piatta e larga e morbida e umida.
Rocco non la toccava: offriva il sacchetto di stoffa che fungeva da borsa, aperto, alla fornaia, come una sposa si offre al suo uomo dopo lunga attesa.
Lei con rapidità ma con dolcezza, sicura e precisa, vi infilava il pane accompagnandolo con la mano fino in fondo.
Rocco chiudeva gli occhi. E si sentiva posseduto tutto dal calore ed dal profumo.
Poi se lo poggiava sulla pancia, lo teneva stretto con tutte e due le mani e dondolando tornava, mangiando odore di pane.
Non sentiva altro che il pane nelle mani, sulle labbra, tra i denti, sulla lingua, nella gola, nel petto, nello stomaco, nella pancia, sul sesso.
E si reputava fortunato, perché poteva provare quelle sensazioni sconosciute ai suoi fratelli.
Quando consegnava quel tesoro alla moglie del calzolaio, osservava ogni sua espressione, nel timore che qualcosa non le andasse e l'indomani non avesse scelto lui per quella missione. Un giorno, più duro degli altri perché da quarantott'ore non toccava cibo, quando stava ormai proprio per arrivare alla botteguccia fece una cosa mai pensata prima: infilò la mano destra nel sacchetto e con molta delicatezza e inaspettata naturalezza, con l'indice e il pollice, torcendolo un poco, staccò un bocconcino di pane e se lo portò in bocca.
Quel contatto (non la paura delle conseguenze o il senso di colpa per la profanazione, ma solo il contatto del pane caldo con la sua bocca umida) fu talmente sconvolgente che Rocco perse i sensi.
Proprio cadde a terra, svenuto, sulla strada di terra battuta, puzzolente di cacca di galline e di asini, di cani e di capre, con in mezzo il rigagnolo puzzolente d'acqua sudicia.
Proprio stette là, lungo lungo e fermo fermo, in terra, per un bel po' di tempo, con gli occhi chiusi e le braccia strette attorno al pane, senza vedere né sentire nulla dello strepitio, delle mani premurose, dei volti spaventati che lo circondavano.
Non so cosa successe dopo. Rocco finì il suo racconto con l'espressione addolorata e stupita per l'incongruenza e l'ingiustizia di quello svenimento.
Poi, più grandicello, lasciò il suo paese.
Trascorse qualche mese a Lentini, dove abitava una sua sorella sposata, poi partì per la Svizzera.
Là lavorò in una fabbrica di cioccolata, imparò il tedesco, lesse molto, scoprì Buttitta, si iscrisse al Partito Comunista.
Scrisse molte furiose poesie di lotta.
E fece anche una cosa che raramente si fa: nel momento in cui prese coscienza di non potersi dire cattolico, bensì ateo, fece l'atto solenne di abiura.
Ebbe una relazione che durò diversi anni con una compaesana anch'essa operaia nella fabbrica di cioccolata, e con lei ebbe una figlia.
Poi si trasferì a Milano, trovò posto alla Motta e frequentò le scuole serali fino a a che non prese il diploma di ragioniere.
Appena diplomatosi si licenziò e tornò in Sicilia.
Qui, dopo tanti anni e chilometri, tante esperienze e avanzate, chissà perché, ricominciò a fare il calzolaio.
Rocco è morto poco prima delle tre di oggi 1 giugno 2009.
Si è buttato giù dal balcone. In piazza Taormina. Aveva 74 anni, stava male ed era stanco di vivere.
Penso lui lo sapesse, ma mi dispiace lo stesso non avergli potuto dire che gli ho voluto sempre molto bene.
lunedì 1 giugno 2009
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4 commenti:
Un racconto di straordinaria bellezza.
Complimenti Guglielmo.
Silvio, che gioia leggerti e sapere che mi leggi!
Mille grazie. Un abbraccio grande.
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
necessita di verificare:)
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