sabato 3 luglio 2010

Le terre, le sabbie e i colori di Lentini

Potrebbe essere uscito da un racconto di Luis Borges o da un film di Werner Herzog: solo là si trovano personaggi dediti ad attività così impossibili, così impensabili, così “incompletabili”.
L’amico (artista? poeta? innamorato pazzo della sua terra?) di cui sto parlando è particolarmente noto per la passione e la competenza con cui ricerca e cataloga, fa conoscere e divulga le piante spontanee del nostro territorio, ma anche per la produzione amatoriale di liquori da infusione prodotti proprio con quelle erbe, per le sue sculture in legno e per i lavori in ferro battuto; per non dire del suo impegno in tutte le attività di volontariato in cui viene chiamato.
Si chiama Pippo Pellegrino ed è tornato a Lentini dopo avere trascorso la sua vita lavorativa in Piemonte. Dice che solo l’aria che respira qua, i colori che ci illuminano, il sapore dei prodotti della nostra terra lo fanno sentire vivo, sereno, in equilibrio. E, possiamo dire, questo è quello che cerca di insegnare a percepire e godere a tutte le persone con cui viene in contatto.
Ma ciò che lo rende personaggio herzogiano (ricordate Fitzcarraldo e Aguirre?) è la sua ultima idea: l’idea titanica e che mai nessuno potrà completare, di raccogliere, catalogare, rendere “mostrabile” tutti i colori del nostro territorio. Quelli delle rocce di Castelluccio e del Murrazzo, quelli della sabbia di Agnone e della Foce del San Leonardo, quelli dei terreni di Pancali (e sono mille, perché c’è il bosco, il Cozzo Netto, la sughereta, il versante sud, ecc., ecc.), quelli della “suarra” della Riina, del Seggio, di Ponte Malati, e ancora, la terra verdastra del Mercadante, di Speziale e quella rossastra di Casa Vuturo, quella giallognola di Cugno Carrubba e quella bluastra della valle del Sant’Eligio.
Ho chiesto a Pippo una decina di bottigliette di “terre di Lentini”, che ho spedito a vecchi amici emigrati in Francia, in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti: le terre che abbiamo calpestato insieme durante una scampagnata di cannaluvaruni o da junnata ‘o sonnu, nel posto dove catturammo la lucertola, dove andammo con le ragazze un po’ in disparte, dove rubammo i fichi.
Ti ringrazio, Pippo. Mi hai dato un’altra occasione per rinfrescare l’amore per la nostra terra. Mi piace guardare e mostrare la sabbia calpestata da Gorgia, da Iacopo, da Riccardo e dalla regina Bianca. Verrò ancora a cercarti per chiederti la terra della chiesetta di Sant’Andrea, sulla strada per Buccheri e sulla sponda del San Leonardo ancora giovane, e quella della Badiula, per illudermi di sentire ancora i rumori dei Cavalieri Templari dediti alla pesca nei pantani, e quella della Castellana e di San Basilio, per avere qualcosa da toccare di popolazioni ancora avvolte nel mistero.
Di ogni terra ne farò un quadro che rappresenterà i colori, la memoria, la storia della nostra città ed anche le tappe della mia piccola, breve vita. E sarà meraviglioso mostrarlo agli amici che verranno a trovarmi e raccontare loro “questa sabbia viene da un posto dove un giorno, insieme a…”

2 commenti:

clelia ha detto...

Questo tuo intervento mi ha fatto sognare. I miei occhi hanno visto e il mio olfatto annusato.
La mia fantasia si è messa a galoppare perchè quanto ha deciso di realizzare il tuo amico Pippo è fantastico è tanto geniale quanto naturale.
Ecco, si deve sognare, sì, ma la scia del sogno può anche avere riscontro nella realtà.
Grazie a Pippo e grazie a te, Guglielmo, per avercelo virtualmente presentato.

clelia

Anonimo ha detto...

Uno, due, cento di Guglielmo.

Grazie di cuore.

Italo