mercoledì 23 dicembre 2009
Buon Natale
lunedì 21 dicembre 2009
Una mostra d’arte per sei giovani talenti
E chi se l’aspettava più? Da anni a Lentini non si vedeva una mostra d’arte. E forse mai se ne erano viste di così raffinate. Eppure è accaduto. Il 7 e l’8 dicembre, giorni consacrati all’Immacolata, gli incantevoli saloni di palazzo Magnano San Lio, in via Garibaldi, si sono aperti al pubblico per l’esposizione di alcune opere di pittura e fotografia di sei giovani ed interessantissimi artisti lentinesi e carlentinesi. Un incanto: gli autori di inaspettato, notevole livello e l’organizzazione impeccabile. Il titolo: "Giovani artisti del nostro territorio"; la curatrice: Damiana Vinci. E proprio Damiana è la prima splendida sorpresa: una giovane lentinese “vocata” ad organizzare eventi e a valorizzare le risorse artistiche del territorio. Tra l’altro, in grado di convincere gli amministratori di Lentini e Carlentini a patrocinare l’evento e di inserire due momenti musicali che da soli facevano evento: nel corso della prima serata un concerto jazz di un quartetto formato da Carlo Cattano (sax), Salvo Amore (chitarra) Filippo Di Pietro (basso) e Franco Farchica (batteria); nel corso della seconda, l’esibizione di un quartetto d’archi composto da Noemi La Cava (violino), Annalisa Virzì (violino), Matteo Blundo (viola) e Bruno Crinò (violoncello).
EpPer non farsi mancare niente, nelle due serate una degustazione di vini e delizie gastronomiche locali.
E questo era solo il “contorno!
Il dono più grande fatto alla città è stato quello di far conoscere alcuni talenti di notevoli doti e dal futuro luminoso. Ve ne parlerò seguendo l’ordine del percorso dell’esposizione.
Prima sala: Giuliana Piccolo. Presentava opere di straordinario effetto, in cui il segno è tracciato “bruciando” la tela nera con la varechina ed è sottolineato con corde di cera nera. Opere di inenarrabile musicalità.
La seconda sala ospitava le opere fotografiche in bianco e nero di due artiste di grande capacità di suggestione: Maria Costanzo e Valentina Marino, entrambe laureate all’Accademia di Belle Arti di Catania, entrambe con esperienze anche in altre ambiti artistici (pittura, decorazione, grafica), entrambe usano la macchina fotografica per fotografare l’anima, i sogni, le ansie e le attese dei nostri giorni. Ma raccontano tematiche, stati d’animo, esperienze diverse, con sensibilità e linguaggi differenti: per questo stavano bene insieme.
Nella terza sala esponeva Christian Vecchio: tecnica pittorica e cifra estetica fuori dall’ordinario, ricercato, spirituale, incantatore. Un ragazzo gentile e modesto ma artista di livello elevato. Anche lui è laureato all’Accademia di Belle Arti di Catania.
Ospite della quarta sala era Veronica Astone, la più giovane del gruppo (tutti, comunque, al di sotto dei trent’anni). Esponeva una serie di opere con cui, delicatamente, dice la sua nel dibattito spesso sguaiato, superficiale e urlato, su culture e tratti somatici diversi da quelli europei. Bellissimi volti di donne e bambini di colore, che raccontano umanità, sofferenza, dolcezza.
Nell’ultima sala esponeva Alessandra Nastasi. L’unica autodidatta, ma anche lei dotata di grande tecnica e forza espressiva. I suoi soggetti preferiti sono i paesaggi cittadini, a cui conferisce atmosfere di grande suggestione e la natura, in particolare le rose, di cui riesce a far sentire l’odore e la delicatezza vellutata dei petali.
Grazie, Damiana, per questa mostra e per gli artisti che ci hai fatto conoscere. E ben arrivata. Nel nostro territorio c’è bisogno di arte, di bellezza e di tipi come te.
giovedì 19 novembre 2009
venerdì 6 novembre 2009
Padre Carlo D'Antoni sul Crocifisso da togliere
Padre Carlo è un sacerdote di Siracusa, a mio modo di vedere "un eroe del nostro tempo, per l'impegno senza sosta e senza risparmio nei confrenti dei più poveri, i più bistrattati, i più emarginati (gli immigrati).
Io sarei d'accordo per far togliere il Crocifisso dalle scuole. Ma anche dagli ospedali e da tanti enti pubblici. E questo per rispetto del Crocifisso.
Per amore di verità. Questo "segno" che altro non è che la carta di identità
del Dio creduto dai cristiani, non dovrebbe continuare ad essere usato per
ornare luoghi che forse hanno smarrito il loro spirito costitutivo. La scuola,
ad esempio, è luogo educante dove la persona è accompagnata nella sua maturazione prima umana e poi professionale (a cominciare dalla scuola primaria
e secondaria) ? Oppure, nelle aule dei tribunali, dove l'amministrazione
della giustizia non sempre è rispettosa della dignità e dell'uguaglianza
dei cittadini (sia per i tempi biblici che le sono caratteristici, sia per la
cavillosità e costo davvero scoraggianti).
E' desolante che tanti difensori del Crocifisso dicano che esso è un simbolo
della nostra cultura e della nostra storia.
Il crocifisso è un segno non di queste cose (potrebbero esserlo forse le
nostre opere d’arte anche di ispirazione religiosa), ma è segno parlante di
una rivelazione da parte di Dio, per chi ci crede. Il suo luogo naturale è
costituito da tutti i Golgota dove si continua a crocifiggere quell'uomo con il quale Dio ha voluto essere solidale. Se a qualcuno interessa sul serio il Crocifisso, deve cercarlo là e non negli uffici o nei palazzi spesso distanti dai pensieri e dal cuore di quell'uomo di Nazaret. E neanche, aggiungerei, in tante chiese ed edifici ecclesiastici.
Così come dovrebbe essere proibito stupidiare con il Crocifisso ridotto ad orecchino, accessorio di collanine eccetera. In oro, diamanti… Ma oggi si usa anche metterselo sul culo (si dice piersing?)
La vera questione secondo me è allora un'altra: è giusto che si continuino
ad eliminare, sommersi e sepolti da tonnellate di profitto ed indifferenza, i
crocifissi della terra (abitanti del terzo mondo, i nostri giovani senza
futuro, gli immigrati, i popoli devastati dal non rispetto dell'ambiente, i sottoposti ai regimi della mafia, camorra...)?
Ma so bene che questa campagna di eliminazione dei crocifissi in carne e ossa non entusiasma tante nostre associazioni che pur si dicono di ispirazione cattolica. I
crocifissi languono e ci muoiono tra i piedi. Ci inciampiamo sopra e li malediciamo
sperando che presto le nostre città vengano ripulite.
Ma giustamente, mi si farà notare che sono andato fuori strada rispetto al
tema sul quale ci è stato ordinato di perdere tempo.
padre Carlo.
martedì 3 novembre 2009
Il sindaco di Lentini e "gli amici di Iacopo" a Melissa
Anche i braccianti lentinesi furono protagonisti di quella stagione di lotte. Tra questi non si contarono morti, ma neanche a loro furono risparmiati dolori e drammi: vi furono decine di feriti e centinaia di processati.
Il sindaco di Lentini, Alfio Mangiameli è stato presente, insieme ad una delegazione di cui faceva parte anche il sottoscritto. Il primo cittadino a nome della città ha espresso tutta la solidarietà al comune e alla popolazione della cittadina calabrese ed ha voluto ricordare il contributo di lotta, sofferenza e sacrificio che i nostri braccianti diedero negli anni ’40 e ’50 per il progresso e la giustizia sociale in Italia. Ed ha raccolto apprezzamenti e chiari segni di stima e simpatia da amministratori pubblici, sindacalisti, pubblico e relatori. Tra questi spiccavano il sindaco di Melissa, Gino Murgi, il coordinatore della Fondazione G. Di Vittorio, Andrea Gianfagna, i docenti Gino Massullo, dell’Università La Sapienza di Roma, Cesare Pitto, dell’Università della Calabria, Tommaso Baris, dell’Università di Palermo, il segretario della CGIL Calabria, Sergio Genco e il segretario della CGIL di Crotone, Antonio Spataro.
domenica 25 ottobre 2009
La strage di Melissa
L’Associazione “Amici di Iacopo” (Guglielmo Tocco, Luigi Boggio, Elio Magnano) ha avviato una serie di iniziative che si concluderanno con il gemellaggio tra Lentini e Melissa.
Giovedì 29 ottobre, a Melissa si terranno delle manifestazioni in ricordo della strage di 60 anni fa. L’Amministrazione Comunale e l’Associazione “Amici di Iacopo” sono state invitate a partecipare con una delegazione.
martedì 20 ottobre 2009
61 anni fa i fatti della Vaddàra
Si era da poco usciti dalla guerra e non si riusciva a fronteggiare adeguatamente la fame e la disoccupazione. Da circa un anno era in vigore il decreto sull’imponibile di manodopera, che avrebbe dovuto spingere i proprietari terrieri ad eseguire i lavori necessari sui terreni agricoli, ma una forte e generalizzata resistenza ne impediva la piena applicazione. I braccianti lentinesi, spinti dal bisogno e guidati dalla Federterra, da alcuni giorni cercavano di costringere i proprietari all’applicazione del decreto andando a lavorare abusivamente negli agrumeti bisognosi, dato il momento, di zappatura (sciopero a rovescio). La mattina del 19 ottobre, dunque, circa 85 lavoratori disoccupati scavalcarono i cancelli di una delle proprietà del barone Beneventano, in contrada Reina-Vaddara, e iniziarono a zappare. Verso le 10,30, su richiesta del proprietario sopraggiunse un nutrito gruppo di poliziotti e carabinieri per identificarli e mandarli via. L’arresto immediato e, a parere dei lavoratori, ingiustificato del dirigente delle Federterra Mario Strano (successivamente deputato all’ARS) diede vita ad una vibratissima protesta che man mano degenerò fino a diventare scontro fisico tra braccianti e forze dell’ordine. Vi furono diversi feriti da una parte e dall’altra e altri arresti. I lavoratori nella stessa mattinata inscenarono una violenta protesta presso il Municipio dove i registrarono il ferimento del sindaco Filadelfo Castro e dell’assessore Severino Ielo e vari danni a porte e vetrate. Alla fine centinaia di persone denunciate, processate e condannate.
I fatti misero in luce lo straordinario senso di solidarietà del popolo lentinese in due modi: nella stessa mattinata degli scontri centinaia di braccianti che lavoravano regolarmente ingaggiati nei fondi vicini a quello di Benventano lasciarono il lavoro per sostenere i loro compagni (per questa ragione i denunciati furono molto di più dei lavoratori abusivi); nei mesi successivi i 240 denunciati latitanti furono ospitati da famiglie di parenti ed amici; tenuto conto della necessità di cambiare spesso “rifugio”, si può calcolare che le famiglie solidali con i braccianti furono almeno un migliaio (Lentini all’epoca contava circa 6.000 famiglie)
mercoledì 7 ottobre 2009
Finalmente una prepotenza andata male (per lui)
Saluto tutti con un sorriso, stasera l'italia mi sembra un po' più bella.
sabato 22 agosto 2009
Bruno Balistrocchi
Torniamo al “Balistrocchi”. Questo era il vero cognome del sig. Bruno. Un cognome confezionato su misura.
Ce lo ricorderemmo con molto affetto e simpatia e con grande gratitudine anche se si fosse chiamato Rossi o Bianchi. Perché era davvero un uomo straordinario, gentile e generoso, anche se faceva di tutto per apparire burbero. Cominciò da semplice attacchino dei manifesti della Leonzio, poi divenne anche custode dello stadio, magazziniere e infine anche massaggiatore. Per trent’anni fu il factotum della squadra bianconera. Ed anche uno dei simboli. Ma lo amarono anche molti che non frequentavano il calcio: chiunque aveva bisogno di un massaggio, di un consiglio o di una bendatura per una storta o una slogatura poteva andare allo stadio e chiedere aiuto a lui. Il rimedio era immediato e la guarigione garantita.
Giunse a Lentini avventurosamente dopo lo sbarco degli Alleati, dopo essere sfuggito all’esercito inglese che lo aveva catturato nei pressi di Agnone. Qui conobbe la ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie e qui mise radici, pur non dimenticando mai la sua Cremona. Sposata Rosina, con lei ebbe tre figli, Angelo, Nino e Patrizia. Angelo fece il percorso inverso di quello del padre: giovanissimo si trasferì a Cremona e lì si è affermato come manager in una grande azienda alimentare.
La Leonzio a Balistrocchi diede un lavoro (allora era così ricca e organizzata da poterlo fare) ma lui diede alla Leonzio tutta la sua vita, il suo entusiasmo, una straordinaria perizia di massaggiatore. E le diede anche qualcosa che adesso chiamiamo “logo”: un segno di riconoscibilità immediata ed unica. Negli oltre trent’anni del suo “regno” si susseguirono diversi presidenti decine di dirigenti, molti allenatori, centinaia di calciatori anche importanti. Restarono immutate solo le maglie a strisce bianconere e le velocissime corse di Bruno – i campi in terra battuta - in soccorso di un calciatore infortunato con secchio d’acqua magica, spugna e asciugamano. Quando l’infortunato si rialzava, dopo una spugnatura ed un veloce massaggio, gli applausi erano tutti per Bruno, mica per il calciatore. E alla Leonzio fu sempre fedele. Memo Prenna, monumento del calcio siciliano, alla fine del biennio trascorso a Lentini come calciatore e allenatore, tentò in tutti i modi di convincerlo di andare a Catania, dove avrebbe certamente trovato soddisfazioni economiche e professionali superiori a quelle di Lentini. Lui rifiutò senza esitazioni: la Leonzio era la sua famiglia e Lentini la sua città. Andarsene per lui sarebbe stato come tradire tutti i segreti che decine e decine di calciatori e allenatori gli avevano confidato (si sa che per gli atleti il massaggiatore è il miglior confessore).
Ci fosse stato un campionato di simpatia, la Leonzio lo avrebbe vinto per trent’anni di seguito e Bruno per trent’anni sarebbe stato capo cannoniere e pallone d’oro.
Tutti lo volevano bene e perfino l’Amministrazione comunale, quando si seppe che stava male, gli volle consegnare un riconoscimento in nome della città.
Lasciò la famiglia, la Leonzio e Lentini il 30 ottobre del 1984, ma chi potrà mai dimenticarlo?
domenica 28 giugno 2009
Vi presento un amico: Francesco Scollo. A Monterosso Almo, il paese dov’è nato e risiede, lo chiamano "U caribaldinu", per via di un suo avo che seguì i Mille (ma in tutta la Sicilia si dice “garibaldino” anche di un modo di fare, di vivere, di apparire: coraggioso, irruente, deciso; sotto questo profilo, Francesco il suo titolo se lo è guadagnato pienamente). Di lui parlo spesso. Qua ne scrivo perché proprio domenica scorsa (il 28 giugno) ha presentato il suo sesto libro, dal titolo “Dialoghi”. È una raccolta di poesie a sfondo morale in forma di dialogo nella parlata monterossana. Egli è un’espressione straordinariamente autentica della cultura contadina degli Iblei. È poeta e scrittore dialettale, cantatore e autore di serenate, suona il flauto, disegna. E in tutto è bravissimo. Ma c’è una cosa che fa senza sforzo e quasi senza accorgersene, che lo rende preziosissimo (e non solo ai miei occhi): egli conserva, valorizza, diffonde la dolce parlata e le tradizioni dei paesi Iblei ragusani. Un ambasciatore magnifico della sua terra. Ha settant’anni ed una prestanza fisica da quarantenne in pieno vigore. Lo chiamano anche “masciu” perché è mastro muratore, ma è nato e cresciuto pastore, è stato bracciante e contadino, ha conosciuto l’emigrazione a Milano, in Svizzera, in Germania. È esperto di arti marziali. E scrive, scrive, scrive. E a scrivere ha imparato da solo, sui prati, con le pecore come sole compagne.
lunedì 15 giugno 2009
Il fedele soldato Liguori
Il buon soldato Paolo mentre parlava convinto di avere assestato un duro colpo ai “moralisti antiberlusconiani” non si accorgeva di evocare anche quell’altra questione, quella femminile. E prendere ragazze in affitto per il sollazzo proprio (di Berlusconi) e dei propri amici (maschi) non è proprio come calpestare la dignità e i tentativi di emancipazione femminile? Cautela, Paolino, cautela. La fedeltà non è sempre utile.
domenica 14 giugno 2009
Non chiamatele prove di dittatura!
Considera il parlamento un ostacolo, la magistratura una metastasi, la stampa un danno per la società; si è reso non giudicabile per qualsiasi reato, dichiara antiitaliano chi lo critica e accusa la Banca d’Italia di complotto; ha fatto anche nascere le ronde nere, d’accordo. Ma si è mai fatto fotografare mentre miete il grano? No! E allora perché dite che sta introducendo la dittatura in Italia?
venerdì 12 giugno 2009
Gaetano
Frasi così a casa o tra amici li sentiamo spesso: chiunque non vede Gaetano per pochi giorni va a chiedere in giro notizie.
Personalmente devo confessare che ogni volta che Gaetano mi si avvicina e mi saluta con una strusciata di testa o di spalla, dopo averlo accarezzato per ricambiare, mi guardo in giro fiero, come per dire “Vedete? Io sono suo amico”.
Tutti così, ormai a Lentini.
Ma per noi Gaetano non è solo l’amata mascotte della città, né soltanto il cane di tutti e neppure solamente il personaggio che ci aiuta a rompere il ghiaccio con gli sconosciuti senza dovere fare ricorso alle condizioni meteorologiche; egli è anche il più grande diplomatico inviato dal mondo animale in quello degli uomini per avvicinare le due le due specie; il personaggio che ha fatto aumentare enormemente la capacità di esprimere amore e affetto dei lentinesi; una bandiera attorno alla quale ci ritroviamo come comunità. Una volta “lintinisi larunchiari” oggi “lintinisi gaetani”.
Forse è giunto il momento di modificare lo stemma della città: al posto del leone, Gaetano placidamente sdraiato all’ombra della Torre.
Ma lui sicuramente ci chiede altro: un po’ d’amore e di attenzione in più anche per i suoi fratelli meno noti e fortunati e una mano a quel gruppo di Angeli-Santi-Eroi dell’associazione PACE che spendono buona parte della loro vita per proteggere, nutrire, curare, salvaguardare Gaetano e i suoi fratelli.
domenica 7 giugno 2009
Io non respingo
Finite le elezioni, finalmente si può riprendere a parlare di questioni importanti senza essere accusati di “strumentalizzare” per fini elettorali.
Per me tra le questioni importanti c’è anche quella dei cosiddetti respingimenti dei migranti. In realtà i poveracci che cercano di fuggire dalla fame, dalle malattie e dalle guerre non vengono respinti, ma spediti in Libia, il cui ruolo in questa vicenda è solo quello di carceriere. Ora, non credo possa esserci uno sciocco così sciocco da credere che la Libia, ricevuti in consegna gruppi di persone non libiche né italiane, faccia grandi sforzi economici e organizzativi per rifocillarli, curarli, farli riposare, garantire loro il minimo di igiene e di privacy, evitare violenze. E in realtà le notizie che trapelano lasciano pensare più ai lager nazisti che non a centri di accoglienza (che già non sono il massimo della vita). Io sono italiano ma non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di condividere questa oscena scelta del governo italiano, di Berlusconi, Maroni, Coda, Calderoli.
Io non respingo. E sto con la CEI, con l’ONU, con la Caritas, con le organizzazioni umanitarie, con quelli che danno qualcosa e non con quelli che sbattono le porte in faccia a chi ha bisogno. E sono convinto di essere una infinitesima parte di una grande moltitudine di italiani. E penso pure che sia importante dirlo, reagire, fare qualcosa. Come padre Carlo D’Antoni, il parroco della Chiesa di Bosco Minniti a Siracusa. Proprio nella sua parrocchia sabato prossimo, 13 giugno alle 18, ci sarà un’importante iniziativa durante la quale sarà proiettato il documentario "Come un uomo sulla terra" e si incontreranno tante bellissime persone provenienti da ogni parte del mondo.
lunedì 1 giugno 2009
Mangiando odore di pane
A casa di Rocco, pane se ne vedeva poco.
E gli altri cibi, un poco più accessibili, non è che passassero a scadenze regolari, da quelle parti.
Quell'andare per il pane per Rocco era l'avvenimento più bello della giornata, il più atteso e il più ricordato.
L'andata la faceva quasi tutta di corsa.
Il ritorno era un dolce, lentissimo viaggio con il pane, una calda pagnottona rotonda e marrone, piatta e larga e morbida e umida.
Rocco non la toccava: offriva il sacchetto di stoffa che fungeva da borsa, aperto, alla fornaia, come una sposa si offre al suo uomo dopo lunga attesa.
Lei con rapidità ma con dolcezza, sicura e precisa, vi infilava il pane accompagnandolo con la mano fino in fondo.
Rocco chiudeva gli occhi. E si sentiva posseduto tutto dal calore ed dal profumo.
Poi se lo poggiava sulla pancia, lo teneva stretto con tutte e due le mani e dondolando tornava, mangiando odore di pane.
Non sentiva altro che il pane nelle mani, sulle labbra, tra i denti, sulla lingua, nella gola, nel petto, nello stomaco, nella pancia, sul sesso.
E si reputava fortunato, perché poteva provare quelle sensazioni sconosciute ai suoi fratelli.
Quando consegnava quel tesoro alla moglie del calzolaio, osservava ogni sua espressione, nel timore che qualcosa non le andasse e l'indomani non avesse scelto lui per quella missione. Un giorno, più duro degli altri perché da quarantott'ore non toccava cibo, quando stava ormai proprio per arrivare alla botteguccia fece una cosa mai pensata prima: infilò la mano destra nel sacchetto e con molta delicatezza e inaspettata naturalezza, con l'indice e il pollice, torcendolo un poco, staccò un bocconcino di pane e se lo portò in bocca.
Quel contatto (non la paura delle conseguenze o il senso di colpa per la profanazione, ma solo il contatto del pane caldo con la sua bocca umida) fu talmente sconvolgente che Rocco perse i sensi.
Proprio cadde a terra, svenuto, sulla strada di terra battuta, puzzolente di cacca di galline e di asini, di cani e di capre, con in mezzo il rigagnolo puzzolente d'acqua sudicia.
Proprio stette là, lungo lungo e fermo fermo, in terra, per un bel po' di tempo, con gli occhi chiusi e le braccia strette attorno al pane, senza vedere né sentire nulla dello strepitio, delle mani premurose, dei volti spaventati che lo circondavano.
Non so cosa successe dopo. Rocco finì il suo racconto con l'espressione addolorata e stupita per l'incongruenza e l'ingiustizia di quello svenimento.
Poi, più grandicello, lasciò il suo paese.
Trascorse qualche mese a Lentini, dove abitava una sua sorella sposata, poi partì per la Svizzera.
Là lavorò in una fabbrica di cioccolata, imparò il tedesco, lesse molto, scoprì Buttitta, si iscrisse al Partito Comunista.
Scrisse molte furiose poesie di lotta.
E fece anche una cosa che raramente si fa: nel momento in cui prese coscienza di non potersi dire cattolico, bensì ateo, fece l'atto solenne di abiura.
Ebbe una relazione che durò diversi anni con una compaesana anch'essa operaia nella fabbrica di cioccolata, e con lei ebbe una figlia.
Poi si trasferì a Milano, trovò posto alla Motta e frequentò le scuole serali fino a a che non prese il diploma di ragioniere.
Appena diplomatosi si licenziò e tornò in Sicilia.
Qui, dopo tanti anni e chilometri, tante esperienze e avanzate, chissà perché, ricominciò a fare il calzolaio.
Rocco è morto poco prima delle tre di oggi 1 giugno 2009.
Si è buttato giù dal balcone. In piazza Taormina. Aveva 74 anni, stava male ed era stanco di vivere.
Penso lui lo sapesse, ma mi dispiace lo stesso non avergli potuto dire che gli ho voluto sempre molto bene.
sabato 23 maggio 2009
Il rinnovo del parlamento europe
Franceschini chiede il voto alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo perché Berlusconi ormai è un uomo senza equilibrio.
Di Pietro chiede il voto alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo perché vuole presentare la mozione di sfiducia a Berlusconi (in Italia).
La Lega chiede il voto alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo perché ora in Italia ci sono le ronde.
Berlusconi e la Lega chiedono il voto alle elezioni per il rinnovo del Parlamento perché grazie a loro e alla loro politica “respingente” non siamo e non diventeremo un paese multietnico.
Pannella chiede il voto alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo perché le TV non danno spazio alle liste Bonino-Pannella.
Casini e le sinistre chiedono il voto alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo m non hanno ancora spiegato perché.
Forse Berlusconi, Franceschini, Di Pietro, la Lega, Pannella, Casini e le sinistre non credono ci siano buone ragioni per rinnovare il Parlamento europeo
giovedì 14 maggio 2009
Identità comune?
domenica 10 maggio 2009
Il vergognometro
1) Il corso di formazione per aspiranti eurodeputate dalle cosce lunghe e li occhi languidi.
2) Le strabilianti invenzioni di un capo di governo settantaduenne scoperto in una festa di minorenni
3) L’uso, da parte del medesimo capo di governo, della tv pubblica e di un celebrato giornalista per scagionarsi pubblicamente delle accuse della moglie riguardanti certi suoi comportamenti privati. Le accuse all’Italia, da parte dell’ONU e del Vaticano, di violare i diritti umani
4) La proposta leghista di non mischiare, sulla metropolitana, milanesi e immigrati (italiani non meneghini compresi);
5) L’ambizioso e dichiarato proposito del figlio di Umberto Bossi di seguire le orme del padre per capire le leggi italiane e discuterle col cosiddetto popolo padano
6) La richiesta del premier, durante una cerimonia pubblica, di potere palpeggiare un po’ un’avvenente signora là presente per motivi istituzionali.
Procedere alla lettura ad alta voce delle castronerie appena scritte. Alla fine di ogni castroneria letta guardarsi allo specchio. Secondo l’intensità di rossore per vergogna che si scorge sul proprio volto, assegnare all’argomento di competenza un voto che va da uno a sette. Alla fine riscrivere tutto in ordine decrescente e si avrà la graduatoria delle cose che più ci fanno vergognare di essere italiani.
domenica 3 maggio 2009
Lentini e Praga unite da un libro
Le previsioni non sono risultate fallaci: la serata è stata davvero intensa, di alto profilo, ricca di sorprese e di emozioni.
La prima di queste, in apertura, da parte di Fino Giuliano, il quale ha voluto ricordare una giovane studentessa ceka, una diciassettenne, morta tra le macerie della Casa dello Studente dell’Aquila. Fino ha vissuto il dramma direttamente sulla propria pelle, avendo fatto da tramite tra i genitori e le autorità italiane durante i giorni della flebile speranza e poi in quello della terribile scoperta che quella giovane vita era stata stroncata. Una grande commozione ha fatto sentire i presenti vicini a tutte le vittime del terremoto e a tutti coloro che sono stati colpiti dal lutto e dalla sofferenza.
La seconda l’ha fornita lo scritto di un giovane lentinese, Sergio La Fata, che racconta la scoperta di Praga e del monumento a Jan Palach durante un recente viaggio nella capitale ceka. La lettura del testo, affidata a Valentina Ferro, è stata offerta come omaggio agli ospiti e a tutti coloro che combattono per la libertà.
Ma forse sarebbe meglio dire che tutta la manifestazione è stata una bellissima sorpresa: si è andato molto oltre la semplice presentazione di un libro, come hanno ripetutamente osservato l’assessore Maenza, il Presidente del Consiglio Comunale Salvatore Di Mari e molti degli intervenuti: Si è voluto dare il giusto rilievo e la dovuta solennità alla decisione di un editore praghese di scegliere Lentini quale sede per la presentazione in Italia di un libro che era stato presentato a Praga nel mese di febbraio. Da qua la disponibilità di ospitare, eccezionalmente, la manifestazione nell’Aula Consiliare.
Con il titolare della casa editrice Balt-east, Antonin Drabek, c’erano tre formidabili personaggi: Hanka Hosnedlovà, scrittrice (nell’antologia presente col racconto “Una battaglia difficilissima”), giornalista, presidente degli scrittori della Boemia, in prima linea, nel ’68, nelle manifestazioni contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia; Vaclav Smrcka, scrittore (presente nell’antologia con il racconto Ziva Burko), ma anche medico chirurgo, e insegnante di Paleopatologia alla facoltà di medicina dell’Univarsità di Praga; Vladimir Cerha, scrittore (nell’antologia c’è il suo racconto “Là dove crescono le foreste di tek” ) e pittore molto affermato.
La pattuglia degli autori italiani presenti nell’antologia era rappresentata da Fino Giuliano, insegnante, scrittore e poeta nato a Catania e residente a Vicenza, ma cresciuto a Lentini, e da me.
La serata è stata resa preziosa dalla brillante e aggraziata conduzione di Valentina Ferro, , dalla giovane attrice carlentinese Valeria Roccella e da quello che può essere definito “la voce della cultura lentinese”, Pippo Galatà, i quali hanno letto ibrani degli auturi presenti.
Una citazione a parte la merita Mirko Scauso per il tocco di grande raffinatezza che ha aggiunto con un elegante addobbo floreale ad un ambiente sobrio ed austero
domenica 26 aprile 2009
Venticinque anni fa moriva Ciccio Ciciulla
Venticinque anni fa, esattamente il 21 marzo, moriva Ciccio Ciciulla. Aveva 57 anni.
Se per i giovani questo nome dirà poco o niente, per gli anziani rappresenta una parte non secondaria della storia politica, sociale e sindacale della Lentini del secolo scorso. .
Fu in prima linea, ancora giovanissimo, già in quella indimenticabile stagione di lotte per il lavoro che si caratterizzò con gli scioperi a rovescio, la zappatura e la potatura non richiesta dai proprietari nei terreni incolti e malcoltivati, entrando a pieno titolo tra gli oltre 200 processati per gli scontri di contrada Vaddara tra la polizia e i braccianti, in cui si contarono diversi feriti da una parte e dall’altra. E in prima linea fu sempre nelle aspre battaglie sindacali degli anni ’50 e ’60, quando sembrava non si riuscisse a chiudere un contratto di lavoro se non dopo estenuanti giornate di sciopero e gli scontri alla stazione non erano infrequenti (di particolare durezza quello del ‘66 ricordato nel documentario “Graziella fumava le alfa”).
Fu consigliere comunale dal 1956 all’85 e per molti anni ricoprì anche la carica di assessore comunale. Ma niente in lui, assolutamente niente, evocava l’uomo di potere.
Poco prima che ci lasciasse, l’ultima volta che andai a trovarlo in ospedale, rimasi particolarmente colpito dai suoi occhi non più splendidamente vivaci e dalla grande fatica con cui era costretto a parlare. Io ero consigliere comunale e lui, dopo la solita consapevole, meravigliosa bugia con la quale rassicurava tutti gli amici e i compagni che le cure procedevano bene e che presto sarebbe tornato alla battaglia, mi chiese di occuparmi del problema di un’anziana signora che si era rivolta a lui per ottenere dal comune qualcosa che le spettava. Volle spiegarmi tutto nei minimi particolari, per evitare il rischio, a chi si era rivolto a lui con tanta fiducia, di perdere ulteriore tempo. Poi mi informò che il giorno prima aveva inviato al sindaco un lettera di protesta per l’avvenuta soppressione di una fontanella pubblica nei pressi dell’ospedale. “Per i parenti dei malati” disse “specialmente forestieri, quella fontanella è importantissima. Non è giusto togliergliela. Hanno già tanti disagi, poveretti”.
Ecco chi era Ciccio Ciciulla, dopo trent’anni di “potere”. La gente, specialmente quella più povera, più umile, più emarginata lo sapeva bene. Al suo funerale nessuno nascondeva le lacrime e molti lo salutavano a voce alta “Ciao, Ciccio”, come facevano in piazza tutte le sere.
venerdì 17 aprile 2009
domenica 12 aprile 2009
mercoledì 8 aprile 2009
L’imbecille
Ma ora qualcuno (non loro, ancora troppo presi da astio e gelosia) si dia da fare per aiutare il sig. Giuliani ad affinare la sua scoperta e per mettere a disposizione dell’intera umanità uno strumento di vita. Pare che il suo costo sia più o meno simile a quella di una bomba a mano.
E lo proponga per il Premio Nobel.
Il perseguitato
E Berlusconi continua a dichiararsi “perseguitato mediatico”.
sabato 28 marzo 2009
UN PREMIO PER CHI TIENE UN DIARIO
L’Associazione non organizza solo il Premio, ma cura anche l’archivio dei diari che negli anni sono stati inviati: un tesoro di enorme valore umano, letterario, emozionale.
Spesso il Premio si rivela per gli autori importante opportunità per fare conoscere se stessi e i propri problemi, ma anche per offrire esempi di ottimismo e coraggio nell’affrontare la vita.
Emblematico il caso dell’ultima vincitrice, una ragazza nata senza braccia, Emmanuela Cagnola. Venuta alla luce in un villaggio ugandese, salvata miracolosamente (ma sarebbe meglio dire “eroicamente”) da una suora comboniana dalla fine tremenda a cui la superstizione della sua tribù l’aveva condannata, adottata da una coppia di italiani, oggi splendida signora in possesso di una prima laurea e vicinissima al conseguimento della seconda.
Emmanuela con la pubblicazione del suo diario offre a chi si accosta ad esso uno straordinario esempio di voglia di reagire e vivere, serenità, gratitudine. La partecipazione al Premio le ha dato la possibilità di aiutare mille altre persone bisognose di esempi e punti di riferimento.
Fra qualche mese sarà pubblicato il romanzo della sua vita.
Evidentemente, non tutti i partecipanti ed i vincitori del Premio sono protagonisti di vicende così estreme, ma nell’esperienza di ognuno c’è sempre molto da capire, da imparare, da comprendere. Ed ognuno, anche il più umile di noi, ha sempre qualcosa da insegnare agli altri, così come ognuno ha sempre qualcosa da imparare da chi soffre.
La partecipazione al Premio La Lanterna Bianca è gratuita e chi vorrà partecipare dovrà inviare il proprio diario in duplice copia al seguente indirizzo: Archivio Diaristico “La lanterna bianca”, SS 185, via Lanterna Bianca, 98030 Motta Camastra (ME) entro il 15 giungo 2009. La premiazione avverrà nel mese di agosto nel Teatro Comunale di Giardini Naxos (medaglie d’oro, d’argento e di bronzo per i primi tre e targhe e pergamene per tutti i partecipanti).
Per ulteriori informazioni: www.lanternabianca.com, tel 0942985302, cell. 3204109522
mercoledì 18 febbraio 2009
La grande festa della poesia di Lentini
Ma alcuni ospiti, bravissimi artisti che hanno regalato momenti di grande emozione, hanno fatto sì che la serata andasse ben oltre il prevedibile: Erika Ragazzi (violino) le sorelle Brancato (violino e chitarra), Ramzi Harrabi e il suo gruppo, il tenore Tino Incontro, il cantautore Francesco Rizzo, il dicitore Pippo Galatà, che ha presentato la sua versione in siciliano di “A livella” e un Gianni Anzalone a dir poco sconvolgente nell’interpretazione di “Empiti di me” di Pablo Neruda.
A rendere tutto scorrevole, lieve, armonico ci hanno pensato, con la grazia e la freschezza dei loro diciott’anni e con insospettabile bravura, Valentina Ferro, Martina Martinez e Nicolò Lasciato, i tre splendidi e bellissimi presentatori che mi hanno affiancato nella conduzione della serata.
domenica 8 febbraio 2009
Contrordine, compagni!
Berlusconi non farà mai sfottere i suoi per cose di questo tipo. Oppure non ha tempo per informarli dei suoi quando cambia opinione. Oppure cambia tante volte opinione che i suoi si confondono. Comunque sia, nel TG di RAI 1 di oggi domenica 8 febbraio, s’è visto e sentito Berlusconi negare di volere cambiare la costituzione (cosa che aveva detto sempre in televisione, ieri) e un attimo dopo il ministro La Russa elogiare Berlusconi perché finalmente aveva deciso di cambiarla. Capisco che “compagno” all’Ignazio non lo può dire neanche Berlusconi quando racconta barzellette, ma “contrordine”, perbacco, non è una parolaccia, poteva mandargliela a dire anche con un sms. Così gli ha fattofare una figura peggiore di quella dei compagni di Peppone
sabato 7 febbraio 2009
San Valentino
Fra pochissimi giorni, sabato 14, per la dodicesima volta si rinnoverà la festa di San Valentino di Lentini, che è soprattutto festa di poesia, di incontro, si partecipazione. Alle 17 in punto circa 160 rimatori d’amore si daranno appuntamento all’Odeon Lo Presti per leggere le proprie poesie ad un pubblico che, come al solito, gremirà ogni ordine di posti.
E sarà, come e più che in passato, una festa dell’intera città perché quest’anno, oltre all’amministrazione comunale, partecipano all’iniziativa la Fondazione Pisano, il Liceo Classico “Gorgia”, il Liceo Scientifico “Elio Vittorini”, l’Unitrè e la Federcasalinghe, per non dire dell’Assessorato provinciale alla Pubblica Istruzione e di alcune aziende private.
Condurrà la serata Guglielmo Tocco, l’ideatore della manifestazione, con l’ausilio di due giovani presentatori: Martina Martines e Nicolò Lasciato.
Tra gli ospiti, l’attore e regista Gianni Anzalone, il musicista e pittore tunisino Ramzi Harrabi, il dicitore Pippo Galatà, il tenore Tino Incontro, la violinista Erika Ragazzi, il gruppo di musica etnica I Sikania. Vari collegamenti sono previsti in video conferenza con poeti d’Italia, e di diverse parti del mondo. Ma i veri, grandi protagonisti saranno, come sempre, loro, i poeti giovani e anziani, studenti e lavoratori, colti e analfabeti, in lingua e dialettali provenienti da cento città siciliane e decine di città d’Italia e dell’estero. Molto attesi un foltissimo gruppo di studenti dei due licei e la nutritissima rappresentanza di poeti dialettali. A fine serata, come da tradizione, il sindaco di Lentini, Alfio Mangiameli, e l’assessore alla cultura, Angelo Maenza, doneranno a tutti i presenti una copia dell’antologia che raccoglie le poesie presentate nell’anno 2008, un prezioso libro di 176 pagine dal titolo “Le tue parole le ho regalate al vento”
mercoledì 4 febbraio 2009
La barbarie nella politica
E spero siano sfuggiti a me interventi, considerazioni, preoccupazioni, richiami, da parte dell’intero mondo politico su questo scontro. Fino a stamattina, su La Repubblica, un giornale non certo vicino a Berlusconi, si parlava solo dello scontro a due, come di un duello rusticano tra due poco di buono tra i quali nessuno interviene a mettere pace o a dare torti e ragioni perché sono “affari loro”.
Non so a cosa possa servire il lamento di un semplice cittadino, ma non mi sembra giusto che tutti, ma proprio tutti, anche noi cittadini che non abbiamo niente da chiedere né all’uno né all’altro, continuiamo a starcene zitti.
Io ho sentito, due volte ieri e una volta stamattina, il presidente del consiglio dei ministri d’Italia, spiegare che i sardi non devono votare Soru perché è un uomo che ha fallito in tutto quello che ha fatto: come imprenditore, come politico, come governatore della Sardegna.
Premetto subito che penso che un capo di governo, partecipando attivamente a tutte le campagne elettorali (regionali, provinciali, comunali, europee) dà immediatamente la sensazione di non governare per conte del Paese ma a beneficio dei suoi compagni di partito e dei suoi elettori e questo certamente non giova alla credibilità del governo stesso.
Ma c’è qualcosa di nuovo e di barbaro, nell’intervento di Berlusconi: l’attacco personale e la calunnia, portati con l’arroganza di chi sa di non potere essere processato (per via della legge che egli stesso ha confezionato per sé) e con la prepotenza di chi è più forte ed esercita la propria forza anche contro chi potrebbe avere ragione. Egli pensa che Soru non reagirà perché, se eletto, col presidente del consiglio dovrà fare quotidianamente i conti. E forse vuole fare capire agli elettori sardi che non è conveniente votare Soru perché le conseguenze della sua inimicizia ricadrebbero sulla regione.
Io non ho simpatie particolari per Soru né antipatia per Castellazzi. E comunque, vivo in Sicilia e non in Sardegna. Ma mi auguro (e lo auguro all’Italia intera) che il popolo sardo dimostri ancora una volta tutta la sua fierezza e rielegga Soru. Sarebbe l’unico modo per dire che l’arroganza, la prepotenza e l’intimidazione nel 2009 e in Italia sono strumenti fuori luogo.
Per il resto, inutile sperare in Veltroni, Di Pietro e Casini: quelli non si sono neppure accorti di quello che sta accadendo.
lunedì 2 febbraio 2009
Gianni Giuffrè visto da Gianni Anzalone
Un “modo” di parlare nuovo. Un modo finalmente “altro” di mostrarsi, di darsi, di partecipare e parteciparsi... Una insolita maniera di “non appartenersi” fino allo spasimo con mille fronti
di battaglia aperti.
Lo ricordo così., Uno “spietato untore” venuto ad “appestare” giovani vite in fiore.
Una antica voce nuova che parlava di “neo-Rinascimento”. Dell’uomo aperto in tutte le direzioni, arso da una sete inestinguibile.
Una voce che conduceva. Un esempio che trascinava. Un invito a partecipare al “qui” ed “ora” dell’evento nel suo farsi cultura... e poi pittura, arte, letteratura, filosofia, Teatro,
poesia, mimo, dizione, scherma, fioretto, andature, posture, contatto, distacco...
E poi il debutto con Cyrano de Bergerac di E. Rostand al Mitico Teatro Odeon
(oggi intitolato al giammai dimenticato Carlo Lo Presti). La tournèe a Milazzo, al Teatro Trifiletti;
a Barcellona, al Teatro Mandanici (un gioiello di Teatro all’Italiana, con più ordini di palchi,
oggi inesistente, divorato dalle fiamme). Sì. Proprio così. Si cominciavano i primi tentativi
di “esportazione” dei prodotti culturali di nicchia... Che febbre!
E tanto, tanto Pirandello. Tutto questo vissuto da me, e da tutti noi studenti, a 15 anni.
E finalmente il costruirsi inarrestabile di un codice interiore, di un “saper fare” illuminante.
Ed uno strano sport, portato da Gianni Giuffrè a Lentini.
Uno sport mai visto prima. Inaudito. La Pallavolo. Proprio così. Gianni portò a Lentini
la Pallavolo. E me lo ricordo ancora sogghignare quando, dovendo passargli la palla, non sapevo mai se dirgli “tua” o “ sua”.
Un ricchissimo catalogo vivente...non ancora interamente sfogliato.
E la sua fidata compagna sempre accanto, lì pronta ad intercedere per noi giovinastri quando andavamo fuori misura. La dolce Pina.
Questo fu e continua ad essere il mio, il nostro, Gianni Giuffrè.
Obbligati sempre, Gianni. Hai saputo in-segnarci. Segnarci dentro...e per sempre.
Gianni Anzalone
mercoledì 28 gennaio 2009
Gianni Giuffrè, un magnifico ciclone a Lentini
Come scuole superiori c’erano il Liceo Classico Gorgia e l’Istituto Tecnico di Ragioneria e Geometri. In quest’anno ad essi si aggiunse l’Istituto Magistrale Parificato. Per frequentarlo bisognava pagare una robusta retta mensile, eppure ben presto fece il pieno di studenti. Le ragioni? Tante. Ma tra queste c’era certamente la guida forte, originale, fantasiosa e incisiva del giovanissimo preside Gianni Giuffré.
L’innovazione più importante che egli apportò nel magistrale e nell’intero mondo scolastico di Lentini fu la costituzione di una compagnia teatrale “d’Istituto”.
E fu innovazione anche nell’ambito teatrale lentinese, che a sua volta vantava buone tradizioni e personaggi di spicco, in primis Carlo Lo Presti: nessuno aveva mai osato fare teatro con mezzi diversi da quelli raccattati nelle soffitte delle famiglie dei teatranti.
Giuffrè ebbe (e insegnò) l’audacia, l’ambizione, la sfrontatezza di fare teatro importante e sontuoso con i modi, lo stile e i mezzi del teatro professionistico. Curava le scene, la dizione, i costumi, i movimenti, le musiche come se la sua compagnia, formata da ragazzi della sua scuola, fosse chiamata a recitare davanti alla Regina d’Inghilterra, al papa, al Presidente della Repubblica, ai Premi Nobel. Per portare in scena il “Cyrano di Bergerac” tenne ad Alfio Valenti e a Gianni Anzalone un corso di scherma che durò mesi.
Ora è un affermato poeta e scrittore (non “anziano” ché la sua figura, i suoi occhi la sua vitalità e la sua voce sono inconciliabili con questo aggettivo).
Lo avremo con noi a Lentini domenica 1 febbraio, alle 17,30, alla Masseria Militti in una serata che possiamo definire “appendice a Ziti, miti e riti degli anni ’60”.
Lo presenteranno, intervisteranno, provocheranno Gianni Anzalone e il sottoscritto per ricordare, capire meglio, spiegare e rivalutare quell’esperienza, quell’epoca e quell’uomo
Siete tutti invitati.
mercoledì 21 gennaio 2009
L’impareggiabile profumo della giovinezza
“Adolescenti” dice la professoressa, “che si sono accostati scolasticamente per la prima volta alla leggi di decodificazione di un testo poetico, a cui ho chiesto di cimentarsi nella composizione di una poesia”.
Si tratta di una settantina di poesia di ottimo livello, alcune delle quali straordinariamente belle.
Gli autori sono alunni della II S dell’anno 2005, della II S dell’anno 2007 e della II F dell’anno scolastico in corso.
Una particolarità colpisce immediatamente: nessuna delle poesie porta il nome dell’autore o dell’autrice. Da qui discendono due risultati: per un verso, grazie a all’anonimato i ragazzi hanno espresso con grande libertà sentimenti, passioni, talvolta disagi, rivelandosi, così, come campioni di una categoria - non solo di studenti di una determinata classe di una determinata scuola, e neanche soltanto di giovani lentinesi, ma di ragazzi e giovani di quest’epoca -; per l’altro verso, la loro rinuncia alla gratificazione individuale, all’elogio personale, al protagonismo appare come un atto di meravigliosa generosità dei più bravi nei confronti dei meno bravi, ma anche di grande amore nei confronti della loro insegnante e della scuola, per il cui buon nome hanno offerto i loro lavori.
La professoressa Martinez conclude così la presentazione delle tre raccolte: “I poeti ellenistici chiamavano fiori le poesie che poi raccoglievano in metaforiche corone simposiali. Lungi da noi l’idea di voler paragonare a quei fiori pregiati questi fiori di campo, che hanno, tuttavia, un profumo impareggiabile, quello della giovinezza”. A me sembra anche profumo di buon futuro per le città in cui vivono.
Ve ne porgo alcune…
Poesia
Ho appoggiato il tuo ricordo in un cielo azzurro
Le tue parole le ho regalate al vento
La nostalgia chiusa in me.
I ragazzi che si amano
Come in una danza
si prendono per mano,
invocano la pioggia
che infrange le diversità,
si immergono in una nebbia
che cela i difetti,
sussurrano ad un vento
che avvolge i loro abbracci,
si scaldano sotto un sole
che illumina i loro baci,
seguono una stella
che splende sui loro passi,
guardano ad un’alba
che gli rischiara il cammino;
collezionano raggi di gioia
che filtrano dall’eternità!
Si amano.
Dicono…
Dicono che alla nostra età si debba sempre ridere,
ma chi lo dice non è stato mai giovane,
perché alla nostra età
si piange per due occhi verdi o azzurri,
per un sorriso o per uno sguardo…
Si piange perché non ti guarda,
perché non si accorge di te e che esisti…
Dicono che alla nostra età non si soffra per
una domenica non vissuta,
passata da sola in casa,
perché lui non ti pensa,
perché si è dimenticato di te,
perché i tuoi non ti lasciano andare…
Dicono che alla nostra età è troppo presto per amare,
ma chi lo dice non sa che alla nostra età
l’amore è l’unica cosa che conta.
A mio padre
Io so che gli basterebbe un gesto
e per me sarebbe tutto diverso.
Non si rende conto, forse non lo sa,
ma ogni sua parola ha per me un peso
che non si immagina,
sfumature
che non può prevedere.
Il mio giudicare può cambiare se lui
vi mette un’indicazione.
Io so che gli basterebbe un gesto e
io non mi sentirei più la stessa.
Ma vi è come una barriera
che non oso toccare.
Un muro silenzioso e trasparente,
che fa vedere ma non fa sentire.
Un lastra di ghiaccio che permette
che mi arrivi l’aiuto, ma
Non fa passare richiesta.
venerdì 16 gennaio 2009
giovedì 15 gennaio 2009
Poesie di Fino Giuliano alla Masseria Militti
Insieme a Guglielmo Tocco, che fungerà da padrone di casa, e all’autore, ne parleranno Guido Arcidiacono e Angelo Mattone. Le poesie saranno lette dall’attrice Veronica Roccella.
In anteprima ci parla della silloge il giovane lentinese Luca Zarbano
A diciott’anni conobbi Czslaw Milosz, lui aveva molte più lune delle mie sopra le spalle e mi insegnò che guardarsi nello specchio significa andarsene per la via di ogni corpo, e a nulla, a nulla serve protestare; protestare vorrebbe dire battersi col tempo, misurarsi coll’incommensurabile per finire a ridere di sé, ironicamente sconfitti dall’eternità.
E allora, come si può ingannare il tempo?
Basta fermarsi un attimo, basta sorridere agli smottamenti casuali della memoria; abbandonarsi a sottili ritorni, lontananze ignote, ariose nostalgie.
Basta un attimo fermarsi ed andare a ritirare il bucato…, steso in un angolo del passato (Riccardo).
Piogge Rivierasche è un viaggio a ritroso nel tempo interno della memoria, in un non luogo fatto di inganni ed emozioni rimaste condensate nell’eterna irrealtà del verso, in cui Catania si confonde con Praga ed entrambe si innestano lungo la via di un medesimo universo, vivo, abitato da facce e sbiadite fotografie: Petra, Veronika, Angela, Riccardo, Radka, Patricia, nomi di vita che richiamano in coro altri nomi.
La parola poetica è tesa alla ricerca di una dimensione di dialogo con voci che si recepiscono come lontani orizzonti: niente minaccia la tua giovinezza, questi monti che ricordano la terra…che ti allontanano sempre di più, con il cuore ti cerco, non inseguire le nuvole stasera; tutti versi rivolti ad un tu molteplice che di volta in volta cambia ma è sempre ungarettianamente “scavato nella propria vita come in un abisso”.
E poi c’è un altro tu: è il proprio io che affida il suo destino ai capricci della memoria (Estate), che rivive in bianco e nero le gite domenicali fuori porta insieme ai sogni giovanili di rivolta (Lentini), che contempla faticosamente la solitudine in mezzo a chiese barocche (Via Crociferi).
Su tutto questo campeggiano divertimenti brevi di ironia (Vedi che fine fanno i poeti?).
E sulla memoria e sul ricordo regna sovrano il tema del viaggio: l’esigenza carnale di partire, da piazza dei Sofisti non partono più le corriere per il mondo (Lentini); domani mattina andremo a Holesovice a guardare i treni partire (Praga).
Ma c’è anche un viaggio diverso, inteso come possibilità e voglia di ritorno: questi monti… che ti allontanano sempre di più da un punto lontano all’orizzonte che ti ostini a chiamare Patria (Veronika).
Oppure come privazione: la tua terra lontana non ha il mare. La cerchi ogni sera nei tramonti africani che fanno meno duro il tuo esilio.
Ed anche un viaggio o una partenza che si sospettano da un saluto: dolce fu il congedo quella sera a Piazza Dante (Piazza Dante).
Accanto a queste, altre tematiche di memoria e privazione: proietteranno la tua assenza solo per me (Padre), in cui l’ossimoro si tinge di significati più ampi ed intimissime emozioni.
Leggere Piogge Rivierasche è come spiare i fotogrammi proiettati a caso di un’intera vita, sentendoti quasi in imbarazzo per aver aperto un cassetto che non è tuo, ma trovandovi dentro misteriosamente pezzi del tuo passato.
Si è trasportati all’interno di una condivisione, del tentativo genuinamente montaliano di svuotare la poesia di verità assolute per arrivare ad emozioni quasi universali: nostro compito è risvegliare parole coperte dalla neve (Radka), liberare la fronte dai ghiaccioli, partire unicamente per andare, accettando le offerte di Ulisse anche se non ha solcato per nulla i nostri mari; poiché “unica ragione del viaggio è viaggiare”. Tanto più per noi siciliani, popolo di mare;
per noi il lamento è lento da dimenticare.
Noi sempre su un’isola, noi sempre lontani da noi stessi,
noi solamente soli e falsamente insieme;
noi col cuore bruno e le facce nere;
noi latini, greci, bizantini o saraceni,
noi angioini, svevi o aragonesi;
noi per tutto e niente, di tutto o di nessuno,
noi cosa nostra sempre; noi liberi a digiuno.
Noi! tremendamente noi;
triangolino evanescente di memorie svanite,
di primavere spente ed estati bollite;
noi isola ed isola sempre.
Noi: superba e decadente solitudine.
Per noi siciliani, in fondo - dicevo –
l’inganno è verità.
Luca Zarbano
domenica 11 gennaio 2009
San Valentino a Lentini è un'altra cosa
Qui si invitano gli innamorati a scambiarsi poesie e parole poetiche, anziché costosi regali. E tutti, ma proprio tutti (gli innamorati corrisposti e quelli non corrisposti, gli ex e gli aspiranti innamorati, quelli che aspettano e quelli che si sono seccati di aspettare ed anche quelli che non ne vogliono proprio sentire parlare) possono partecipare alla grande festa. Come? Scrivendo o anche solo leggendo o ascoltando poesie d’amore in italiano, in dialetto o in lingua straniera.
Chi le scrive può inviarle a www.sanvalentinolentini.it.
Chi vuole leggerle può farlo sullo stesso sito ed anche su un libro, un meraviglioso libro che ogni anno viene pubblicato con tutte le poesie che sono giunte e che ognuno può ottenere gratuitamente, facendo solo lo sforzo di venirlo a prendere al teatro Odeon Lo Presti la sera della festa. Perché è il Comune di Lentini che li dona gratuitamente a tutti coloro che ne fanno richiesta.
Ma la cosa più bella che si possa fare è quella di ascoltarle.
Anche quest’anno, tutti insieme, poeti affermati e poeti improvvisati, genitori e figli, nonni e nipoti, insegnanti e alunni leggeranno le loro poesie ad un pubblico che, ci si può scommettere, di nuovo riempirà come un uovo il teatro. E anche quest’anno, oltre ai poeti, ci saranno attori, musicisti, cantanti lietissimi di rendere la serata memorabile.
Sarà la dodicesima volta. Dodici anni hanno permesso di fare conoscere il San Valentino di Lentini e la nostra città in ogni parte del mondo, ed hanno fatto sì che la festa diventasse una festa cittadina e delle scuole.
Rigorosissimi studi e approfondite ricerche hanno appurato che chi partecipa al San Valentino in poesia a Lentini, a qualsiasi titolo, trascorre un anno felice, elettrizzante, pieno di amore e di sorprese. Gli altri… vivacchiano maluccio, poverini.
venerdì 2 gennaio 2009
Ziti, miti e riti secondo Aldo Failla
Lentini, c’era una volta…….
“Ziti, riti e miti - flashback sugli anni ’60 a Lentini”, non è solo il titolo della fortunata trasmissione in diretta radio (Radio Elleuno) mandata in onda dal dinamico e poliedrico Guglielmo Tocco nelle quattro consecutive domeniche di Dicembre (dalla “Masseria Militti”), ma è stata la magnifica occasione per reincontrarci per una rilettura di quella magnifica stagione che a Lentini è stata vissuta e mai dimenticata. Ispirata la ideazione, perfetta la regia, in sintonia tutti i protagonisti che “in diretta” hanno raccontato le loro storie, rivissute non in chiave melensa e mielosamente da amarcord, ma come sempre da protagonisti.
Si era partiti dal volere ricordare la chiusura “per limiti di età” del fascinoso studio fotografico di Luigi Lo Re (ex “LoreLan”), frequentato da tutta “la meglio gioventù” di Lentini in quei favolosi anni ‘60’ ed oltre, ma ci si è subito resi conto che ciò sarebbe stato obiettivamente restrittivo.
Ed allora, ecco “ziti, riti e miti”, nata quasi in punta di piedi, ma poi scoppiata in tutta la sua importanza, perché di qualcosa di importante si è parlato. La manifestazione si è snodata attraverso il ricordo di una Lentini che c’era in quel periodo, ricordando tutto ciò che Lentini ha offerto, dall’essere stata sede del secondo scalo ferroviario d’Europa (il primo era quello di Dusseldorf, nella magna Germania), all’essere stata sede di una grande operatività economica e commerciale, in continua trasformazione, si è parlato del grande fervore teatrale, ereditato da Carlo Lo Presti e Mario Piazza, con grandi protagonisti che hanno portato in Italia il teatro leontino, con Gianni Anzalone, Agostino La Fata, Alfio Valenti, Gianni Giuffrè, Piero Russo, Elio Cardillo, Enzo Ferraro ed altri che certamente dimentico di citare. Si è ricordata la grande stagione del Liceo Gorgia, coi tanti suoi protagonisti sia nel campo docente che discente, con le grandi squadre di atletica leggera che primeggiavano, sia in campo maschile che femminile, alle gare provinciali e regionali. Dei giornali che a Lentini vedevano la luce, primo fra tutti “La Fessura”, foglio fedele cronista e critico del tempo; si è parlato delle grandi famiglie che a Lentini, quasi per un non organizzato fenomeno di “ricambio etnico”, venivano per lavorare e far lavorare, sia quanto a singole famiglie (Zerega, Gangemi, Tesei), che quanto a grandi collettività (da Giampilieri le più consistenti) che qui hanno trovato la loro e la nostra felicità in un connubio che la storia conferma. E che dire della grande Leonzio che furoreggiava dovunque, di Augusto Ferrante “genio e sregolatezza”, di Turi Di Pietro, maestro di “Petru ‘u turcu”, Pietro Anastasi? Una Leonzio che rappresentò l’espressione di una Città opulenta, creativa, che si faceva rispettare in ogni campo.
Abbiamo parlato dei grandi Avvocati e Magistrati che Lentini ha avuto in quel periodo, della FUCI, della nascita del “Ponte”, circolo liberal-culturale, voluto dal Pretore Salvatore Paglialunga assieme a Sebastiano Addamo, Alessandro Tribulato, i fratelli Turi e Pippo Moncada, Franco Zerega, Alfio Siracusano e tanti altri. E che dire della fiaccola olimpica che i tedofori lentinesi dell’estate 1960 dopo 48 anni hanno orgogliosamente mostrato (peccato non esserci anche la televisione a Masseria Militti…); tanti nostri giovani questo non lo sanno di certo. Come non sanno che al Carmes Hotel si festeggiava il “Ballo degli Anni Verdi”, in cui era richiesta l’unica droga ammessa, cioè la voglia del bello, la voglia di vivere ed il coraggio di affrontare la vita e divertirsi con il cuore, la spontaneità ed il piacere della scoperta. Non c’erano molte macchine in giro, spesso si andava al “Pic-Nic”, per uno dei pochi svaghi consentiti, il mezzo pollo arrosto e/o la pizza, anche a piedi, ma si tornava “in orario”, certamente sobri, ma “ubriachi” di felicità, che magari non apprezzavamo appieno.
Bene, alla fine di tutta questa “rivisitazione”, ci siamo guardati negli occhi con una sola domanda: ma dove siamo finiti?, perché non si è dato seguito a tutto questo grosso patrimonio che i protagonisti degli anni ’50 avevano costruito e ci avevano donato ? Per chi o per cosa i nostri braccianti hanno lottato, si sono fatti arrestare, bastonare? Dove sono i frutti di tutto ciò, se tutto attorno a noi è solo miseria, mancanza di ideali, povertà economica e di ideali ? Le risposte sono state tante, di varia natura, ma tutti abbiamo convenuto che disperdere il patrimonio acquisito è stato un vero peccato, per tutti. Qualcuno ha detto che i “padroni” del bene-Lentini hanno pensato di coltivare il proprio orticello extra-moenia, dimenticando il proprio seminato, che “i macchi nunn’hana statu abbiviratu acchiù”. Qualcun altro ha riscontrato, e questo è altrettanto grave, che in realtà gli eletti al governo della cosa pubblica non sono veramente eletti “direttamente” dal popolo lentinese, come accadeva una volta. Certo, il panorama è disarmante, alla classe culturale reduce di quei meravigliosi anni ’60, tuttora vivente a Lentini, non viene chiesto neanche un parere consultivo, figuriamoci quello decisionale, appannaggio solo dei “quantitativamente” più rappresentativi. Ebbene, ci siamo sentiti e visti come quei famosi “ragazzi del 99” (inteso 1899),i quali, per uno strano scherzo del destino anagrafico, furono costretti al richiamo alle armi ed a combattere per la seconda volta in difesa della Patria.
E se, spinti da sacro furore e vero Amore per la Città di appartenenza (Proprietà acquisita per diritto di nascita e non espoliata…..), non decidessimo tutti di….autorichiamarci alle armi ? Riflettiamoci.
Una volta, quando negli anni ’60, sottoscrivevo i miei articoli su un giornalino locale, con lo pseudonimo “Alfa 47”, finivo sempre con la classica frase: “Ad maiora et meliora”, che era un canto di fondata speranza, che oggi mi sento di ripetere, non foss’altro che per quello che ho visto ed ascoltato in queste quattro meravigliose domeniche di Dicembre 2008.
Aldo Failla.
giovedì 1 gennaio 2009
Il mio augurio per il nuovo anno
Che ogni giorno della vostra vita, ogni situazione, ogni nuovo incontro assomigli a questo 1° gennaio di Lentini: luminoso, limpido, senza nubi, tiepido. E che ogni giorno vi giunga almeno una bella sorpresa. E che chiunque vi veda (soprattutto i più poveri, i più soli, quelli con meno speranze) vi sorrida, per un vostro gesto, una vostra parola, un vostro sorriso.