Da siciliano considero il 17 dicembre una data da segnare in rosso.
Il 17 dicembre del 1966 vi fu un processo. Otto uomini furono condannati. Uno di essi per sequestro di persona e violenza sessuale, gli altri perché complici. Un fatto di cronaca nera, dunque? No, un fatto che cambiò la Sicilia. E soprattutto una tappa fondamentale nel processo di emancipazione delle donne nell’isola e in Italia. Di quegli uomini non vale la pena di parlare: uomini da niente. Vorrei parlare invece di quella che fu la vittima della violenza e del sequestro e che diventò un’eroina a cui forse la Sicilia e le donne di tutta Italia devono molto. E vorrei parlare anche del rapporto uomo-donna (o, se volete, del rapporto donna-società) fino a meno di mezzo secolo fa in Sicilia.
Nel dicembre del 1965 ad Alcamo, in provincia di Trapani, una ragazzina di 17 anni viene rapita in casa sua. Il capo dei rapitori è un giovane del luogo, come i sette altri giovani che lo aiutarono. Il rapimento avvenne in pieno giorno dentro il centro abitato. Molti videro e avrebbero potuto intervenire, ma si girarono dall’altra parte. Semplice vigliaccheria o omertà? No. Non intervenne nessuno perché ciò che stava accadendo era semplicemente un modo di giungere al matrimonio.
Nella Sicilia di quegli anni la donna non aveva alcuna autonomia. Era “cosa” dell’uomo. Per mantenere questo privilegio la società del tempo aveva un sistema vigente da secoli: l’arma dell’onore.
Come funzionava? Semplice. Una donna che perdeva la verginità non era più degna di essere sposata da nessuno. Era disonorata. E l’uomo che l’avesse preso in casa sarebbe stato un disonorato a sua volta (un cornuto).. L’unico modo per recuperare l’onore perduto, per la donna, era quello di essere sposata da chi le aveva tolto la verginità. Da questo semplice assioma derivavano due cose: la fuitina consensuale e quella non consensuale. La prima la mettevano in atto i ragazzi che si amavano e non potevano sposarsi senza il consenso dei genitori. Scappavano, tornavano dopo pochi giorni, facevano sapere al mondo che lei non era più vergine e l’eventuale accordo dei genitori di lei con qualche altro pretendente saltava. Anche questi accordi tra famiglie senza badare troppo alla volontà dei ragazzi era un fatto diffuso. La ragazza, dunque, rientrava disonorata e l’unico modo per tornare onorata era quello di sposarsi col ragazzo che aveva scelto. Il secondo tipo di fuitina era molto più violento, ma in linea con il pensiero prevalente secondo il quale a donna era un oggetto. Lo spasimante respinto dalla ragazza o dalla sua famiglia, rapiva la fanciulla, la violentava e lo faceva sapere in giro. L’aveva rovinata. L’unico modo che lei aveva per salvarsi era quello di sposare il suo violentatore. La società, trattando lei come colpevole, diventava complice del violentatore. E lo stato non era da meno: c’era un articolo del codice penale che disponeva che se la donna violentata sposava il proprio violentatore, il reato veniva estinto. Tutto si incastrava perfettamente: i ricatti sociali, la violenza, il sacro principio che la donna era un oggetto, la prepotenza, la vigliaccheria, la paura, l’omertà. Era la Sicilia di quaranta-cinquant’anni fa.
Illustrata la situazione generale, torniamo alla diciassettenne di Alcamo che subì la prima violenza e doveva essere destinata a subirne altre per tutto il tempo in cui la sua vita sarebbe durata.
Si chiama Franca Viola ed è ancora viva. Lei dopo nove giorni di sequestro e quando tutto il paese era stato sapientemente informato che non era più vergine, anziché rassegnarsi ad un destino scritto da una società ingiusta, arretrata, violenta, decise di sfidare tutti i ricatti, i pericoli, le minacce che non solo il violentatore, ma l’intera comunità le mettevano davanti. La comunità si sentì tradita da lei, non da lui. Lei si stava ribellando alle leggi e alle tradizioni,e non avrebbe dovuto. Lui stava rispettando quelle leggi e quelle tradizioni. Ma Franca, la diciassettenne Franca Villa che era anche piccola e molto bella, era una roccia, non si spaventò di niente. Denunciò il mascalzone che le aveva strappato la verginità e il futuro. Fu la prima a farlo. Il 17 dicembre del 1966, la condanna. E da quel giorno, prima del ’68 e dei movimenti femministi degli anni ’70, le condizioni della donna siciliana cominciarono a cambiare in meglio. Tutte le donne, tutte le ragazze di oggi devono conoscere la storia di Franca Viola e devono ricordarla con gratitudine come una splendida eroina.
mercoledì 14 dicembre 2011
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