venerdì 16 marzo 2012

Eroi di tutti

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Chiedo scusa a tutti se nel giro di pochi giorni tratto per la seconda volta lo stesso argomento.
Lo farei ogni giorno pur di ottenere qualche risultato.
L’argomento prende le mosse dal ritrovamento del corpo i Placido Rizzotto, avvenuto nei giorni scorsi, 64 anni dopo il suo assassinio.
I mafiosi che lo uccisero vollero togliere a Rizzotto non solo la vita ma anche la possibilità di un luogo dove egli potesse riposare, i suoi cari pregare, qualcuno meditare. Allora non avevano ancora scoperto l’acido per eliminare ogni traccia dell’ucciso e usavano un metodo arcaico ed economico. Gettavano il cadaveri nei dirupi inaccessibili delle montagne vicine. Quando le forze dell’ordine si misero seriamente a cercare il corpo di Placido trovarono diverse di queste fosse comuni. Per individuare tra i tanti il corpo del sindacalista ci sono voluti decenni.
La storia è questa. Nel 1944, in un’Italia stremata dalla guerra e da un ventennio di privazioni, durante il breve periodo di governo di unità nazionale fu emanato un decreto che prevedeva la messa a cultura delle terre incolte e mal coltivate, assegnandole (in affitto oneroso e a tempo determinato) ai braccianti riuniti in cooperative. Nella Sicilia occidentale erano molti i terreni di grande estensione abbandonati a se stessi, ma l’obbligo di coltivarli per creare ricchezza per gli stessi proprietari e per l’intera collettività fu visto come un oltraggio e come sottrazione di sovranità.
Le camere del lavoro e le sedi delle leghe contadine furono i centri promotori delle cooperative che si candidavano ad ottenere l’affitto delle terre.
I latifondisti, per difendere l’antico privilegio della proprietà assoluta e senza alcun condizionamento. non potendosi rivolgere allo Stato, si rivolsero al loro storico braccio armato: la mafia.
La mafia di allora nei piccoli centri del feudo e del latifondo (Corleone, Baucina, Sciara, Montelepre, ecc.) era una casta che traeva la sua forza dalla capacità di intimidazione. Spesso ricorreva all’omicidio per affermare la sua presenza, per accrescere il suo prestigio e la propria forza di contrattazione con i padroni. Chiunque progettava di intraprendere un’attività sapeva che la “famiglia” del luogo sarebbe intervenuta o per chiedere il pizzo o per impedirne la nascita.
I braccianti e i contadini seppero subito che quel decreto non era ben visto dalla mafia. Molti esitarono. Toccò così ai loro dirigenti, i segretari delle camere del lavoro, i capi lega, a volta addirittura ai sindaci, di mettersi avanti in prima persona.
I primi coraggiosi erano consapevoli dei rischi che correvano, quelli che seguirono ne avevano la certezza, avendo visto cadere sul campo chi li aveva preceduto.
Andarono incontro alla morte, loro disarmati e i nemici armati, senza retrocedere.
Li guidava un’idea di giustizia, avevano una bandiera, erano consapevoli dei rischi e non cedevano neanche quando vedevano cadere un loro compagno.
Ecco perché furono degli eroi.
Ed erano portatori di valori antichi e moderni: la libertà, la giustizia, il diritto al lavoro, la legalità
Non furono, quindi eroi del sindacato, dei contadini, della sinistra o dell’antimafia, di Corleone o di Petralia Sottana o del palermitano o della Sicilia intera, sono eroi di tutti.
E vanno onorati e ricordati come esempio da seguire in qualsiasi comune d’Italia. Per quello che hanno fatto e per quello che ancora possono insegnarci.
Camminano accanto a Falcone e Borsellino, ai fratelli Cervi, a Salvo d’Acquisto.
Diamoci da fare perché anche a Lentini, intestando loro una via o una piazza, si fissi il loro ricordo.

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