Un mio amico ha scritto un libro.
Lo so bene che tutti hanno un amico o un parente che ha
scritto un libro. Anche qualcuno di voi che mi legge ha scritto un libro. Anch’io. E la massima aspirazione di chi ha
affrontato questa faticaccia è quella di pubblicarlo. Per ragioni diverse, che
è inutile elencare.
Il mio amico, invece, non solo non ha questa
aspirazione, ma se io facessi qui il suo nome so per certo che ci resterebbe
male. A me pare un peccato. Perché il libro è davvero bello e interessante.
Racconta uno spaccato di Lentini degli anni ’50 osservato
e memorizzato da un bambino di 7-8 anni, ma narrato adesso che quel bambino è
un “uomo di mezza età”. E quindi la narrazione è intrisa dello stupore, della
meraviglia, del senso della scoperta del ragazzino e della meditazione, della
malinconia, della pietas dell’adulto. È inevitabile, perciò, che ci si innamori di ogni singolo
personaggio, rispettabile o meno, perché l’autore, per un magnifico mistero,
mentre sembra interessato a descriverli (mi veniva da dire: a dipingerli), cosa
che fa benissimo, con leggerezza e giusta dose di ironia, ne mostra l’anima, la
storia, la fatica di vivere.
Ogni personaggio diventa archetipo, va la di là dei
confini del periodo e del luogo in cui il destino lo ha collocato.
Dice il mio amico di essere sicuro che prima o dopo alcuni
di loro li reincontrerà, anche se oggi dovrebbero avere 120 o 140 anni di età,
“perché c’è chi non muore mai”.
Da quando ho letto il suo libro anch’io sono convinto
che li incontrerò.
Questa gente umile, povera ma vera e profondamente umana,
ruota attorno ad un piccolo centro di attrazione, che è la bottega d falegname del padre dell’amico
mio. Che è anche punto di osservazione. E in un angolino, non visa è collocata
la cinepresa che ha ripreso questo delizioso “carosello lentinese”.
Il padre, don Ciccino (il “don” e il diminutivo del nome
erano titoli riservati agli artigiani di prestigio) è il perno del racconto ma
anche il punto di riferimento del bambino e di tutti i personaggi del racconto.
Il figlio quando parla del padre fa di tutto per
mantenere riesce a mantenere un tono molto sobrio. E tuttavia, tutte le righe
il cui è collocata l’espressone “mio
padre” sembrano vibrare, emettere dei suoni. Sembra di sentire la voce
del figlio tremare di commozione.
È un libro che vorrei consigliare agli adulti, per ovvie
ragioni, ma anche ai ragazzi e ai giovani, perché non parla solo di personaggi,
ma di costumi, abitudini, pregiudizi, modi di dire, rapporti tra uomini e donne
e tra appartenenti a classi diverse.
Ma c’è un problema: per leggerlo bisogna che il mio
amico si convinca a pubblicarlo.
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