giovedì 14 luglio 2011

DA LENTINI A SIENA, di SIMONA TOCCO

Questo dovrebbe essere un breve racconto della mia esperienza e delle mie impressioni a “Se non ora, quando”, la grande manifestazione tenutasi a Siena il 9 e 10 luglio scorso, nella quale donne di tutta Italia si sono radunate per gridare ed esternare le proprie problematiche e per rivendicare i propri diritti, calpestati e volutamente dimenticati nell’Italia di oggi.

In realtà il mio punto di vista è particolare, essendo io parte del comitato “Archeologhe che (r)esistono”, ed è di questo che parlerò, e di come ci sono arrivata e che cosa noi siamo.
Quando mi è saltato in mente di partecipare, dal profondo sud, a questa manifestazione, avevo appena preso un incarico, breve, ma per me dal significato simbolico importantissimo, nella mia città, Lentini. Per me era la prima volta che lavoravo, retribuita, in Sicilia. Lo avevo già fatto, ma in altre regioni.; qui solo scavi a titolo gratuito, non lavoro. Stavo per partire per il nord e mandare al diavolo tutto, e invece mi chiamano qui. Ritrovo l’amore per la mia terra, non solo nel senso di luogo di appartenenza, ma per la terra in senso stretto. La “mia” arenaria, quella in cui sono cresciuta. Le necropoli che ho studiato, i luoghi sui quali ho fatto la mia tesi di laurea. Due giorni di lavoro e cambia tutto. Ho deciso, senza rendermene conto, che era qui che volevo restare, e che questo era il mestiere che più amavo al mondo, nonostante le avversità.
Nel frattempo, un gruppo, su Facebook, a cui avevo preso parte sin dall’inizio, quasi per gioco, comincia a crescere. Si chiama “Archeologhe che (r)esistono”, e raccoglie sempre più adesioni da ogni parte d’Italia. E’ nato a seguito della manifestazione “Se non ora, quando?” Del 13 febbraio scorso a Roma, e si propone di riunire tutte le donne che esercitano questo mestiere meraviglioso e difficilissimo, e che vogliono farsi vedere ed ascoltare.
In Italia il 70 % degli archeologi è donna, ma questo non significa che noi siamo visibili e con un peso sociale e politico. Non abbiamo un albo, non siamo riconosciuti come categoria professionale, i nostri contratti sono spesso fra i peggiori. La massima aspirazione è rientrare nella categoria degli impiegati nel settore dell’edilizia, per usufruire quantomeno di indennità di rischio e di usura, per un lavoro che in cantiere è fra i più logoranti. In genere però, i nostri contratti sono co.co.pro., a prestazione occasionale o con partita iva, e senza un tariffario unico per tutti. In un lavoro nel quale si sta perlopiù in cantieri, e per cui se ad esempio piove non lavori e non percepisci stipendio, questo tipo di trattamento contrattuale è assolutamente deleterio. Una donna che fa questo mestiere è ancora più penalizzata: spesso, benchè altamente specializzata, svolge le stesse mansioni fisiche degli operai, con meno diritti, come quello ad esempio di un bagno chimico, spessissimo assente nei cantieri, e con più rischi. La gravidanza è un tabù, tante colleghe sono costrette a lavorare fino all’ottavo, nono mese, pena la perdita delle giornate lavorative.
Il nostro movimento stava crescendo, e si iniziava a pensare a cosa fare a Siena. Avevamo deciso di esserci, e di portare a conoscenza di tutti la problematica nostra ma anche quella dei nostri colleghi maschi. E a questo punto mi contatta Astrid D’Eredità, la nostra splendida coordinatrice. Io c’ero sin dall’inizio, ma non avevo valutato la possibilità di parteciparvi attivamente. Mi ritrovo fra le fondatrici senza quasi rendermene conto, e capisco che non è un caso. Ci si inizia ad organizzare per Siena, e da un momento all’altro, decido di andarci anche io... sono un’archeologa, anche io ho faticato tanto per esserlo, e se c’è da rivendicare dei diritti voglio farlo anche io!
Il 9 luglio per me è stata una giornata esaltante. Ero partita il giorno prima da Catania, per Roma, e casualmente ero sullo stesso volo di un gruppo di donne del comitato SNOQ di Siracusa. E’ stata una festa ritrovarci insieme. La mattina dopo, un altro gruppo di donne fantastiche, del comitato di Roma, mi offre un passaggio dalla capitale a Siena. Sentire i loro discorsi, il loro entusiasmo lungo la strada, la condivisione degli stessi sogni, sebbene fossimo di età diverse, delle stesse aspettative e visioni della vita, mi ha galvanizzata e fatto capire come stessi per prendere parte a qualcosa di grande, che ci univa al di là delle provenienze e delle professioni di ognuna di noi. Una volta arrivate a Siena, l’incontro con le mie colleghe “(r)esistenti”. E’ stato un ritrovarsi senza conoscerci, un sorridere, abbracciarci e dirci quanto eravamo state brave a venire fin lì, chi dalla Puglia, chi da Roma, chi dalla Sardegna, dall’Abruzzo, dal Trentino. Ci siamo messe una maglia, che una collega aveva disegnato, con il nostro logo, uno striscione con il nostro nome sorretto da delle figurine stilizzate di archeologhe, e siamo andate. In una bottega di Piazza del Campo, la proprietaria guarda la mia maglia, mi dice che è orgogliosa di noi che stiamo andando a dire la nostra, e mi restituisce i soldi dell’acqua che avevo comprato: è un piccolo contributo, aggiunge, ma anche io voglio offrirvi qualcosa!
Piazza Sant’Agostino, luogo scelto per la manifestazione, gremita di donne...se ne conteranno circa duemila. Di tutte le età, di tutte le estrazioni sociali e provenienze. Striscioni rosa ovunque, e tanti sorrisi. Per tutto il giorno si susseguono interventi di 3 minuti ciascuno, di vari comitati: ricordo quello di Locri, che si batte per la legalità in una terra così difficile; l’intervento di una ragazza di Gela, che abita a Roma perchè lì ha trovato lavoro, ma che rivendica a gran voce il proprio sacrosanto diritto a diventare un giorno madre anche lei, in questo paese che non ti permette di sognare un futuro “normale”; la giovanissima e bella rappresentante della rete dei licei, che afferma che la donna deve avere coscienza sin da giovane del valore del proprio corpo e della propria persona in quanto tale, e non in quanto oggetto sessuale, ma soggetto. Prima di noi hanno parlato le donne di SNOQ Siracusa, che hanno fatto proposte concrete, per l’assistenza alle donne vittime di violenza e abusi, e alle madri che spesso, dopo il parto, vengono lasciate sole. Ci sono stati moltissimi interventi, di volti noti, applauditi o fischiati, ma io ricordo soprattutto i sorrisi e la grande forza calma che emanava la piazza.
Poi siamo salite noi sul palco, tutte insieme. Davanti c’era Astrid, un fiore delicato pieno di forza e di passione, con in mano un caschetto da cantiere simbolo del nostro mestiere. E noi eravamo con lei, e permettetemi di dirlo, siamo state grandi. Eravamo incazzate ma gioiose di essere lì, e di esistere, e di resistere. Abbiamo raccontato i nostri problemi con un breve video girato da alcune di noi, amaro ma allegro. Astrid ha parlato brevemente di chi siamo, della passione che ci vuole per fare questo lavoro stupendo ma difficile e terribilmente logorante, fisicamente e psicologicamente, pieno di responsabilità, frustrazioni ma anche gratificazioni. Quando ci ha presentate ha detto: “Siamo qua, siamo venute da Lentini al Trentino, dalla Sardegna, dalla Puglia, all’Abruzzo”. Proprio così, Lentini, senza provincia e senza regione. In quel momento ho compreso che il mio viaggio da così lontano era una simbolica chiusura di un cerchio, fatto di voglia di andarmene e tentazione di cedere al lamento e alla rassegnazione. E se ne apriva un altro. La nuova sfida sarà a quanto pare a novembre, quando ci riuniremo tutte per fare il punto della situazione e vedere che cosa abbiamo fatto di concreto e quali progetti abbiamo realizzato. La nostra azione sarà di essere noi le portavoce dei diritti dei nostri colleghi, maschi o femmine che siano, e di prenderci noi in prima persona la responsabilità di questo. La mia azione, il mio nuovo cerchio, si apre in Sicilia, a Lentini, da dove è partito tutto e dove io avrò il dovere e il piacere di restare, e seminare i fiori del cambiamento nella MIA terra.

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