sabato 3 luglio 2010

ENZO LAEZZA, IL POLIZIOTTO GENTILE

Enzo Laezza, uno dei poliziotti più noti dai lentinesi, ha raggiunto l’età del congedo ed ha lasciato la P. S. Difficile da credere, considerato il suo attaccamento al lavoro e la sua figura ancora così giovanile.
Giunse a Lentini nel ’72 che sembrava gemello di Gianni Morandi. Qui in 40 anni ha salito tutti i gradini della carriera di sottufficiale fino a congedarsi con il grado di commissario.
Venne con un paio di bagagli molto pesanti ma portati con la leggerezza di chi ne conosce bene il valore: gli insegnamenti della Scuola di Polizia ed una raccomandazione del nonno don Nicola Sansone, noto, rispettato e saggio contadino delle campagne di Acerra: “Ricordati sempre, caro Enzo, la delicatezza del tuo ruolo. Ti capiterà spesso di avere in mano il destino di qualcuno poco fortunato. Comportati sempre con correttezza ed umanità e non avrai mai motivi di rimorso”.
Quando giunse a Lentini Enzo ebbe la fortuna di trovare subito in tanti suoi colleghi anziani, quelli che dovevano fargli da maestri, altrettanti “nipoti” di nonno Sansone; gente che da anni operava proprio seguendo quei principi di rispetto e di attenzione nei confronti di chiunque: dal Commissario Edoardo Burrascano al maresciallo Gentile, al brigadiere Blasco, dal brigadiere Matarazzo, all’appuntato Porto (in occasione della lavorazione a “Graziella fumava le Alfa” e nel Convegno sui fatti della Vaddàra ho avuto la possibilità di raccogliere diverse testimonianze che raccontano come sia antica e solida a Lentini la tradizione di esponenti della P. S. portati al dialogo e alla comprensione. Parlo del 1966 e del 1948).
Il quarantennio attraversato da Laezza in divisa è stato un periodo di straordinari cambiamenti. Ed egli, un po’ per sensibilità personale, un po’ perché ogni giorno diventava più lentinese (nel ‘74 ha sposato Lucia Cardillo, figlia di un altro protagonista di quegli anni, il cav. Alfio, dirigente artigiano, assessore e consigliere comunale) ne è stato testimone attento e consapevole.
Nel ’72 Lentini, era una città, se posso dire così, molto “ordinata”: la Chiesa (le parrocchie di S.
Alfio, della S. S.Trinità, di S. Luca, di Santa Croce, con padre La Rosa e padre D’Asta, padre Di
Stefano, padre Raddino, padre Cantella) riusciva ad aggregare centinaia di giovani con varie attività
culturali e sportive, oltre che con il richiamo della fede. I sindacati potevano contare circa 5-6000 iscritti e la loro influenza non si limitava solo all’ambito lavorativo. I partiti erano veri e propri centri di aggregazione e partecipazione democratica, scuole di pensiero e di comportamento, palestre per la formazione dei cittadini partecipi e consapevoli. Certo, ognuno con i propri punti di vista, spesso molto distanti tra loro (Partito Comunista, Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Movimento Sociale), ma con un comune denominatore: quello che oggi, come fosse una “scoperta”della Lega Nord, viene chiamato “rapporto con il territorio”.
Ecco, il territorio e la comunità erano certamente più monitorabili ed in grado di auto-proteggersi da qualunque tipo di attacco esterno: da quelli portati all’ambiente a quelli contro la civile convivenza.
Man mano, però, le cose cambiavano: l’organizzazione della società andava pian piano perdendo consistenza e le sue difese immunitarie andavano indebolendosi.
Cambiava ancora, dunque, il tipo di impegno della P. S. e di Enzo Laezza.
Gli anni ’80 probabilmente possono essere definiti anni di “occupazione mafiosa”. Penso abbia ragione Enzo quando osserva che questa “invasione” fu possibile, o, almeno, agevolata dal notevole indebolimento degli argini sociali di cui si è parlato prima (sindacati in primis).
Furono quelli gli anni tristissimi delle bombe nei cantieri e nei magazzini, delle guerre tra clan e interne ai clan. Decine di omicidi commessi anche nelle strade del centro, attentati così frequenti da farci sembrare nel Libano di allora.
Il nostro testimone era sempre là, con compiti diversi, preoccupazioni diverse e l’angoscia del lentinese sempre più preoccupato per il futuro della sua città.
Gli anni ’90 si caratterizzarono per un duplice aspetto: sotto il profilo istituzionale, la stabilità delle Giunte Raiti, rese possibili dalla nuova Legge elettorale (elezione diretta del Sindaco), che diedero grande slancio a quella che nel passato era stato tratto caratterizzante del profilo di Lentini: la democrazia e la partecipazione popolare; sotto il profilo della voglia di rinascita della comunità, da un grande attivismo, talvolta brillante, altre volte confuso, alla ricerca di nuove prospettive per vie senza sbocchi (un turismo fondato su feste popolari, spettacolarizzazione di storie e tradizioni sacre, ecc.). Altra nota caratterizzante di questa fase, nota secondo me positiva in tutto e per tutto,
fu la nascita della cultura della salvaguardia del territorio, in primo luogo riguardo le possibili presenze di prodotti nocivi, in considerazione dell’alta incidenza di patologie leucemiche e tumorali.
In quest’ultima attività che coinvolse gran parte della città e di cui l’Amministrazione Comunale fu forte promotrice, il nostro Enzo svolse (e continua a svolgere, per essere precisi) un ruolo fondamentale. Stavolta non come poliziotto ma come fondatore e presidente dell’Associazione per bambini leucemici “Manuela e Michele”-
Come tutti sanno nell’87 egli subì la più grande tragedia che possa subire un padre: la perdita di una figlioletta, Manuela, appunto per leucemia.
Fu un’altra occasione (stavolta amarissima) per conoscere la forza e la generosità dell’uomo. Egli non si chiuse nel suo dolore, ma insieme ad altri genitori altrettanto sfortunati (i Niniano, papà e mamma di Michele) diede vita ad un’Associazione che da oltre vent’anni è ormai nella storia, non solo cittadina, per il numero e la qualità degli interventi a favore dei bambini leucemici e delle loro famiglie.
Ma questa è un’altra storia e sono certo che Enzo ci “costringerà” a parlare a lungo anche di essa.
Oggi va rivolto il saluto grato al poliziotto che non ha mai alzato la voce né strattonato nessuno, che è stato efficiente senza ricorrere mai alle maniere forti. A un protagonista e testimone degli ultimi quarant’anni, consapevole sempre della delicatezza del suo ruolo e dell’importanza di viverlo in assonanza con la comunità. Al servitore dello Stato che, mentre tutto attorno a lui cambiava, e non sempre in meglio, ha sempre mantenuto la coerenza del “poliziotto di prossimità” e l’umanità del nipote di don Nicola.
Per oggi non riesco a aggiungere altro che questo: “Ti ringrazio, caro Enzo, come lentinese e come amico. Spero che in tanti seguano il tuo esempio”.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Guglielmo. Per commento ti confermo quanto già scritto nelle mie due ultime mail. Un abbraccio collettivo rose ed Enzo compreso. Antonio.

clelia ha detto...

Se io fossi Enzo, leggendoti qui avrei pianto di commozione e orgoglio.
Una persona che ti suggerisce un intervento come quello che ho letto, non può essere che una persona speciale.

Commossa, per ciò che di universale sa unire tutti noi, ti abbraccio e ti ringrazio.
Ringrazio anche Enzo che non ha scritto, è vero, ma ha ispirato quanto tu hai saputo raccontare così bene.
Ciao Gug, a presto.

clelia