giovedì 22 marzo 2012

La risorsa uomo

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Se permettete vorrei iniziare con una notizia che mi sta particolarmente a cuore. Ieri si è laureata in lettere moderne la nostra concittadina Luciella Failla, figlia dell’avvocato Aldo.
A parte il piacere personale, essendo Luciella figlia di un mio grandissimo amico, segnalo il fatto perché la neo laureata ha discusso una tesi sul nostro grande concittadino di sangue e onorario, Turi Vasile, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, drammaturgo e scrittore. Una scelta molto apprezzata anche dalla relatrice, professoressa Sarah Zappulla Muscarà e dal papà Aldo, carissimo amico dello scrittore, ma sicuramente anche di tutti quei lentinesi che vedono in questa scelta un’occasione per ricordare che Lentini è anche patria di artisti e intellettuali raffinatissimi e di fama internazionale.

L’argomento su cui vorrei dire qualcosa oggi ha a che fare proprio con le risorse intellettuali e le grandi istituzioni formative, scuola e università.
Più precisamente vorrei parlare delle enormi risorse sprecate, sottovalutate, non considerate, misconosciute, non valorizzate e della necessità di inventare qualcosa di nuovo, una scuola parallela da affiancare a scuole e università.
Qualcosa che non sia una scuola ma una galassia di piccole scuole locali e autonome tra di loro e dalla Scuola che conosciamo: che serva all’apprendimento di materie diverse da quelle che insegna la scuola, ma oggi quanto mai utili; che sia aperta a tutte le fasce d’età, ai disoccupati e ai lavoratori, ai pensionati e ai giovani; che tenga corsi veloci, mirati, che vadano dritto al sodo. Corsi che abbiano come obbiettivo quello di preparare ai nuovi lavori, alle possibilità che offre il mondo e non solo l’Italia ed anche di addestrare all’invenzione di nuovi lavori, nuovi servizi, nuove produzioni.
Per ribaltare l’attuale rapporto dell’uomo con la società, col lavoro, con la produzione.
L’uomo troppo spesso viene considerato poco più di uno strumento di lavoro, se serve all’azienda, pubblica o privata che sia, viene assunto, se non serve no. E non ha molti spazi per creare situazioni nuove, al massimo può arrangiarsi.
Quando quelli che non servono, cioè i disoccupati, diventano troppi, ecco che li si considera problema sociale.
Ribaltare questa impostazione vuol dire tirare fuori dall’uomo vocazioni nascoste, responsabilizzarlo, addestrarlo per diventare cacciatore di lavoro e non più vittima in attesa di essere cacciato, inventarselo pur non essendo un imprenditore. Vuol dire aiutarlo a mettersi in contatto con realtà nuove, insegnargli le lingue di queste nuove realtà (oggi sono Cina, Giappone, Brasile, India, Russia, domani chissà).
Vuol dire insegnargli ad usare ogni virtù nascosta del computer e svelargli tutte le potenzialità di internet, vuol dire accrescere la sua intelligenza emotiva.
Vuol dire abituarlo all’idea che il mondo è grande, vario, di tutti, che non è sciagura né vergogna andare altrove come non è una sciagura se altri vengono da noi per fare lavori che per loro sono più avanzati rispetto a quelli che offre il loro paese.
Ma vuol dire soprattutto mettere in circolo milioni di cervelli di disoccupati, di sottooccupati, di anziani, di persone che svolgono senza entusiasmo lavori senza prospettive di crescita e senza fascino.
Qualcosa del genere in tanti già la fanno da autodidatta, ma sono pochi quelli che da soli riescono a darsi un programma, obbiettivi chiari, strumenti adeguati e tempi giusti.
Il nuovo strumento formativo che ho in mente io servirebbe a dare ordine e velocità ai tentativi di questi autodidatta ma anche a invogliare tutti gli altri.
Se articolato ed organizzato bene questo strumento porterebbe ad una rivoluzione nel pensare, nel produrre, nei rapporti dell’uomo con il lavoro, nei rapporti tra gli uomini, nei rapporti tra il cittadino e la sua città.
E, soprattutto, darebbe il via alla rivoluzione più grande: trasformare l’uomo da strumento a risorsa.

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