mercoledì 2 marzo 2011

Lettera al sig. Presidente della Repubblica

Gentile sig. Presidente

Le vorrei rivolgere una preghiera: in una qualsiasi delle cerimonie a cui parteciperà in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, anche in una sola, La prego di spendere qualche parola in ricordo di quella intera generazione di giovani siciliani che, nei primi anni successivi alla nascita del Regno Unitario, venne sterminata senza pietà, perché renitente alla leva obbligatoria.
Lei è uomo coltissimo e di origine meridionale, per cui conosce bene l’argomento di cui parlo. Le chiedo quindi scusa se ne faccio qualche accenno.
Nell’anno 1862 venne introdotta in Sicilia (e in tutto l’ex Regno delle Due Sicilie) per la prima volta la Leva obbligatoria. Stiamo parlando di territori abbastanza grandi in cui la maggior parte della popolazione viveva in villaggi, campagne, piccolissimi centri rurali. Dove l’informazione giungeva scarsissima, approssimativa e con ritardo.
Per le famiglie dei “jurnatari” il figlio maschio rappresentava una risorsa insostituibile. Il 95% dei ragazzi di quell’età era analfabeta e raramente si era spostata da un villaggio all’altro e conosceva una parlata diversa dalla sua.
All’improvviso, a casa di ognuno di questi ventenni giunse il carabiniere più vicino per ordinare che il tal giorno e la tal ora dovevano presentarsi in caserma per fare il servizio militare per il nuovo Re e per CINQUE ANNI.
E che cos’è un militare? E chi è il nuovo Re?E perché non c’è più Franceschiello? E io per cinque anni non potrò vedere la mia famiglia, non mi potrò sposare e dovrò fare le guerre’
Nessuno sforzo fu fatto dalle autorità per capire il popolo siciliano né per farsi capire da esso.
Inevitabile che la quasi totalità dei giovani coscritti fuggisse immediatamente per le montagne e per i boschi e che molti di loro per sopravvivere si unissero alle bande di fuorilegge, banditi e tagliagole che, certo, non mancavano.
Su a Torino valutarono il problema come gravissimo. Pensarono di porvi rimedio applicando anche in Sicilia e contro questi ragazzi una legge già in vigore nelle province “infettate dai briganti” (Campania, Basilicata e Calabria).
Una legge che a molti era apparsa semplicemente disumana anche nei confronti degli stessi briganti e banditi, la famigerata Legge Pica.
I renitenti, i loro parenti e persino i loro concittadini (attraverso l'occupazione militare di città e paesi) furono trattati alla stregua di briganti e banditi
Alla sospensione dei diritti costituzionali, dunque, si accompagnavano misure come la punizione collettiva per i reati dei singoli e il diritto di rappresaglia contro i villaggi: veniva introdotto il concetto di "responsabilità collettiva".
Io non so quanti furono i ragazzi uccisi, condannati a morte o ai lavori forzati, spinti alla macchia e lontano dalle famiglie.
Si sa per certo che nei due anni e mezzo in cui fu in vigore (agosto 1863-dicembre 1865) in tutto il meridione d’Italia, compresa la Sicilia, la Legge Pica causò 14.000 morti in scontri a fuoco, 12.000 tra arrestati e deportati, 2,218 condannati a morte.
Ecco, sig. Presidente, forse prolungare il silenzio su questo enorme delitto commesso da italiani contro italiani non giova molto alla profonda, piena, totale convinzione che l’Unità d’Italia sia stata cosa interamente buona.

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