Ruby o ruba?
Nipote di Mubarak o figlioccia di Tchumbala-bey?
Adottata con l’autorizzazione del PM o portata a casa come un pacco?
Prostituta soggetta alla “stretta” del Governo o escort del Capo del Governo da ospitare ad Arcore?
Ministro degli interni o ministro delle coperture (coperte e lenzuola)?
Emilio Fede o Nino Taranto?
Silvio o Totò?
giovedì 11 novembre 2010
lunedì 19 luglio 2010
I Mobili di Falcone
Vorrei esprimere tutto il mio apprezzamento per l’amico e concittadino (esiste ancora la categoria “cittadino”) Aldo Failla: senza perdersi in polemiche, esternazioni, chiacchiere, accuse, ha portato a temine un’operazione di altissimo valore culturale. I mobili su cui lavorò Giovanni Falcone (ma anche Paglialunga e Santiapichi) sono stati recuperati. A nulla vale più ricordare in quale modo li avevamo persi, né per responsabilità di chi e con quale superficialità. Vale
ricordare, invece, perché non andavano persi. Omettendo, rispettosamente, di spiegare l’importanza dei simboli (da Ground Zero al Carrubo di Falcone, tanto per restare in tema) per ogni comunità grande o piccola, evoluta o arretrata, i mobili
non andavamo persi perché sono dei simboli, dei monumenti unici, di valore inestimabile, non riproducibili.
Ci sono vari modi per sentirsi bravi. Uno è quello, esclusivamente lentinese (ma non l’unico dei lentinesi), di ignorare, sminuire, denigrare, tutto ciò che fanno gli
altri. Un altro è quello prevalente nelle società più evolute, tra cui a volte entra anche Lentini, di sapere cogliere tutte le sfaccettature e le potenzialità di un’opportunità. Per me i Mobili, tra le tante cose, offrono anche due grandi opportunità: 1) quella di realizzare un monumento e luogo-simbolo unico, solo nostro, non limitato al ricordo dell’uomo e del suo sacrificio, ma dinamico, sempre vivo e rinnovato; 2) quella di vedere collaborare, senza alcuna deleteria competizione, nell’interesse dell’obbiettivo e della città e senza pretendere mea
culpa da parte di nessuno, tutti coloro (e sono tanti) che hanno mostrato sensibilità ed impegno nel versante anti mafioso, della legalità, della civiltà (da Libera alla CGIL, dalla Chiesa Madre alla Chiesa Evangelica, alle associazioni antiracket alle scuole e, per non fare nomi, da Failla ad Armando Rossitto, da Censabella e Boggio a padre Claudio, ecc. ecc.).
Per realizzare tutto questo io un’idea ce l’ho: Il Comune metta a disposizione uno dei locali di piazza Duomo oggi affidati ad una delle Associazioni antiracket. Dentro potremmo collocarvi i mobili ed altri suppellettili visibili dall’esterno giorno e notte (Il Monumento a Falcone) ma anche utilizzabili per la realizzazione di un Centro di Ricerca e Documentazione antimafia.
ricordare, invece, perché non andavano persi. Omettendo, rispettosamente, di spiegare l’importanza dei simboli (da Ground Zero al Carrubo di Falcone, tanto per restare in tema) per ogni comunità grande o piccola, evoluta o arretrata, i mobili
non andavamo persi perché sono dei simboli, dei monumenti unici, di valore inestimabile, non riproducibili.
Ci sono vari modi per sentirsi bravi. Uno è quello, esclusivamente lentinese (ma non l’unico dei lentinesi), di ignorare, sminuire, denigrare, tutto ciò che fanno gli
altri. Un altro è quello prevalente nelle società più evolute, tra cui a volte entra anche Lentini, di sapere cogliere tutte le sfaccettature e le potenzialità di un’opportunità. Per me i Mobili, tra le tante cose, offrono anche due grandi opportunità: 1) quella di realizzare un monumento e luogo-simbolo unico, solo nostro, non limitato al ricordo dell’uomo e del suo sacrificio, ma dinamico, sempre vivo e rinnovato; 2) quella di vedere collaborare, senza alcuna deleteria competizione, nell’interesse dell’obbiettivo e della città e senza pretendere mea
culpa da parte di nessuno, tutti coloro (e sono tanti) che hanno mostrato sensibilità ed impegno nel versante anti mafioso, della legalità, della civiltà (da Libera alla CGIL, dalla Chiesa Madre alla Chiesa Evangelica, alle associazioni antiracket alle scuole e, per non fare nomi, da Failla ad Armando Rossitto, da Censabella e Boggio a padre Claudio, ecc. ecc.).
Per realizzare tutto questo io un’idea ce l’ho: Il Comune metta a disposizione uno dei locali di piazza Duomo oggi affidati ad una delle Associazioni antiracket. Dentro potremmo collocarvi i mobili ed altri suppellettili visibili dall’esterno giorno e notte (Il Monumento a Falcone) ma anche utilizzabili per la realizzazione di un Centro di Ricerca e Documentazione antimafia.
mercoledì 14 luglio 2010
Il Presidente zio
Dopo il Presidente operaio, il Presidente cantautore, il play boy e il play old, il Presidente zio di Johnny Stecchino ci sta proprio bene. Ve lo ricordate? “Vedi perché la Sicilia non può andare avanti, non può avere futuro? Perché è oppressa da questi enormi problemi: il traffico di Palermo, le eruzioni dell’Etna, il caldo… “ Berlusconi, con la stessa lucidità e con lo stesso coraggio, oggi ha dichiarato che i veri problemi dell’Italia sono i nemici interni della sua coalizione (leggi Fini) e i vecchi politici politicanti (leggi Casini). Che c’entrano gli appalti, i regali, Scajola, Bertolaso, Dell’Utri, Verdini, Cosentino, Brancher, Cappellacci, gli affari, i processi, le condanne, la P3, la nuova tangentopoli…?
sabato 3 luglio 2010
Le terre, le sabbie e i colori di Lentini
Potrebbe essere uscito da un racconto di Luis Borges o da un film di Werner Herzog: solo là si trovano personaggi dediti ad attività così impossibili, così impensabili, così “incompletabili”.
L’amico (artista? poeta? innamorato pazzo della sua terra?) di cui sto parlando è particolarmente noto per la passione e la competenza con cui ricerca e cataloga, fa conoscere e divulga le piante spontanee del nostro territorio, ma anche per la produzione amatoriale di liquori da infusione prodotti proprio con quelle erbe, per le sue sculture in legno e per i lavori in ferro battuto; per non dire del suo impegno in tutte le attività di volontariato in cui viene chiamato.
Si chiama Pippo Pellegrino ed è tornato a Lentini dopo avere trascorso la sua vita lavorativa in Piemonte. Dice che solo l’aria che respira qua, i colori che ci illuminano, il sapore dei prodotti della nostra terra lo fanno sentire vivo, sereno, in equilibrio. E, possiamo dire, questo è quello che cerca di insegnare a percepire e godere a tutte le persone con cui viene in contatto.
Ma ciò che lo rende personaggio herzogiano (ricordate Fitzcarraldo e Aguirre?) è la sua ultima idea: l’idea titanica e che mai nessuno potrà completare, di raccogliere, catalogare, rendere “mostrabile” tutti i colori del nostro territorio. Quelli delle rocce di Castelluccio e del Murrazzo, quelli della sabbia di Agnone e della Foce del San Leonardo, quelli dei terreni di Pancali (e sono mille, perché c’è il bosco, il Cozzo Netto, la sughereta, il versante sud, ecc., ecc.), quelli della “suarra” della Riina, del Seggio, di Ponte Malati, e ancora, la terra verdastra del Mercadante, di Speziale e quella rossastra di Casa Vuturo, quella giallognola di Cugno Carrubba e quella bluastra della valle del Sant’Eligio.
Ho chiesto a Pippo una decina di bottigliette di “terre di Lentini”, che ho spedito a vecchi amici emigrati in Francia, in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti: le terre che abbiamo calpestato insieme durante una scampagnata di cannaluvaruni o da junnata ‘o sonnu, nel posto dove catturammo la lucertola, dove andammo con le ragazze un po’ in disparte, dove rubammo i fichi.
Ti ringrazio, Pippo. Mi hai dato un’altra occasione per rinfrescare l’amore per la nostra terra. Mi piace guardare e mostrare la sabbia calpestata da Gorgia, da Iacopo, da Riccardo e dalla regina Bianca. Verrò ancora a cercarti per chiederti la terra della chiesetta di Sant’Andrea, sulla strada per Buccheri e sulla sponda del San Leonardo ancora giovane, e quella della Badiula, per illudermi di sentire ancora i rumori dei Cavalieri Templari dediti alla pesca nei pantani, e quella della Castellana e di San Basilio, per avere qualcosa da toccare di popolazioni ancora avvolte nel mistero.
Di ogni terra ne farò un quadro che rappresenterà i colori, la memoria, la storia della nostra città ed anche le tappe della mia piccola, breve vita. E sarà meraviglioso mostrarlo agli amici che verranno a trovarmi e raccontare loro “questa sabbia viene da un posto dove un giorno, insieme a…”
L’amico (artista? poeta? innamorato pazzo della sua terra?) di cui sto parlando è particolarmente noto per la passione e la competenza con cui ricerca e cataloga, fa conoscere e divulga le piante spontanee del nostro territorio, ma anche per la produzione amatoriale di liquori da infusione prodotti proprio con quelle erbe, per le sue sculture in legno e per i lavori in ferro battuto; per non dire del suo impegno in tutte le attività di volontariato in cui viene chiamato.
Si chiama Pippo Pellegrino ed è tornato a Lentini dopo avere trascorso la sua vita lavorativa in Piemonte. Dice che solo l’aria che respira qua, i colori che ci illuminano, il sapore dei prodotti della nostra terra lo fanno sentire vivo, sereno, in equilibrio. E, possiamo dire, questo è quello che cerca di insegnare a percepire e godere a tutte le persone con cui viene in contatto.
Ma ciò che lo rende personaggio herzogiano (ricordate Fitzcarraldo e Aguirre?) è la sua ultima idea: l’idea titanica e che mai nessuno potrà completare, di raccogliere, catalogare, rendere “mostrabile” tutti i colori del nostro territorio. Quelli delle rocce di Castelluccio e del Murrazzo, quelli della sabbia di Agnone e della Foce del San Leonardo, quelli dei terreni di Pancali (e sono mille, perché c’è il bosco, il Cozzo Netto, la sughereta, il versante sud, ecc., ecc.), quelli della “suarra” della Riina, del Seggio, di Ponte Malati, e ancora, la terra verdastra del Mercadante, di Speziale e quella rossastra di Casa Vuturo, quella giallognola di Cugno Carrubba e quella bluastra della valle del Sant’Eligio.
Ho chiesto a Pippo una decina di bottigliette di “terre di Lentini”, che ho spedito a vecchi amici emigrati in Francia, in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti: le terre che abbiamo calpestato insieme durante una scampagnata di cannaluvaruni o da junnata ‘o sonnu, nel posto dove catturammo la lucertola, dove andammo con le ragazze un po’ in disparte, dove rubammo i fichi.
Ti ringrazio, Pippo. Mi hai dato un’altra occasione per rinfrescare l’amore per la nostra terra. Mi piace guardare e mostrare la sabbia calpestata da Gorgia, da Iacopo, da Riccardo e dalla regina Bianca. Verrò ancora a cercarti per chiederti la terra della chiesetta di Sant’Andrea, sulla strada per Buccheri e sulla sponda del San Leonardo ancora giovane, e quella della Badiula, per illudermi di sentire ancora i rumori dei Cavalieri Templari dediti alla pesca nei pantani, e quella della Castellana e di San Basilio, per avere qualcosa da toccare di popolazioni ancora avvolte nel mistero.
Di ogni terra ne farò un quadro che rappresenterà i colori, la memoria, la storia della nostra città ed anche le tappe della mia piccola, breve vita. E sarà meraviglioso mostrarlo agli amici che verranno a trovarmi e raccontare loro “questa sabbia viene da un posto dove un giorno, insieme a…”
ENZO LAEZZA, IL POLIZIOTTO GENTILE
Enzo Laezza, uno dei poliziotti più noti dai lentinesi, ha raggiunto l’età del congedo ed ha lasciato la P. S. Difficile da credere, considerato il suo attaccamento al lavoro e la sua figura ancora così giovanile.
Giunse a Lentini nel ’72 che sembrava gemello di Gianni Morandi. Qui in 40 anni ha salito tutti i gradini della carriera di sottufficiale fino a congedarsi con il grado di commissario.
Venne con un paio di bagagli molto pesanti ma portati con la leggerezza di chi ne conosce bene il valore: gli insegnamenti della Scuola di Polizia ed una raccomandazione del nonno don Nicola Sansone, noto, rispettato e saggio contadino delle campagne di Acerra: “Ricordati sempre, caro Enzo, la delicatezza del tuo ruolo. Ti capiterà spesso di avere in mano il destino di qualcuno poco fortunato. Comportati sempre con correttezza ed umanità e non avrai mai motivi di rimorso”.
Quando giunse a Lentini Enzo ebbe la fortuna di trovare subito in tanti suoi colleghi anziani, quelli che dovevano fargli da maestri, altrettanti “nipoti” di nonno Sansone; gente che da anni operava proprio seguendo quei principi di rispetto e di attenzione nei confronti di chiunque: dal Commissario Edoardo Burrascano al maresciallo Gentile, al brigadiere Blasco, dal brigadiere Matarazzo, all’appuntato Porto (in occasione della lavorazione a “Graziella fumava le Alfa” e nel Convegno sui fatti della Vaddàra ho avuto la possibilità di raccogliere diverse testimonianze che raccontano come sia antica e solida a Lentini la tradizione di esponenti della P. S. portati al dialogo e alla comprensione. Parlo del 1966 e del 1948).
Il quarantennio attraversato da Laezza in divisa è stato un periodo di straordinari cambiamenti. Ed egli, un po’ per sensibilità personale, un po’ perché ogni giorno diventava più lentinese (nel ‘74 ha sposato Lucia Cardillo, figlia di un altro protagonista di quegli anni, il cav. Alfio, dirigente artigiano, assessore e consigliere comunale) ne è stato testimone attento e consapevole.
Nel ’72 Lentini, era una città, se posso dire così, molto “ordinata”: la Chiesa (le parrocchie di S.
Alfio, della S. S.Trinità, di S. Luca, di Santa Croce, con padre La Rosa e padre D’Asta, padre Di
Stefano, padre Raddino, padre Cantella) riusciva ad aggregare centinaia di giovani con varie attività
culturali e sportive, oltre che con il richiamo della fede. I sindacati potevano contare circa 5-6000 iscritti e la loro influenza non si limitava solo all’ambito lavorativo. I partiti erano veri e propri centri di aggregazione e partecipazione democratica, scuole di pensiero e di comportamento, palestre per la formazione dei cittadini partecipi e consapevoli. Certo, ognuno con i propri punti di vista, spesso molto distanti tra loro (Partito Comunista, Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Movimento Sociale), ma con un comune denominatore: quello che oggi, come fosse una “scoperta”della Lega Nord, viene chiamato “rapporto con il territorio”.
Ecco, il territorio e la comunità erano certamente più monitorabili ed in grado di auto-proteggersi da qualunque tipo di attacco esterno: da quelli portati all’ambiente a quelli contro la civile convivenza.
Man mano, però, le cose cambiavano: l’organizzazione della società andava pian piano perdendo consistenza e le sue difese immunitarie andavano indebolendosi.
Cambiava ancora, dunque, il tipo di impegno della P. S. e di Enzo Laezza.
Gli anni ’80 probabilmente possono essere definiti anni di “occupazione mafiosa”. Penso abbia ragione Enzo quando osserva che questa “invasione” fu possibile, o, almeno, agevolata dal notevole indebolimento degli argini sociali di cui si è parlato prima (sindacati in primis).
Furono quelli gli anni tristissimi delle bombe nei cantieri e nei magazzini, delle guerre tra clan e interne ai clan. Decine di omicidi commessi anche nelle strade del centro, attentati così frequenti da farci sembrare nel Libano di allora.
Il nostro testimone era sempre là, con compiti diversi, preoccupazioni diverse e l’angoscia del lentinese sempre più preoccupato per il futuro della sua città.
Gli anni ’90 si caratterizzarono per un duplice aspetto: sotto il profilo istituzionale, la stabilità delle Giunte Raiti, rese possibili dalla nuova Legge elettorale (elezione diretta del Sindaco), che diedero grande slancio a quella che nel passato era stato tratto caratterizzante del profilo di Lentini: la democrazia e la partecipazione popolare; sotto il profilo della voglia di rinascita della comunità, da un grande attivismo, talvolta brillante, altre volte confuso, alla ricerca di nuove prospettive per vie senza sbocchi (un turismo fondato su feste popolari, spettacolarizzazione di storie e tradizioni sacre, ecc.). Altra nota caratterizzante di questa fase, nota secondo me positiva in tutto e per tutto,
fu la nascita della cultura della salvaguardia del territorio, in primo luogo riguardo le possibili presenze di prodotti nocivi, in considerazione dell’alta incidenza di patologie leucemiche e tumorali.
In quest’ultima attività che coinvolse gran parte della città e di cui l’Amministrazione Comunale fu forte promotrice, il nostro Enzo svolse (e continua a svolgere, per essere precisi) un ruolo fondamentale. Stavolta non come poliziotto ma come fondatore e presidente dell’Associazione per bambini leucemici “Manuela e Michele”-
Come tutti sanno nell’87 egli subì la più grande tragedia che possa subire un padre: la perdita di una figlioletta, Manuela, appunto per leucemia.
Fu un’altra occasione (stavolta amarissima) per conoscere la forza e la generosità dell’uomo. Egli non si chiuse nel suo dolore, ma insieme ad altri genitori altrettanto sfortunati (i Niniano, papà e mamma di Michele) diede vita ad un’Associazione che da oltre vent’anni è ormai nella storia, non solo cittadina, per il numero e la qualità degli interventi a favore dei bambini leucemici e delle loro famiglie.
Ma questa è un’altra storia e sono certo che Enzo ci “costringerà” a parlare a lungo anche di essa.
Oggi va rivolto il saluto grato al poliziotto che non ha mai alzato la voce né strattonato nessuno, che è stato efficiente senza ricorrere mai alle maniere forti. A un protagonista e testimone degli ultimi quarant’anni, consapevole sempre della delicatezza del suo ruolo e dell’importanza di viverlo in assonanza con la comunità. Al servitore dello Stato che, mentre tutto attorno a lui cambiava, e non sempre in meglio, ha sempre mantenuto la coerenza del “poliziotto di prossimità” e l’umanità del nipote di don Nicola.
Per oggi non riesco a aggiungere altro che questo: “Ti ringrazio, caro Enzo, come lentinese e come amico. Spero che in tanti seguano il tuo esempio”.
Giunse a Lentini nel ’72 che sembrava gemello di Gianni Morandi. Qui in 40 anni ha salito tutti i gradini della carriera di sottufficiale fino a congedarsi con il grado di commissario.
Venne con un paio di bagagli molto pesanti ma portati con la leggerezza di chi ne conosce bene il valore: gli insegnamenti della Scuola di Polizia ed una raccomandazione del nonno don Nicola Sansone, noto, rispettato e saggio contadino delle campagne di Acerra: “Ricordati sempre, caro Enzo, la delicatezza del tuo ruolo. Ti capiterà spesso di avere in mano il destino di qualcuno poco fortunato. Comportati sempre con correttezza ed umanità e non avrai mai motivi di rimorso”.
Quando giunse a Lentini Enzo ebbe la fortuna di trovare subito in tanti suoi colleghi anziani, quelli che dovevano fargli da maestri, altrettanti “nipoti” di nonno Sansone; gente che da anni operava proprio seguendo quei principi di rispetto e di attenzione nei confronti di chiunque: dal Commissario Edoardo Burrascano al maresciallo Gentile, al brigadiere Blasco, dal brigadiere Matarazzo, all’appuntato Porto (in occasione della lavorazione a “Graziella fumava le Alfa” e nel Convegno sui fatti della Vaddàra ho avuto la possibilità di raccogliere diverse testimonianze che raccontano come sia antica e solida a Lentini la tradizione di esponenti della P. S. portati al dialogo e alla comprensione. Parlo del 1966 e del 1948).
Il quarantennio attraversato da Laezza in divisa è stato un periodo di straordinari cambiamenti. Ed egli, un po’ per sensibilità personale, un po’ perché ogni giorno diventava più lentinese (nel ‘74 ha sposato Lucia Cardillo, figlia di un altro protagonista di quegli anni, il cav. Alfio, dirigente artigiano, assessore e consigliere comunale) ne è stato testimone attento e consapevole.
Nel ’72 Lentini, era una città, se posso dire così, molto “ordinata”: la Chiesa (le parrocchie di S.
Alfio, della S. S.Trinità, di S. Luca, di Santa Croce, con padre La Rosa e padre D’Asta, padre Di
Stefano, padre Raddino, padre Cantella) riusciva ad aggregare centinaia di giovani con varie attività
culturali e sportive, oltre che con il richiamo della fede. I sindacati potevano contare circa 5-6000 iscritti e la loro influenza non si limitava solo all’ambito lavorativo. I partiti erano veri e propri centri di aggregazione e partecipazione democratica, scuole di pensiero e di comportamento, palestre per la formazione dei cittadini partecipi e consapevoli. Certo, ognuno con i propri punti di vista, spesso molto distanti tra loro (Partito Comunista, Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Movimento Sociale), ma con un comune denominatore: quello che oggi, come fosse una “scoperta”della Lega Nord, viene chiamato “rapporto con il territorio”.
Ecco, il territorio e la comunità erano certamente più monitorabili ed in grado di auto-proteggersi da qualunque tipo di attacco esterno: da quelli portati all’ambiente a quelli contro la civile convivenza.
Man mano, però, le cose cambiavano: l’organizzazione della società andava pian piano perdendo consistenza e le sue difese immunitarie andavano indebolendosi.
Cambiava ancora, dunque, il tipo di impegno della P. S. e di Enzo Laezza.
Gli anni ’80 probabilmente possono essere definiti anni di “occupazione mafiosa”. Penso abbia ragione Enzo quando osserva che questa “invasione” fu possibile, o, almeno, agevolata dal notevole indebolimento degli argini sociali di cui si è parlato prima (sindacati in primis).
Furono quelli gli anni tristissimi delle bombe nei cantieri e nei magazzini, delle guerre tra clan e interne ai clan. Decine di omicidi commessi anche nelle strade del centro, attentati così frequenti da farci sembrare nel Libano di allora.
Il nostro testimone era sempre là, con compiti diversi, preoccupazioni diverse e l’angoscia del lentinese sempre più preoccupato per il futuro della sua città.
Gli anni ’90 si caratterizzarono per un duplice aspetto: sotto il profilo istituzionale, la stabilità delle Giunte Raiti, rese possibili dalla nuova Legge elettorale (elezione diretta del Sindaco), che diedero grande slancio a quella che nel passato era stato tratto caratterizzante del profilo di Lentini: la democrazia e la partecipazione popolare; sotto il profilo della voglia di rinascita della comunità, da un grande attivismo, talvolta brillante, altre volte confuso, alla ricerca di nuove prospettive per vie senza sbocchi (un turismo fondato su feste popolari, spettacolarizzazione di storie e tradizioni sacre, ecc.). Altra nota caratterizzante di questa fase, nota secondo me positiva in tutto e per tutto,
fu la nascita della cultura della salvaguardia del territorio, in primo luogo riguardo le possibili presenze di prodotti nocivi, in considerazione dell’alta incidenza di patologie leucemiche e tumorali.
In quest’ultima attività che coinvolse gran parte della città e di cui l’Amministrazione Comunale fu forte promotrice, il nostro Enzo svolse (e continua a svolgere, per essere precisi) un ruolo fondamentale. Stavolta non come poliziotto ma come fondatore e presidente dell’Associazione per bambini leucemici “Manuela e Michele”-
Come tutti sanno nell’87 egli subì la più grande tragedia che possa subire un padre: la perdita di una figlioletta, Manuela, appunto per leucemia.
Fu un’altra occasione (stavolta amarissima) per conoscere la forza e la generosità dell’uomo. Egli non si chiuse nel suo dolore, ma insieme ad altri genitori altrettanto sfortunati (i Niniano, papà e mamma di Michele) diede vita ad un’Associazione che da oltre vent’anni è ormai nella storia, non solo cittadina, per il numero e la qualità degli interventi a favore dei bambini leucemici e delle loro famiglie.
Ma questa è un’altra storia e sono certo che Enzo ci “costringerà” a parlare a lungo anche di essa.
Oggi va rivolto il saluto grato al poliziotto che non ha mai alzato la voce né strattonato nessuno, che è stato efficiente senza ricorrere mai alle maniere forti. A un protagonista e testimone degli ultimi quarant’anni, consapevole sempre della delicatezza del suo ruolo e dell’importanza di viverlo in assonanza con la comunità. Al servitore dello Stato che, mentre tutto attorno a lui cambiava, e non sempre in meglio, ha sempre mantenuto la coerenza del “poliziotto di prossimità” e l’umanità del nipote di don Nicola.
Per oggi non riesco a aggiungere altro che questo: “Ti ringrazio, caro Enzo, come lentinese e come amico. Spero che in tanti seguano il tuo esempio”.
domenica 9 maggio 2010
FILASTROCCA UN POCO SCIOCCA
Verranno, verranno, verranno le riforme
e tutto il mondo in rosa per noi diventerà.
Evviva, evviva, evviva le riforme,
per grandi e per piccini sarà felicità.
Che belle, che belle, che belle, le riforme,
il popolo contento di gioia esulterà.
Che forza, che forza, che forza le riforme,
son solo le riforme il sol dell’avvenir.
Che buone, che buone, che buone le riforme,
solo con le riforme potremo ripartir.
Che grandi, che grandi, che grandi le riforme,
le vie più luminose si stanno per aprir.
Che tempi, che tempi, che tempi, le riforme!
Da diciassette anni son lì per arrivar.
Vedrete, vedrete, vedrete che riforme!
Dieci anni ancora o venti: qualcosa si vedrà.
Tranquilli, tranquilli! Allora le riforme
Sapremo finalmente che cosa mai saran.
e tutto il mondo in rosa per noi diventerà.
Evviva, evviva, evviva le riforme,
per grandi e per piccini sarà felicità.
Che belle, che belle, che belle, le riforme,
il popolo contento di gioia esulterà.
Che forza, che forza, che forza le riforme,
son solo le riforme il sol dell’avvenir.
Che buone, che buone, che buone le riforme,
solo con le riforme potremo ripartir.
Che grandi, che grandi, che grandi le riforme,
le vie più luminose si stanno per aprir.
Che tempi, che tempi, che tempi, le riforme!
Da diciassette anni son lì per arrivar.
Vedrete, vedrete, vedrete che riforme!
Dieci anni ancora o venti: qualcosa si vedrà.
Tranquilli, tranquilli! Allora le riforme
Sapremo finalmente che cosa mai saran.
giovedì 6 maggio 2010
Padre Tarcisio, comboniano
Vi presento Padre Tarcisio Pazzaglia, missionario comboniano in Uganda da oltre 40 anni. Ha visto guerre, malattie, carestie, torture. E' stato ferito, preso prigioniero, condannato a morte. Ha subito diverse operazioni, l'ultima l'inverno scorso, ma è sempre tornato in Uganda, dove c'è bisogno di lui. Nel giorno del suo compleanno ha mandato questo regalo a tutti noi che abbiamo il privilegio di essere considerati suoi amici.
lunedì 3 maggio 2010
COMUNICATO STAMPA
IL CIRCOLO LENTINI, UN LIBRO, UN VIDEO, CENTINAIA DI PROTAGONISTI
Giovedì 6 maggio alle ore 20,30, presso il cine-teatro Odeon-Lo Presti, sarà presentato il libro “IL CIRCOLO LENTINI, UNA BELLA STORIA DI CALCIO” di Ciro Militti e Guglielmo Tocco, con la prefazione del preside Armando Rossitto, assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Lentini, edizione Inmedia.
Si racconta la storia di una società di calcio giovanile, dalla vita relativamente breve, ma che ha avuto uno straordinario impatto con la comunità lentinese per il numero di atleti, per l’attaccamento di costoro ai colori sociali, per il ruolo formativo ed educativo, per essere stata l’unica a portare ogni anno i propri atleti in tournèe all’estero, e non per ultimo, per essere stata fondata e diretta da personaggi “storici” del calcio lentinese,come Lucio Inserra, Alfio e Fino Carrà, ecc.
La serata andrà ben oltre la presentazione del libro: sono previsti interventi da parte degli autori, dei protagonisti, del sindaco e dell’assessore Rossitto, sarà proiettato un video con immagini della squadra in Svezia e in Germania. Ma sarà anche una grande festa in cui centinaia di ex calciatori, allenatori e dirigenti dl Circolo si incontreranno per ricordare e per raccontare alla città un’esperienza unica e indimenticabile.
Il libro e la serata stati patrocinati dall’Amministrazione Comunale di Lentini.
domenica 17 gennaio 2010
BA-LO-TE-LLI-BA-LO-TE-LLI
Sono tifoso della Juventus dal 1960, i tempi di Sivori, Charles, Boniperti. Mai tradito la Juve. Ma in questi giorni ho trasferito parte consistente del mio tifo su Balotelli.
È meraviglioso: a soli diciannove anni riesce a mettere sistematicamente in difficoltà i razzisti che frequentano gli stadi e la Lega Calcio. I primi sono costretti a cori così demenziali che se a casa lo sanno i figli e i fratelli più piccoli non vanno più a scuola per la vergogna: il più evoluto e intelligente di detti cori è “Se saltelli muore Balotelli”. E mentre lo urlano coi volti paonazzi saltellano come dei primati. Delle altre manifestazioni dei propri sentimenti neanche a parlarne: vanno dal “buuu” al lancio di banane in campo, come per dire “hai la pelle nera, quindi sei una scimmia”. Più o meno come fece il bue quando diede del cornuto all’asino. Penso che il volto e l’intelligenza che i razzisti da stadio stanno mostrando, oltre che veritieri siano i migliori strumenti di lotta contro il razzismo in generale. Basta farli conoscere anche fuori dagli stadi e vedrete che anche i razzisti “da città” non si mostreranno più per paura di assomigliare a quelli.
Ma quali sono le colpe di Balotelli? Diverse. Innanzitutto è nero, molto bello, dal fisico statuario (forse suscita qualche invidia?) in secondo luogo è bravissimo a giocare al calcio (e come si permette?); in terzo luogo, e questo non lo doveva proprio fare, è italiano (non esistono italiani neri, urlano); infine, e questa è la colpa più grande, quando loro fanno le scimmie saltellanti, Mario fa l’uomo: non abbassa la testa, non si demoralizza e batte loro le mani.
Quei galantuomini (e qualche altro ipocrita dell’ambiente) sostengono che ce l’hanno con Mario per il suo carattere e non per la pelle. E allora, perché “buuuu” e banane? All’inizio citavo Sivori: oltre ad essere stato straordinario e indimenticabile campione di calcio, il grande Omar fu anche primatista mondiale di squalifiche per liti con avversari, con arbitri e pubblico. Ma aveva la pelle bianca e quindi anche il diritto ad un bel caratterino.
E la Lega Calcio? Beh, il suo primo intervento fu quello di multare Balotelli perché applaudì i dementi che gli auguravano la morte (ripeto, 19 anni e calciatore, mica killer o stupratore di bambini). Il secondo intervento, grazie alla reazione della stampa “buonista” (attenzione: questa è una parolaccia!) è stato ragionevole il minimo: la curva Sud dello stadio di Torino sarà chiusa per la prossima partita della Juve. Ecco, non fare entrare in uno stadio, almeno per un giorno, una massa di idioti, razzisti e violenti non salverà il mondo, ma potrebbe essere l’inizio di una reazione che vada oltre la persona del calciatore con la schiena dritta.
E questo è il più bel gol del mio beniamino.
È meraviglioso: a soli diciannove anni riesce a mettere sistematicamente in difficoltà i razzisti che frequentano gli stadi e la Lega Calcio. I primi sono costretti a cori così demenziali che se a casa lo sanno i figli e i fratelli più piccoli non vanno più a scuola per la vergogna: il più evoluto e intelligente di detti cori è “Se saltelli muore Balotelli”. E mentre lo urlano coi volti paonazzi saltellano come dei primati. Delle altre manifestazioni dei propri sentimenti neanche a parlarne: vanno dal “buuu” al lancio di banane in campo, come per dire “hai la pelle nera, quindi sei una scimmia”. Più o meno come fece il bue quando diede del cornuto all’asino. Penso che il volto e l’intelligenza che i razzisti da stadio stanno mostrando, oltre che veritieri siano i migliori strumenti di lotta contro il razzismo in generale. Basta farli conoscere anche fuori dagli stadi e vedrete che anche i razzisti “da città” non si mostreranno più per paura di assomigliare a quelli.
Ma quali sono le colpe di Balotelli? Diverse. Innanzitutto è nero, molto bello, dal fisico statuario (forse suscita qualche invidia?) in secondo luogo è bravissimo a giocare al calcio (e come si permette?); in terzo luogo, e questo non lo doveva proprio fare, è italiano (non esistono italiani neri, urlano); infine, e questa è la colpa più grande, quando loro fanno le scimmie saltellanti, Mario fa l’uomo: non abbassa la testa, non si demoralizza e batte loro le mani.
Quei galantuomini (e qualche altro ipocrita dell’ambiente) sostengono che ce l’hanno con Mario per il suo carattere e non per la pelle. E allora, perché “buuuu” e banane? All’inizio citavo Sivori: oltre ad essere stato straordinario e indimenticabile campione di calcio, il grande Omar fu anche primatista mondiale di squalifiche per liti con avversari, con arbitri e pubblico. Ma aveva la pelle bianca e quindi anche il diritto ad un bel caratterino.
E la Lega Calcio? Beh, il suo primo intervento fu quello di multare Balotelli perché applaudì i dementi che gli auguravano la morte (ripeto, 19 anni e calciatore, mica killer o stupratore di bambini). Il secondo intervento, grazie alla reazione della stampa “buonista” (attenzione: questa è una parolaccia!) è stato ragionevole il minimo: la curva Sud dello stadio di Torino sarà chiusa per la prossima partita della Juve. Ecco, non fare entrare in uno stadio, almeno per un giorno, una massa di idioti, razzisti e violenti non salverà il mondo, ma potrebbe essere l’inizio di una reazione che vada oltre la persona del calciatore con la schiena dritta.
E questo è il più bel gol del mio beniamino.
sabato 9 gennaio 2010
Fratelli d'Italia, l'Italia s'è persa
Quello che è accaduto (sperando, mentre leggete questo articolo, non stia ancora accadendo) a Rosarno e Gioia Tauro ci mette davanti ad una realtà assolutamente incontestabile: questo è un Paese razzista, ipocrita e arretrato.
Parole grosse? Vediamo.
Rosarno è una cittadina calabrese, in provincia di Reggio Calabria, che conta poco meno di 16 mila abitanti. Secondo un rapporto di “Medici senza Frontiere” essa, ospita più di 5000 immigrati, 23 diverse nazionalità, tra extra-comunitari e comunitari, che ne fanno la terza zona d'Italia ad alta densità di stranieri in rapporto alla popolazione residente, dopo Napoli e Foggia. Vuol dire che ogni quattro persone che circolano nel suo territorio una è straniera (quasi sempre di pelle nera che più nera non si può). Per anni hanno convissuto pacificamente. Nessuno (autorità, amministrazione, bravi cittadini) si è posto il problema di distinguere tra immigrati regolari e clandestini. Sapete perché? Perché tutti e 5 mila facevano comodo. Perché in campagna, a raccogliere arance e mandarini, quelli lavorano dall’alba al tramonto, come gli italiani di ottant’anni fa, a metà paga e senza ingaggi, diritti, assicurazioni, ecc. E i clandestini facevano più comodo, perché ancora più deboli e meno protetti e anche ricattabili.
Sono stati trattati così male (nel lavoro e fuori) da avviare una vera e propria rivolta. E giustamente tutti ci indigniamo per la rivolta. I bianchi sparano sui corpi dei neri e la cosa non ci turba granché, poi i neri sfasciano i cassonetti e le automobili dei bianchi e siamo tutti preoccupati dell’invasione dei neri. Il Ministro degli Interni (il geniale inventore delle ronde che dovevano salvare l’Italia e che neanche nelle sue valli prealpine hanno trovato gente disposta a farle) ha dichiarato che il problema è dovuto alla eccessiva tolleranza verso i clandestini. Lui quando ha fatto quella dichiarazione non sapeva perché le prime due persone straniere di colore erano state colpite con armi da fuoco, né sapeva se erano regolari o clandestini. Sapeva solo che erano neri. Pertanto, e solo per tanto, erano causa e non vittime di violenza (a quando, sig. ministro, le ronde coi cappucci bianchi e le croci incendiate?). Questo si chiama razzismo e il far finta di non accorgersi che in Italia migliaia e migliaia di poveracci sono tenuti in condizioni di semi schiavitù si chiama ipocrisia.
E l’arretratezza? Questo tipo di razzismo è da Mississippi, Georgia, Louisiana della prima metà del secolo scorso, è quello che abbiamo visto in tanti vecchi film americani da Mississippi burning a Il buio oltre la siepe a La calda notte dell’ispettore Tibbs. La contemporaneità è un nero, figlio di immigrato, Presidente degli Stati Uniti d’America.
Parole grosse? Vediamo.
Rosarno è una cittadina calabrese, in provincia di Reggio Calabria, che conta poco meno di 16 mila abitanti. Secondo un rapporto di “Medici senza Frontiere” essa, ospita più di 5000 immigrati, 23 diverse nazionalità, tra extra-comunitari e comunitari, che ne fanno la terza zona d'Italia ad alta densità di stranieri in rapporto alla popolazione residente, dopo Napoli e Foggia. Vuol dire che ogni quattro persone che circolano nel suo territorio una è straniera (quasi sempre di pelle nera che più nera non si può). Per anni hanno convissuto pacificamente. Nessuno (autorità, amministrazione, bravi cittadini) si è posto il problema di distinguere tra immigrati regolari e clandestini. Sapete perché? Perché tutti e 5 mila facevano comodo. Perché in campagna, a raccogliere arance e mandarini, quelli lavorano dall’alba al tramonto, come gli italiani di ottant’anni fa, a metà paga e senza ingaggi, diritti, assicurazioni, ecc. E i clandestini facevano più comodo, perché ancora più deboli e meno protetti e anche ricattabili.
Sono stati trattati così male (nel lavoro e fuori) da avviare una vera e propria rivolta. E giustamente tutti ci indigniamo per la rivolta. I bianchi sparano sui corpi dei neri e la cosa non ci turba granché, poi i neri sfasciano i cassonetti e le automobili dei bianchi e siamo tutti preoccupati dell’invasione dei neri. Il Ministro degli Interni (il geniale inventore delle ronde che dovevano salvare l’Italia e che neanche nelle sue valli prealpine hanno trovato gente disposta a farle) ha dichiarato che il problema è dovuto alla eccessiva tolleranza verso i clandestini. Lui quando ha fatto quella dichiarazione non sapeva perché le prime due persone straniere di colore erano state colpite con armi da fuoco, né sapeva se erano regolari o clandestini. Sapeva solo che erano neri. Pertanto, e solo per tanto, erano causa e non vittime di violenza (a quando, sig. ministro, le ronde coi cappucci bianchi e le croci incendiate?). Questo si chiama razzismo e il far finta di non accorgersi che in Italia migliaia e migliaia di poveracci sono tenuti in condizioni di semi schiavitù si chiama ipocrisia.
E l’arretratezza? Questo tipo di razzismo è da Mississippi, Georgia, Louisiana della prima metà del secolo scorso, è quello che abbiamo visto in tanti vecchi film americani da Mississippi burning a Il buio oltre la siepe a La calda notte dell’ispettore Tibbs. La contemporaneità è un nero, figlio di immigrato, Presidente degli Stati Uniti d’America.
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