Sono un convinto assertore della bontà di face-book.
Tra le tante opportunità di arricchire la vita quotidiana che esso offre (rintracciare vecchie amicizie, farne nuove, scambiarsi informazioni sui temi più vari), ce n’è una che a me interessa di più e che frequento costantemente: la possibilità di partecipare a discussioni le più disparate, aprirne di nuove, “creare” circoli virtuali
ed effimeri, misurarsi con temi serissimi o banali. C’è di buono che nessuno ti chiede se hai titoli per dire la tua e nessuno, quindi, può mostrare pregiudizi o ti può intimidire. Il risultato è che se hai qualcosa da dire la dici senza filtri, condizionamenti psicologici, per cui si scoprono persone molto preparate che nelle discussioni reali non riescono mai ad esprimersi al meglio perché circondate da scetticismo.
Insomma, sono convinto che ci aiuti a saperne di più, ad esprimerci meglio. a confrontare più facilmente le nostre idee con quelle degli altri. E a farci sopportare meglio la quasi scomparsa dei mitici dibattiti, delle assemblee, delle conferenze.
Ma qualche sera fa sono stato invitato ad una cosiddetta “conversazione pubblica” dall’associazione Demopolis.
Vi ho ritrovato tante cose che non si trovano su internet: volti, strette di mano, odori, voci.
Ed ho rivisto la passione, la timidezza, la veemenza, l’emotività. Ed anche lo spirito polemico, la teatralità, la gestualità, la ricerca della chiusura ad effetto, lo sforzo per esprimersi oltre che con le parole anche con i gesti, l’attenzione all’“l’effetto che fa”.
Non sto parlando di piccoli tic, di debolezze, di aspetti secondari. Sto parlando del linguaggio del corpo e della musicalità della voce. E se è vero che ognuno si distingue dagli altri, è anche vero che tutto l’armamentario di gesti, toni, sguardi ha una matrice comune , è quello di un popolo. Esiste un dialetto del corpo e degli sguardi, delle “nnacate” e delle allusioni. Viene espresso in ogni circostanza ma quando si parla in pubblico ci si sente in passerella e tutto viene enfatizzato, esposto al meglio, messo a confronto. Chi parla si esprime in italiano, ma questo “linguaggio di supplemento” affianca e talvolta sovrasta la lingua parlata e non abbandona mai il suo dialetto, il suo gergo.
L’occasione era ideale per suscitare passione ed emotività, perché l’argomento trattato era proprio quello giusto, “I diritti dei lavoratori dalle lotte bracciantili degli anni ‘60 ad oggi”.
Ringrazio Elio Magnano e l’avvocato Isabella Maltese, presidente di Demopolis, per avermi personalmente invitato e ancora di più per avere ricreato le condizioni perché questa magia si avverasse. Spero si riprenda con continuità questa pratica cara ai lentinesi. E spero che presto siano messi a disposizione della città i luoghi dei dibattiti e degli incontri: quelli della memoria, come l’Antico Lavatoio e quelli del futuro, come l’ex Aias, il Palazzo Beneventano, l’ex ospedale.
lunedì 5 marzo 2012
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