Il 7 luglio un articolo di Repubblica, con inizio in prima pagine e poi in tutto un paginone interno, è apparso un articolo dal titolo "L'amore raccontato dai poeti della mia Sicilia", contenente una notizia bellissima: la Mondadori ha edito tre volumi ai poeti della Scuola Siciliana, e di questi volumi, il primo è interamente dedicato a Giacomo da Lentini (“e non poteva che essere dedicato a lui” precisa l’autore dell’articolo).
Eh già, l’autore! Dimenticavo di dirlo: si chiama Andrea Camilleri. Qualcuno lo conosce?
I libri scritti sul Notaro e le pubblicazioni della sua poesia non si contano (un pregevole testo del nostro concittadino Gianni Cannone ha visto la luce solo pochi mesi fa). Ma quest’opera (da Camilleri definita "grandiosa") pare destinata a conquistare il primo posto per importanza scientifica e per potenzialità divulgative. Il protopoeta lentinese da secoli è letto, studiato, apprezzato in ogni latitudine, non solo per le sue poesie ma anche per "la strepitosa invenzione di quella forma metrica perfetta che è il sonetto" (sono ancora parole di Camilleri) e per essere stato citato da Dante nella sua "De vulgari eloquentia" come il primo poeta della Scuola Siciliana, a sua volta fondamento della lingua volgare, l'italiano delle origini. Ma non possiamo fare a meno di commuoverci e provare anche noi un fremito di orgoglio se leggiamo ora, nel 2008, circa otto secoli dopo il suo passaggio su questa terra, che Giacomo è considerato il fondatore della lirica italiana (Roberto Antonelli, curatore del libro).
In quest’epoca tutta incentrata sulla comunicazione, un articolo firmato da Andrea Camilleri e pubblicato su un giornale di larghissima diffusione avrà un effetto dirompente: l’interesse e la curiosità attorno a Giacomo da Lentini crescerà enormemente.
Anche la sua città natale, tra l’altro mai disgiunta dal suo nome, entrerà, volente o nolente, sotto la luce dei riflettori. E a questo punto è d’obbligo la domanda: cosa intende fare questa città? Intende riconoscersi e farsi riconoscere come la città di Iacopo e assumersi certe responsabilità oppure no? Per chiarire il seno della mia domanda, voglio dire che qua non si tratta più solo di una questione riguardante la letteratura, la poesia, gli studiosi, le scuole e neppure una questione di orgoglio campanilistico (e i due aspetti, comunque, non mi sembrano di poco conto). Qui si tratta di decidere se “diventare” città di Iacopo, cioè città in cui un turista che venga perché qui nacque Iacopo non rimanga deluso come non lo rimane chi visita Recanati perché città natale di Leopardi (e sono tanti, quelli che visitano Recanati). Si tratta di diventare città in cui in ogni via, in ogni piazza, nella Biblioteca comunale, nelle librerie abbondino le tracce di Iacopo. Questa di cui fino ad ora ho parlato come di un onere, in realtà si rivelerebbe per Lentini non solo un onore, ma anche una straordinaria e inaspettata possibilità di crescita culturale ed economica. Un gruppo di persone e di associazioni è già al lavoro per organizzare un primo convegno su Iacopo con la presenza di Camilleri, Antonelli, Silvano Nigro, ecc., alla fine di ottobre, Il livello del Convegno e le prospettive che potrebbe aprire non dipenderanno solo dagli organizzatori, ma anche dal ruolo che il Comune, la Regione, la Provincia e le scuole vorranno giocare.
(publicato su "Murganzio")