sabato 24 novembre 2012

Fozza, Saru, ca cc'ià fai.

Altre tre belle sorprese di Rosario Crocetta:
1) 7 donne in un Giunta di 12 componenti;
2) tra esse una ventinovenne;
3) dopo Franco Battiato, anche il prof. Zichichi.

Per Andrea


Il 20 novembre un ragazzino di 15 anni si è suicidato.
È capitolato davanti alle derisioni, alle offese, all'isolamento dei suoi coetanei perché era o appariva gay.
Anche coloro che lo hanno fatto soffrire fino al punto di indurlo a scegliere la morte erano ragazzini di 15 anni.
La nostra Festa del Libro si differisce da tutte le altre che si svolgono in Italia perché è rivolta ai quindicenni: gli adulti regalano il loro libri perché siano donati in regalo ai ragazzi di questa età. Una forma di investimento per costruire un futuro più colto, più gentile, meglio attrezzato per comprendere il prossimo, un futuro liberato dalla rozzezza, dalla grettezza, dalla stupidità dell’idea della differenza tra “superiori” e “inferiori”.
Non avrebbe senso donare un libro senza sperare che serva anche a questo.
Per questa ragione la Festa di quest’anno sarà dedicata ad Andrea. Per potere parlare del diritto di ognuno di vivere come desidera e della disperata imbecillità di chi vorrebbe impedirlo.

venerdì 16 novembre 2012

BUON GIORNO, BELLA ITALIA PRESENZA ROSA GARANTITE NEI CONSIGLI E NELLE GIUNTE


 

La Camera ha approvato definitivamente il testo della legge, già approvata in Senato, che assicura il riequilibrio per una pari opportunità di genere in consigli e giunte degli enti locali, nei consigli regionali e nelle commissioni di concorsi pubblici.

Il testo prevede, tra l'altro, per i comuni sopra i 15mila abitanti, la decadenza delle liste che non rispettano le quote rosa oltre che la 'par condicio rosa' per le presenze in tv in campagna elettorale.

In tutti i comuni in cui si voterà nel 2013 compresa Roma, si voterà con la doppia preferenza e le giunte dovranno essere costituite con le nuove norme paritarie.
Una splendida giornata per l’Italia e la democrazia Grazie al meccanismo della doppia preferenza di genere e al limite dei 2/3 per la presenza di uno dei due generi, la presenza delle donne non sarà più un’eccezione ma diventerà la normalità".

mercoledì 14 novembre 2012

Un amore senza tempo



Avevo una donna,
era un angelo senza le ali
che teneva caldo il mio cuore
ma ora è volata via
ma non sono triste...
so che sta aspettandomi
e nel frattempo
sto imparando canzoni nuove
da cantare ancora insieme
in un nuovo inno all’amore.

Questa struggente poesia è stata scritta da Rosario Marzo nel 2002, tre anni dopo la “partenza” della sua amata Pinuccia.
Ne ha scritte tante altre su di lei e altre continua a scriverne. Se ne avrete l’opportunità leggetele tutte. In questo libro ne troverete cinquanta.
Vi stupirete di scoprire che il motivo prevalente è proprio questo: la fiducia che la rivedrà, l’ansia di essere all’altezza, a momento dell’incontro.
Egli le si rivolge, le parla, dialoga con lei, le racconta gli accadimenti quotidiani, tutti stravolti, adesso che non c’è lei.
E col pensiero la segue, e vuole sapere come trascorre il tempo, se è sempre vicina a Lui, se anche là la campagna è bella come quella iblea, se anche là il sole illumina e riscalda,se anche là si canta per amore e le farfalle danzano per gli innamorati.
E le chiede sempre “perché?”. Perché è accaduto, perché non siamo ancora insieme, perché Lui scelse lei? Si chiede mille volte, come Orfeo, cosa può fare per andarla a trovare e riportarla nel mondo dei vivi, cosa potrà fare per raggiungerla e fermarsi con lei. Ha un solo pensiero: tornare con lei e se perché questo accada dovesse essere necessario oltrepassare lui il confine, andrebbe felice dal suo amore.
Ogni cosa che vede, ogni sensazione che prova, ogni suono che sente per lui sono ponti ideali che lo avvicinano al suo amore, motivi di ricordi, legami e giustificazioni nei confronti della vita di prima.
Chi resta solo canta la solitudine, l’assenza della persona cara, ma Rosario parla di una presenza, di un amore sempre vivo.
E il suo canto è molto religioso, rispettoso nella volontà di Dio e fiducioso in un nuovo inizio nell’altro mondo.
Egli piange per la lontananza, ma sa che un giorno la raggiungerà. E nel frattempo conserva tutto come se lei dovesse tornare da un momento all’altro.
Di notte non dorme rassegnato o stanco, ma veglia sui ricordi, perché tutto sia pronto nell’eventualità che lei anche solo per un attimo possa tornare, veglia perché non vuole farsi trovare non in attesa.
Rosario è un vero e raffinato poeta. Piange per Pinuccia e compiange se stesso, ma nessuno tra chi lo ascolta rimane solo spettatore. Nessuno può fare a meno di rimanere commosso, di sentirsi vicino a loro due, nessuno rimane indifferente. Ma nessuno, dopo averlo letto, rimane triste e sconsolato. Perché questo esempio d’amore immortale, questi sentimenti, questo “vivere per sempre” attraverso l’altro ci conforta e ci consola.

Comu ‘na fogghia sicca
ca u vientu stuzzinia
vaiu curriennu notti e iuornu
sempri circannu a tia.

Un amore così grande segna la vita dei protagonisti e sconfigge la morte.

Guglielmo Tocco

sabato 20 ottobre 2012

San Giuseppe Giusto, grandi risultati



In due giorni, mercoledì e venerdì, davanti a noi che ci battiamo  per il  recupero di San Giuseppe Giusto si è aperta un’autostrada.
E noi saremo bravi a percorrerla fino alla meta ad alta velocità.
In primo luogo: la pulizia. Con gli aiuti di cui parlerò più avanti, da quello che un giorno fu il sagrato della chiesa, un’area di meno di cento metri quadrati, abbiamo tolto due autocarri e un motocarro di spazzatura e materiale inerte. Andateci adesso. Vi dovrete asciugare gli occhi umidi di commozione e potrete respirare a pieni polmoni l’aria fine di Ciricò senza timore di prendere una malattia. Qualcosa resta ancora da fare e la faremo presto, ma intanto il decoro e la dignità l’abbiamo ripristinato.
In secondo luogo: i mecenati. Un abbraccio forte ed un applauso va a due persone che si sono sobbarcate complessivamente ma separatamente almeno un migliaio di euro di spese di operai e trasporto detriti e spazzatura fino alla discarica: il sig. Riccardo Di Salvo di Carlentini e il sig. Giuseppe Bastante di Floridia. Il primo, dell’entourage dell’assessore regionale ai Beni Culturali Amleto Trigilio, venuto a conoscenza del nostro sogno ha voluto, di tasca propria, fare un regalo a Lentini e Carlentini e mercoledì scorso, 17 ottobre, ha mandato tre operai e un autocarro a togliere una buona parte di sterro, rifiuti e detriti, informandomi solo ad operazione avvenuta.
Il secondo è un imprenditore di Floridia, candidato alle elezioni regionali che, informato del nostro sogno dall’assessore provinciale Vito Brunetto e dal consigliere provinciale Francesco Saggio, ha scelto di spendere le somme che aveva destinato alla sua campagna elettorale su Lentini in un’operazione utile, romantica, da vero “buon politico”. Ha portato due operai e se stesso (in molti possiamo testimoniare che personalmente ha lavorato più di ogni altro operaio). Il lavoro di pulizia è stato pressoché completato venerdì 19.
In terzo luogo: le grandi alleanze. Di Brunetto e Saggio ho appena parlato, del prof. Paolo Giansiracusa, presidente provinciale dell’Archeo Club, storico dell’arte, direttore dell’accademia delle Belle Arti di Siracusa, autore, tra l’altro del prezioso volume “Le chiese del Siracusano e anche lui candidato all’Ars, ho parlato due settimane fa, dell’assessore Nuccia Tronco e dell’on. Mario Bosco ho parlato all’inizio i questa avventura. Oggi ho il piacere di annunciare l’entrata in campo dell’Archeo Club di Lentini. Ieri alcuni suoi componenti, la signora Teresa Ranno D’amico, la signora Maria Nigro Tornello e il prof. Gaetano Sferrazzo, capitanati dalla inesauribile e incontenibile preside Maria Arisco, sono venuti a trovarci ed hanno lavorato sodo per ore a fianco degli operai e dei nostri volontari (Rosaria Privitera Saggio, Alfredo Martinese Francesco Panarello) contribuendo sensibilmente alla pulizia del sito. Questa presenza preziosa ed esemplare ci fa molto ben sperare perché è noto a tutti che se anche l’Archeo Club adotterà San Giuseppe Giusto, la sua salvezza è garantita.
Pazienza se ancora le istituzioni e i “grandi politici” continuano a non manifestare il minimo interesse per questo monumento di interesse storico, artistico e archeologico. Ce la caveremo benissimo da soli, noi cittadini.

mercoledì 17 ottobre 2012

La piazza di De Chirico


http://www.lanotizia.tv/index_tg_detail.asp?id=1799
 
La piazza di De Chirico

Un mio amico su face book ha scritto “in cosa può essermi utile un politico che viene a chiedermi il voto?”
La domando mi ha fatto gelare il sangue nelle vene, in quelle poche parole è rappresentata tutta la drammaticità del momento che viviamo. E tutti i pericoli per la democrazia e per il futuro.
Immaginate la scena come fosse una foto o un quadro. In questo agghiacciante deserto esistono solo, il cosiddetto politico e l’elettore. Alle spalle del c.d. politico non c’è il luogo-simbolo del governo (Palazzo delle Aquile o Palazzo dei Normanni) e neppure il simbolo di un partito in cui egli possa riconoscersi o da cui possa trarre idee, ideali, etica (ideali ed etica sono quasi diventate parolacce, ormai le bocche si riempiono con parole più semplici, di uso comune e che contengono il concetto del limite di tempo e di intervento: “il progetto” o al massimo “il programma”)-No, egli è solo e il suo impegno massimo, almeno come è percepito dall’elettore, è quello di risolvere problemi individuali. Problemi di singole persone risolte da singole persone.
In questa immaginaria piazza deserta, di dechirichiana memoria, di fronte al “politico” c’è l’elettore. Anche lui solo, senza nessuno dietro o attorno. Tutto assente: bisogni collettivi, legami, istanze alte (istruzione, sanità, sviluppo. civiltà, libertà), niente, tutto scomparso. Rimangono solo il politico-mediatore e l’elettore che si illude di contrattare di vendere il suo voto al prezzo più alto, in un rapporto diretto, a due.
Se non conoscessi l’amico che ha posto quella domanda, penso che liquiderei la questione con qualche acida battuta.
Ma lo conosco molto bene e posso assicurare che si tratta di professionista giovane, colto, intelligente.
È probabile che egli non parli di se stesso ma, provocatoriamente, voglia rappresentare una scena ricorrente che non condivide.
Ciò, comunque, non attenuerebbe i motivi di preoccupazione
So bene che non tutti gli elettori pensano solo a cosa possono ricavare dal proprio voto e altrettanto bene so che non tutti i candidati sono come quello che ho descritto io.
Ma so anche che la scena descritta non è rara, anzi.
Allora cosa fare? Mi sembra banale dirlo, ma credo che questo piano inclinato possa raddrizzarsi solo attraverso la “rivoluzione dell’elettore”. L’elettore deve ricominciare a chiedere molto di più, interventi di interesse generale, non le mollichine per la sua vita privata, deve sentirsi responsabile anche lui del destino della sua terra, deve sapere scegliere ma anche pretendere che gli eletti siano bravi, siano espressione di un ideale, siano onesti.
In questi giorni si parla molto di evasori fiscali. Eco, l’elettore che vota solo per gli interessi suoi paragonabile all’evasore fiscale: pensa a se stesso e danneggia gli altri.



martedì 9 ottobre 2012

Una lenta e noiosa campagna elettorale


http://www.lanotizia.tv/index_tg_detail.asp?id=1785

Una lenta e noiosa campagna elettorale

La campagna elettorale scorre lenta e noiosa.
Stancamente ci avviamo verso le elezioni regionali.
Viste dall’angolazione degli elettori tutto è uguale alle altre volte.
I candidati presidenti sono stati scelti dalle segreterie nazionali e regionali dei partiti e, pur di accrescere le loro possibilità di vittoria sono disponibili ad allearsi anche con ch fino al giorno prima additavano come il diavolo.
I due che hanno maggiori possibilità di vincere, Crocetta e Musumeci, non sono espressione di grandi partiti, ma da essi sono usati come bandiere.
Evidentemente nelle loro fila, non avevano personalità forti e attraenti da candidare.
Crocetta e Musumeci sono persone degne, oneste, all’altezza di svolgere u compito difficile, ma entrambi sono a sovranità limitata. Entrambi dovranno dar conto, concordare, pattuire con partiti “pesanti” che non sono neanche i loro partiti.
Naturale che non ci sia fascino.
Come sempre la mobilitazione più vistosa e diffusa è quelli per le elezioni dei deputati.
Ma qui la legge elettorale ci gioca un brutto tiro: tutto si risolve in una competizione provinciale. Noi della provincia di Siracusa voteremo per eleggere sei deputati della nostra provincia, così faranno gli elettori di ogni provincia. L’obbiettivo è quello di avere una presenza garantita nel territorio, ed è giusto, ma nella realtà si penalizza fortemente la qualità e il rinnovamento.
Per non farla lunga, nella nostra provincia tutti e sei gli uscenti si sono ricandidati. È chiaro che chi è stato deputato per una o due legislature si presenta ai nastri di partenza con più visibilità, più seguito e più disponibilità economica di chi si candida per la prima volta e quindi ha molte più probabilità di farcela.
Chissà, forse limitando ad una o al massimo due le legislature forse ci sarebbe maggiore possibilità di vedere in campo qualche sconosciuto di valore.
Ma il guaio più grande è che in questa lotta all’ultimo sangue tra partiti, gruppi di potere, personaggi più o meno aggressivi c’è pochissimo spazio per chi può offrire doti, diciamo così, non aggressive come la competenza, l’indipendenza del pensiero, la specializzazione.
Io ho un amico che è un esperto, una vera autorità, nel campo dei beni artistici e culturali.
I beni artistici e culturali in Sicilia non sono piccola cosa, non sono solo bellezza ed identità. Né sono godimento per chi ha tempo da perdere. Sono tanti e così importanti che se curati e sfruttati con un minimo di competenza potrebbero costituire una fonte di ricchezza e di lavoro straordinari.
Il mio amico si è candidato all’ARS, per mettere a disposizione della nostra Regione la sua competenza, la sua altissima professionalità.
Ma potrà essere votato solo dagli elettori di questa provincia. Dovrà competere  con prima con la “politica”, (una volta si diceva “il primato della politica”), poi con i partiti che scelgono e sostengono i loro candidati secondo criteri di distribuzione e di rapporti di forza interni, in terzo luogo con candidati disposti a spendere una fortuna per imporsi. Infine, con il nemico peggiore: l’elettore. L’elettore classico, dico, quello che si ritiene “sperto” quello che “tanto son tutti uguali”.
Questi non si accorgono (o fingono di non accorgersi) quanto differenza c’è tra chi è di destra e chi è di sinistra, tra chi imbratta i muri e chi non lo fa, tra chi si gioca anche la famiglia per essere eletto e chi semplicemente si propone, tra chi parla di tutto senza sapere niente e chi almeno in un campo è specializzato.
Vacci a parlare con questi. Questi, siccome “son tutti uguali”, spesso capita che hanno già scelto a chi vendere il proprio voto per un piatto di lenticchie. E il 29 diranno “visto che non cambia niente?”.

mercoledì 3 ottobre 2012

Un gioiello ritrovato


http://www.lanotizia.tv/index_tg_detail.asp?id=1782

Un gioiello ritrovato

Siamo partiti, pieni entusiasmo, per togliere dall’oblio e riportare al presente, tra di noi, una chiesetta che faceva parte del panorama dell’anima. Man mano che stiamo lavorando stiamo scoprendo che la Chiesetta di San Giuseppe Giusto è un gioiello il cui valore non può più essere commisurato solo ai beni della nostra città, ma può definirsi assoluto, sia sotto il profilo artistico che sotto il profilo storico.
Ieri abbiamo avuto una consulenza insperata, quella del prof. Paolo Giansiracusa, direttore e docente dell’Accademia delle Belle Arti di Siracusa, conferenziere notissimo anche a Lentini, critico storico dell’arte, autore di molti testi, tra cui “Le chiese della provincia di Siracusa”, Il professore ha rilevato che la chiesa contiene stratificazioni sovrapposte che vanno dal periodo greco (c’è un pozzo di manifattura greca) a quello bizantino (l’altare sicuramente) ai primi secoli dello scorso millennio (l’intervento dei templari citato dal Sebastiano Pisano Baudo) al 1700 (la facciata ricostruita dopo il terremoto del 1693).
Se fino ad ora l’interesse era solo lentinese adesso tutte le istituzioni devono drizzare le orecchie: il Comune di Carlentini, la provincia Regionale di Siracusa, la Soprintendenza ai Beni Culturali, l’Assessorato Regionale, perché adesso non è in ballo solo la memoria dei lentinesi (che a me comunque, non sembrava cos da poco) ma un pezzo del patrimonio artistico-storico-archeologico siciliano.
E se per i lentinesi prima si trattava di un interesse sentimentale ed identitario, adesso si tratta di potere fruire e valorizzare un bene di grandissimo valore. I nostri antenati questo lo sapevano o quanto meno lo intuivano; la via che conduce al sito, cioè la via dell’ospedale, fino ai primi del ‘900 si chiamava via San Giuseppe Giusto. Solo dopo la costruzione dell’ospedale cambiò nome. Adesso che l’ospedale non c’è più sarebbe cosa buona e utile ridare alla via il suo vecchio nome. Sarebbe la prova tangibile che  lentinesi di questo secolo hanno capito l’importanza di quella chiesa e vogliono riconoscergli il valore e l’importanza storica che merita.
Soprattutto sarebbe la prova che a questo paese piuttosto povero non vogliono negare qualcosa che è suo ed è di grande valore. Una città è affascinante non solo per le cose che mostra, ma anche per quelle che racconta. In questo periodo siamo piuttosto depressi, ma se riuscissimo a capire questo importante segreto, Lentini sarebbe una delle piccole città più affascinanti d’Italia.
Pensate alla storia dei greci e di Gorgia, alla presenza di Iacopo e Riccardo, dei Templari, del Biviere, della centrale idroelettrica, della nascita della zona commerciale della stazione, dell’epopea dei giampuliroti, delle lotte bracciantili ed ora a tutti i segreti di San Giuseppe Giusto. Tutte storie poco note a noi stessi e sottovalutate da chi le conosce ma che, se sapute raccontare, possono cambiare l’immagine della nostra città. Tutte storie da raccontare.

venerdì 28 settembre 2012

Conta la musica



Conta la musica

Metti insieme un deliziosissimo libro, due geniacci, quattro musicisti di vaglia, due splendide voci e due grandi promesse del teatro.
Ne viene fuori una miscela esplosiva che non lascia scampo.
Chi è stato presente all’arena Santa Croce martedì sera è rimasto inchiodato alla poltroncina anche dopo la fine. E di sera tardi la temperatura non era certo altissima.
Il libro è “Conta la musica”, scritto da Claudio Buccheri, un avvocato lentinese che vive a Catania (questo è il secondo della sua giovane carriera di scrittore, il primo è stato “Riflessi d’argento su blu cobalto”).
Un libro scoppiettante, pieno di brio e di trovate: la storia, raccontata in prima persona, di un giovane avvocato “per caso” che detesta amabilmente la propria professione che ormai non può cambiare (forse per eccesso di pigrizia). E siccome certi incontri li fa solo chi li sa raccontare, i suoi clienti (ma anche i suoi amici e le sue donne) sono tutti un po’ stravaganti: qualcosa a metà strada tra i clienti della pensione del nipote di Totò nel “Medico dei pazzi” e i protagonisti di “I civitoti in pretura”. Egli li osserva tutti con grande bonomia e il disincanto di chi si sente in quello studio di passaggio. E siccome la sua vera (e unica) passione è la musica ad ogni incontro professionale non può fare a meno di assegnare una colonna sonora, un brano musicale scelto tra quelli che conosce (e sono tanti) e che canticchia nella sua mente mentre i suoi clienti si impegnano in vere e proprie performance per convincerlo delle loro innegabili ragioni e per interessarlo anche dal punto di vista emotivo.
I geniacci sono Giuseppe Cardello, poeta, cuntastorie e regista e Salvo Amore musicista e compositore sopraffino, i quali hanno ideato una presentazione del libro a dir poco creativa, nel senso che hanno messo in piedi un’altra opera d’arte e fortunata, figlia dello libro e della musica.
I musicisti, oltre allo stesso Salvo Amore ore, sono talenti notevolissimi: Luca Aletta, compositore, pianista e fisarmonicista, Stefano Cardillo, bassista, Alessandro Borgia, batterista.
Il canto è affidato a Pippo Cardello,a Simona Sciacca e Rachele Amore.
Le voci recitanti sono quelle di Ginevra Cicatello e Nicolò Lasciato giovanissimi e molto promettenti attori. Nicolò canta anche alcuni brani, mentre il maestro Cardello fa quasi tutto, tranne che danzare: regista, sceneggiatore, narratore, cantante. A Ginevra e Nicolò sono particolarmente legato per avere avuto in passato qualche esperienza in comune difficile da dimenticare.
La serata si è svolta martedì 25 settembre, e un’altra volta aveva avuto luogo nella primavera scorsa nel salone del Sant’Alphio Palace. Io, però continuo a parlarne al presente. Lo faccio proprio perché non si tratta più della presentazione di un libro, bensì, come dicevo prima, di u’opera letteraria musicale nuova e con una sua vita autonoma. Un’opera non cessa di esistere dopo essere stata rappresentata una, due o dieci volte: esiste e basta.
Prima di chiudere, voglio ricordare l’assessore Nuccia Tronco, se posso dire così, madrina di questa creatura , giacché l’ha sostenuta, incoraggiata, per qualche verso anche suggerita.
Con buona pace di chi continua a dire che Lentini è una città moribonda, se non addirittura morta.
A me questa città mi piace.

Conta la musica


  
Metti insieme un deliziosissimo libro, due geniacci, quattro musicisti di vaglia, due splendide voci e due grandi promesse del teatro.
Ne viene fuori una miscela esplosiva che non lascia scampo.
Chi è stato presente all’arena Santa Croce martedì sera è rimasto inchiodato alla poltroncina anche dopo la fine. E di sera tardi la temperatura non era certo altissima.
Il libro è “Conta la musica”, scritto da Claudio Buccheri, un avvocato lentinese che vive a Catania (questo è il secondo della sua giovane carriera di scrittore, il primo è stato “Riflessi d’argento su blu cobalto”).
Un libro scoppiettante, pieno di brio e di trovate: la storia, raccontata in prima persona, di un giovane avvocato “per caso” che detesta amabilmente la propria professione che ormai non può cambiare (forse per eccesso di pigrizia). E siccome certi incontri li fa solo chi li sa raccontare, i suoi clienti (ma anche i suoi amici e le sue donne) sono tutti un po’ stravaganti: qualcosa a metà strada tra i clienti della pensione del nipote di Totò nel “Medico dei pazzi” e i protagonisti di “I civitoti in pretura”. Egli li osserva tutti con grande bonomia e il disincanto di chi si sente in quello studio di passaggio. E siccome la sua vera (e unica) passione è la musica ad ogni incontro professionale non può fare a meno di assegnare una colonna sonora, un brano musicale scelto tra quelli che conosce (e sono tanti) e che canticchia nella sua mente mentre i suoi clienti si impegnano in vere e proprie performance per convincerlo delle loro innegabili ragioni e per interessarlo anche dal punto di vista emotivo.
I geniacci sono Giuseppe Cardello, poeta, cuntastorie e regista e Salvo Amore musicista e compositore sopraffino, i quali hanno ideato una presentazione del libro a dir poco creativa, nel senso che hanno messo in piedi un’altra opera d’arte e fortunata, figlia dello libro e della musica.
I musicisti, oltre allo stesso Salvo Amore ore, sono talenti notevolissimi: Luca Aletta, compositore, pianista e fisarmonicista, Stefano Cardillo, bassista, Alessandro Borgia, batterista.
Il canto è affidato a Pippo Cardello,a Simona Sciacca e Rachele Amore.
Le voci recitanti sono quelle di Ginevra Cicatello e Nicolò Lasciato giovanissimi e molto promettenti attori. Nicolò canta anche alcuni brani, mentre il maestro Cardello fa quasi tutto, tranne che danzare: regista, sceneggiatore, narratore, cantante. A Ginevra e Nicolò sono particolarmente legato per avere avuto in passato qualche esperienza in comune difficile da dimenticare.
La serata si è svolta martedì 25 settembre, e un’altra volta aveva avuto luogo nella primavera scorsa nel salone del Sant’Alphio Palace. Io, però continuo a parlarne al presente. Lo faccio proprio perché non si tratta più della presentazione di un libro, bensì, come dicevo prima, di u’opera letteraria musicale nuova e con una sua vita autonoma. Un’opera non cessa di esistere dopo essere stata rappresentata una, due o dieci volte: esiste e basta.
Prima di chiudere, voglio ricordare l’assessore Nuccia Tronco, se posso dire così, madrina di questa creatura , giacché l’ha sostenuta, incoraggiata, per qualche verso anche suggerita.
Con buona pace di chi continua a dire che Lentini è una città moribonda, se non addirittura morta.
A me questa città mi piace.

martedì 25 settembre 2012

Fiorito ha dichiarato che intende ricandidarsi


Fiorito, sfiorito, caduto per peculato
tenta di rifiorire per ripeculare.

lunedì 24 settembre 2012

Regione Lazio

Polverini - povere di stelle - poverina
Soldoni - maialoni . ladroni
Batman - battinani - battone .

giovedì 20 settembre 2012

Disabili


http://www.lanotizia.tv/index_tg_detail.asp?id=1775

Disabili

Martedì della scorsa settimana ho affrontato un problema molto delicato o, per meglio dire, un aspetto di esso.
Impressionato dal coraggio di vivere e la straordinaria forza d’animo mostrata qualche giorno prima da Alex Zanardi, avevo parlato di disabilità. Ne avevo parlato, appunto, influenzato da quell’uomo e dal suo sorriso. E forse anche dal piccolo trucco che metto in atto tutti i giorni per non sentire tutto il peso di una vita in carrozzina: non guardare solo a ciò che ci manca ma anche a ciò che abbiamo. Anzi, concentrarsi e valorizzare ciò che abbiamo.
Ho citato anche degli esempi di persone che non sono supereroi, ma che affrontano la vita con serenità, coraggio e creatività: citavo la poetessa Marzia Ferri, Emmanuela Cagnola, autrice, insieme a me, del libro “Con le mani di Dio”, un’amica insegnante di Lentini.
Non mi sognavo affatto di dire che chi ha una limitazione fisica è felice e fortunato. Volevo solo dire che la vita continua ad essere bella e interessante anche quando subisce delle modifiche in negativo, che è sempre un dono da non sprecare, che nasconde mille opportunità che tocca a noi trovare. Volevo anche dire che i “normodotati”, anche i più buoni e comprensivi, anche i più generosi e intelligenti, talvolta ci guardano con un sentimento sbagliato: la compassione.
Mi sono giunti, però, dei messaggi privati da amici disabili (uso questo termine perché è questo che usano loro), i quali mi hanno riportato con i piedi per terra, ricordandomi le difficoltà quotidiane, le limitazioni, le nostalgie, i rimpianti.
Ricorrenti, tra le difficoltà citate, quelle di ordine economico (dice una, giustamente, “con meno di cinquecento euro al mese dove la trovo una persona che mi accudisca 24 ore su 24?”) e quelle determinate dalle barriere architettoniche. non sempre così difficili da rimuovere.
Cosa posso rispondere? Posso solo chiedere scusa per avere affrontato una questione così delicata con la mia personale irruenza con il mio personale modo d’essere e di pensare.
Evidentemente martedì scorso non sono stato all’altezza di affrontare un argomento così complesso in tutte le sue sfaccettature. E confesso di non essere in grado di farlo nemmeno oggi. E non so se potrò mai riuscirci.
Certo è, però, che non posso sfuggire ad un impegno: quello di occuparmi, nel mio piccolo, un po’ di più di questo problema.
E comincio subito con una proposta piccola piccola che faccio al sindaco di Lentini
La mancanza di mobilità delle gambe o la mancanza della vista o della parola non debbono impedirci di vivere da cittadini, cioè da membri della comunità con diritti e doveri. Per i cittadini il punto di riferimento più prossimo è il Sindaco. Ma coloro che sono affetti da limitazioni motorie non possono incontrarlo perché il suo ufficio è al secondo piano di un palazzo senza ascensori.
C’è un modo rapido ed estremamente economico per abbattere questa barriera: il sindaco e gli assessori, a turno, una volta alla settimana per un’ora, ricevano il pubblico dei portatori di limitazioni motorie in una stanzetta del piano terra del comune.
Dicevo prima che la vita è costellata da opportunità: ecco, sig. Sindaco, non guardi a questa mia proposta solo come un impegno a favore dei cittadini limitati nei movimenti. La guardi come un’opportunità anche per lei; lei potrebbe diventare il primo sindaco d’Italia a fare un scelta così nobile e politicamente apprezzabile. Ci pensi su e al primo di questi ricevimenti verremo in numerosa delegazione per ringraziarla e festeggiare insieme a lei.

venerdì 14 settembre 2012

La mostarda di Elio



La Mostarda di Elio

Nel giro di quattro giorni a Lentini abbiamo avuto due eventi particolari: la preparazione della “quagghiata” in piazza Taormina e una “Festa della Mostarda” in piazza Guido Rossa.
La prima è stata organizzata dall’associazione PACE, la seconda da Elio Cardillo.
Mi colpisce questa coincidenza: i entrambi i casi sono protagonisti sapori antichi, legati alla terra, al nostro territorio e alle nostre tradizioni. Spero sia l’inizio di un processo di recupero e di rivalutazione di cibi e attività umili ma preziosissime, di un’identità da non perdere.
Dell’associazione ho parlato recentemente, in occasione dell’installazione della statua del cane Gaetano e dell’”adozione” della piazza Taormina che, grazie al lavoro continuo e puntiglioso dei suoi soci è sempre pulitissima e curata.
Di Elio forse non ho mai parlato in questa rubrica, ma credo di averlo citato in mille circostanza diverse. E d’altro canto, credo che siano in pochissimi a non sapere di lui vita e miracoli.
Parlare di Elio non è difficile: basta avere a disposizione una decina di fogli A4 e alcune ore. Il problema sarà dopo, quando ti verranno in mente, un po’ alla volta, mille altre cose che non hai scritto.
Elio è docente di scienze matematiche in pensione. Come insegnante ha elaborato originali sperimentazioni didattiche applicate nella realtà scolastica del territorio.
È autore, regista e attore di teatro. I suoi lavori, recitati quasi sempre insieme alla moglie, la formidabile Salvina Antico, sono rimasti indelebili nella memoria dei lentinesi.
Straordinario fotografo e amante appassionato della sua città, ha realizzato la classificazione del patrimonio artistico del lentinese mediante 400 diapositive custodite nel distretto scolastico di Lentini,
ha promosso o partecipato a decine di mostre fotografiche ed è stato per diversi anni Ispettore Onorario ai Beni Culturali
E' poeta raffinatissimo, autore di diversi volumi e vincitore del premio letterario "Ciccio Carrà Tringali",
Tra le mille altre cose che hanno sorpreso e lasciato ammirati i lentinesi ce ne sono alcuni legati alla sua profonda fede e che voglio citare: il rinnovamento della festa di Sant’Alfio con la creazione del corpo dei Devoti Spingitori della Vara di San’Alfio. Quando, una trentina d’anni fa, a spingere la Vara erano soltanto persone che lo facevano per quel poco di denaro che il comitato della festa riusciva a racimolare per loro, egli fu capace di creare questa associazione di professionisti, insegnanti, medici. Da allora entrare a far parte di quel gruppo è una grande aspirazione per molti giovani
Sempre nell’ambito della Festa del Patrono Straordinari e ancora ricercatissimi, specialmente da parte dei nostri concittadini emigrati,
rimangono la ventina di video realizzati e commentati sui momenti salienti della festa, dalla Reliquia, ai nudi, dalla Nisciuta al giro d’onore al percorso nei quartieri popolari.
Indimenticabili sono le due dizioni del Presepe Vivente realizzate nel quartiere San Paolo, che coinvolsero centinaia di figuranti e migliaia di visitatori.
E degno di un applauso lungo cent’anni il rilancio della festa di San Giuseppe, quando, una quindicina d’anni fa, stava spegnendosi la tradizione dei 33 piatti e l a vendita dei doni all’asta sembrava declinare inesorabilmente.
Questo e molto altro è Elio Cardillo, orgoglio lentinese.
Una doppia grande risorsa: per le cose speciali che pensa e che fa e per l’esempio e l’insegnamento che offre a giovani e coetanei. 

mercoledì 12 settembre 2012

PER TUTTI COLORO CHE HANNO SUPERATO I 15 ANNI

PER TUTTI COLORO CHE HANNO SUPERATO I 15 ANNI

Il 10 novembre p.v. si svolgerà la seconda edizione della FESTA DEL LIBRO e a tutti i quindicenni di Lentini e Carlentini sarà regalato un libro per avviarli all’AVVENTURA DELLA LETTURA.
I giovani ci sono, mancano i libri.
Un primo grande donatore ne ha già offerti 160, ma almeno dovremo arrivare a 300. L’anno scorso ce l’abbiamo fatta.
Se anche tu vuoi essere protagonista di questa storia unica e della crescita culturale dei nostri due comuni, porta o invia uno o più libri alla BIBLIOTECA COMUNALE DI LENTINI (via Aspromonte). 
Poi ci incontreremo tutti, giovani ed adulti, il 10 novembre in luogo da stabilirsi.

... e li chiamano disabili


http://www.lanotizia.tv/index_tg_detail.asp?id=1767

… e li chiamano disabili

Venni a conoscenza delle Paraolimpiadi nel 1972.
Allora non si chiamavano così e quella fu la prima edizione di interesse mondiale, la prima che si disputò nello
 stesso Paese che organizzava le Olimpiadi (in quel caso si disputarono qualche settimana dopo a Monaco di Baviera). Le gare non si svolsero negli impianti sportivi riservati ai Giochi Olimpici ma nell’impianto sportivo dell’Università di Heidelberg Insomma, per dirla tutta non mi lasciò una buona impressione: sembrava qualcosa da retrobottega, sembrava che gli atleti venissero quasi nascosti per non turbare l’animo sensibile dei cosiddetti “abili”, a suo modo, un ghetto, insomma.
Mi interessai alla manifestazione perché vi gareggiò, nel tiro con l’arco sulla sedia a rotelle, un mio idolo, mai più dimenticato: il magnifico Abebe Bikila, l’etiope che aveva vinto la Maratona di Roma correndo scalzo, di notte in un percorso cittadino che sfiorava il Colosseo, i Fori Imperiali, Piazza San Pietro. Egli vinse anche a Tokio nel ’64 e partecipò alla maratona di Città del Messico nel ’72. Un eroe che colpì la fantasia e rimase indelebile nella memoria non solo di quelli che nei primi anni ’60 eravamo giovanissimi e interessati alle vicende sportive.
La sua presenza a quelle Paraolimpiadi contribuì moltissimo a renderle popolari, ma, almeno per quanto mi riguarda, non riuscirono a togliere quel velo di tristezza, di disagio, di rifiuto nel vedere quelle donne e quegli uomini chiamati “disabili” emarginati in un palcoscenico seminascosto, lontani dagli sguardi degli “abili” (?).
Ancora si chiamavano Giochi di Stoke Mandeville, dal nome della cittadina inglese dove si erano svolte le edizioni precedenti, riservate solo ai soldati inglesi tornati dalla Guerra con gravi menomazioni
Abebe riuscì nell’impresa di fare conoscere al mondo una manifestazione poco nota, solo grazie alla sua presenza.
Ma il grande fascino che la sua figura esercitava su tanta parte del mondo era di tipo emotivo: lo straordinario atleta che correva a piedi scalzi, magrissimo e taciturno, colpito da tante sfortune, l’ultima delle quali lo aveva reso paraplegico.
Quest’anno il grande testimonial è stato Alex Zanardi. Tutt’altra figura: comunicativo, poliglotta, coltissimo, intelligente, sempre sorridente. Un uomo di grandi riflessioni, protagonista di una vita ricca di eventi, risultati, rischi, avventure. Come Abebe anche lui vittima di un incidente automobilistico che avrebbe stroncato la voglia di vivere di chiunque.
Dietro le quinte dei giochi di quest’anno, anche Augusto Pancalli, il Presidente del Comitato Paraolimpico Nazionale e vice Presidente del CONI. Anche lui ex atleta ora in carrozzina e partecipante e tre edizioni di giochi paraolimpici. Avvocato di straordinaria intelligenza e di grandi doti organizzative.
Zanardi, Pancalli, Annalisa Minetti e tutti quegli altri che non hanno vinto o addirittura non hanno partecipato ai giochi sono i migliori testimonials di un mondo che cambia.
Insomma, cosa voglio dire? Voglio dire che forse è tempo di cambiare qualche vocabolo. Forse bisognerebbe mettere da parte termini come “disabile” e “diversamente abile”, o almeno l’uso massiccio e indiscriminato che se ne fa.
Ho una cara amica che alcuni decenni fa sarebbe stata una disabile, cioè non abile alla sua stessa sopravvivenza. Invece ha frequentato le scuole e l’università, è diventata insegnante, e con una macchina adattata alle sue esigenze è riuscita a non perdere un giorno di lavoro, è amatissima da colleghi e alunni.
Tutti disabili? Rispetto a chi?

lunedì 10 settembre 2012

martedì 4 settembre 2012

La centrale idroelettrica di Lentini


http://www.lanotizia.tv/index_tg_detail.asp?id=1762
Cinquant’anni fa, nel novembre del 1962, nasceva l’ENEL, l’Ente Nazionale per l’ Energia Elettrica. Fu il frutto più importante del primo Governo del Centro Sinistra, presieduto da Amintore Fanfani (Democrazia Cristiana), di cui facevano parte il Partito Socialista, il quale aveva posto la nazionalizzazione dell’Energia Elettrica come conditio sine qua non.
Fino ad allora l’energia elettrica veniva prodotta e distribuita da alcune aziende di dimensione regionale o interregionale e da una miriade, circa 2.800 di piccole e piccolissime aziende di dimensione locale.
Lentini era servita da una piccola azienda comunale. Anche questa, come, come tutte le altre, grandi, medie e piccole, fu assorbita dall’ENEL e, come tutte le piccole, fu immediatamente dismessa.
La sua esistenza era durata 56 anni, ma vale la pena di essere raccontata.
Fu progettata alla fine dell’800 come ciliegina sulla torta dell’ambizioso e avveniristico, per allora, acquedotto comunale.
Il sindaco che ideò e avviò i lavori fu il barone Giuseppe Luigi Beneventano, quello che li concluse fu Alfio Incontro, latinista di grande valore, eroe garibaldino, instancabile e generosissimo volontario ai tempi dell’epidemia della Spagnola.
Tra loro, evidentemente, un gruppo dirigente lungimirante, colto, impegnatissimo nel rilancio di Lentini, dall’avvocato Bruno, al dottor Consiglio, al barone San Lio e via via ai vari Arcidiacono, Santapaola, Conti, Falcia, Portogallo per citarne qualcuno.
Dapprima, nel 1898, fu acquistata la fontana Paradiso, che nasce nella valle omonima nei pressi di Pedagaggi.
La fontana ha una portata di circa 27 litri d’acqua al secondo e, sfruttando il dislivello tra la sorgete e la contrada Cozzonetto situata sul costone nord del monte Pancali, giunge in due grandi serbatoi attraverso una canalette sotterranea lunga circa 12 chilometri e costruita con pietre e pozzolana, l’antenato del cemento, un capolavoro di ingegneria idraulica.
Dia serbatoi l’acqua viene intubata sfruttando la forte pendenza tra lo stesso e l’edificio ospitante le macchine (178 metri) permetteva di dare forza motrice ad una turbina-dinamo in grado di produrre energia elettrica. La turbina, di tipo Becher, fu acquistata dal Comune di Lentini dalla Casa Ganz di Budapest.
Il 17 dicembre del 1897 il Consiglio Comunale di Lentini approvò il contratto d’acquisto del macchinario.
Il locale che ospita la turbina è situato a metà della valle di Sant’Eligio. In questi giorni, parlando della chiesa di San Giuseppe Giusto abbiamo nominato più volte questa valle, compresa tra i colli San Mauro e Ciricò.
In realtà San Giuseppe Giusto è il migliore punto di osservazione per vedere dall’alto i serbatoi, la centralina e il perorso della tubazione.
Per i tempi fu una rivoluzione: tutto era avveniristico e inimmaginabile per un paese agricolo di meno di ventimila abitanti. Si era agli albori della elettrificazione in Sicilia e nessuna città produceva l’energia per i propri fabbisogni.
Il merito fu di una classe dirigente coraggiosa e lungimirante, guidata dal barone Beneventano

sabato 1 settembre 2012

L’AVVENTURA DELLA LETTURA


Ricominci l’avventura più bella. L’AVVENTURA DELLA LETTURA.
Gli adulti di Lentini e Carlentini scelgano i loro libbri più belli. Fra qualche giorno diremo loro dove inviarli.
Il 10 novembre in un grande incontro in presenza di amministratori, presidi, insegnanti e genitori i libri saranno regalati a tutti i quindicenni di Lentini e Carlentini.
Un grande incontro tra giovani ed adulti, un invito alla lettura, una serata indimenticabile, un’iniziativa unica al mondo.

martedì 28 agosto 2012

Due begli esempi




In questi giorni ho fatto molte volte il nome di Giuseppe Guercio.
Non ne ho potuto fare a meno: Giuseppe è un ingegnere edile carlentinese che abita e lavora a Reggio Emilia. Quando su Face book ha letto della nostra mobilitazione per recuperare la chiesetta abbandonata di San Giuseppe Giusto ha immediatamente aderito con entusiasmo contagioso. Non ha mai pensato “io sono carlentinese, vivo in Emilia, cosa mi interressa?”. Né mai, da tecnico consapevole delle difficoltà burocratiche, economiche e pratiche, ha detto una parola che potesse scoraggiare o indurre al pessimismo. È tornato a Carlentini per un paio di settimane di ferie e anziché riposarsi ha trascorso le sue ferie lavorando con un impegno e una generosità eccezionali per il nostro progetto: foto, studi, ricerche, relazioni.
Ci ha fornito indicazioni, informazioni, suggerimenti e strumenti di eccezionale utilità per il prosieguo della nostra azione. Insomma, un esempio ed uno stimolo, più ancora di un aiuto.
Poi un giorno ci trovammo a parlare della nostra festa dl libro. Nel giro di quarantotto ore si presentò a casa mia con centosessanta libri da donare ai nostri quindicenni. Lui non me lo ha chiesto, ma a me sembra doveroso e bellissimo invitare quest’anno, assieme ai lentinesi anche tutti i quindicenni di Carlentini. Il sindaco, gli amministratori e i ragazzi di Carlentini devono sapere qualcosa del loro splendido concittadino. Egli, per conto proprio, in silenzio, in punta di piedi, senza clamore, ne ha regalati circa ottocento alla biblioteca della sua città.
E qui mi viene in mente suo padre. Il padre di Giuseppe fu sindaco di Carlentini dal 1962 al 1975. Quando cominciò Giuseppe non era nato, quando finì aveva tre anni. Perché mi viene in mente? Perché la biblioteca di Carlentini vide la luce nel 1966 grazie allo straordinario impegno del padre di Giuseppe. Egli, il padre, è il mitico Cicciu Vecciu, Francesco Guercio. La istituzione della Biblioteca Comunale non fu il frutto di un parto indolore. Vi furono parecchie opposizioni. Molte assomigliavano a quelle che sentiamo dire adesso, quasi cinquant’anni dopo: “con tanto che c’è da fare…” “La cultura non si mangia” e così via filosofando.
Ma Ciccio non li ascoltò, andò avanti. Egli sapeva quale cibo fondamentale fosse la cultura per gli uomini e per l’intera società, sapeva che nessuna comunità può avere futuro senza cultura, senza informazione, senza conoscenza. I suoi oppositori non erano solo anziani, braccianti e contadini, come si potrebbe pensare, ma anche intellettuali, professionisti e giovani. E il sindaco Guercio non era un uomo acculturato, come si potrebbe credere: Era un contadino-allevatore in prima persona. Non aveva lauree, ma solo la quinta elementare. Ma SAPEVA il valore della cultura. Sapeva che i libri devono essere facilmente accessibili a tutti, perché l’ignoranza e la non conoscenza conducono alla subalternità degli individui e al declino delle società.
Aveva capito tutto senza avere avuto l’opportunità di leggere libri.
Quando Giuseppe nacque la sua casa era pronta ad accoglierlo con decine di libri nello scaffale, pronti per quando il bambino sarebbe stato in grado di leggerli.
Il sindaco Guercio entrò nella storia di Carlentini per altre mille ragioni, ma il fatto che abbia voluto istituire la Biblioteca comunale in quei tempi e con quelle difficoltà, per me lo rende immortale.
Io mando un abbraccio e un ringraziamento a Giuseppe, ma a suo padre, al grande Ciccio Guercio, ne mando cento e cento.

venerdì 24 agosto 2012

Cicogne, tartarughine e capperi



Vent’anni fa proprio nel nostro territorio, sui terreni che un giorno ospitavano le acque del Biviere nidificò una coppia di cicogne.
Erano le prime cicogne, dopo cinque secoli di assenza, che poggiarono piede in Sicilia. Oggi vene sono 140 esemplari, tutti discendenti da quella prima coppia.
In Sicilia ci sono molte zone umide, dall’Oasi del Simeto all’Area Protetta del Ciane, per restare alle più vicine, ma loro scelsero Lentini. Non badarono che fosse bella o brutta.
La sera del 21 agosto è accaduto un altro evento bellissimo e misterioso: sulla spiaggia di Agnone, tra i lentinesi al mare, sono nate una cinquantina di tartarughine caretta-caretta. Sbucavano fuori con la loro andatura buffa da sotto una barca capovolta. (potete vederle su http://www.lanotizia.tv/).
Sapete tutti quanta spiaggia c’è non frequentata da bagnanti, eppure la loro mamma scelse questo posto per deporre le uova. Si fidò, vorrei dire, di noi lentinesi.
Neanche mamma tartaruga badò al fatto che Agnone fosse bella o brutta. Qualcosa la spinse là.
A me piace immaginare che siano dei segnali, dei messaggi rivolti a noi lentinesi.
Dal libro di Nino Risuglia presentato proprio la sera della nascita delle tartarughine emerge un messaggio: la tua città è tua madre. Non è importante che sia bella o brutta, povera o ricca, calma o nervosa. È tua madre, e tu la ami, la rispetti, la fai rispettare e non dimenticherai niente di lei.
Il bellissimo movimento che è nato per il recupero della chiesetta di San Giuseppe Giusto sembra confermare quanto ho appena detto, non è nato perché San Giuseppe Giusto sia bello o perché può essere sfruttabile ai fini turistici e dunque economici, ma perché questa chiesetta è memoria, identità, anima. È un monumento seminascosto all’incuria. Alla incomprensione e alla superficialità dei nostri concittadini. Vogliamo trasformarlo in monumento alla generosità, alla partecipazione, alla ricerca delle radici, della cultura e dell’arte sacra nel nostro territorio.
L’abbiamo abbracciato, appunto, come si fa con la madre, senza secondi fini e senza badare a questioni estetiche. Ma essa ci sta subito donando emozioni straordinarie. Anche legate alla bellezza.
Il vano dedicato al culto è di metri cinque per sette. La superficie dei muri e del soffitto sarà quindi di poco più di 150 metri quadrati. Ebbene, in questo piccolo spazio sono racchiusi affreschi senza nessun valore, ma di straordinaria bellezza.
È una regalo inaspettato e graditissimo. Un premio e uno stimolo, ma lavoreremmo al suo recupero anche se non fosse così.
Perché è così che ci si comporta con la madre.
Onorandola e difendendola da tutti gli insulti a qualsiasi costo e a prescindere da tutto.
E ci sta dando un altro dono forse,  ancora più grande ed inaspettato.
Intanto le foto: tante, scattate fotografi provetti e improvvisati con cui abbiamo già messo in piedi una mostra on line (http://www.facebook.com/media/set/?set=oa.461980100501916&type=1) e ne vogliamo realizzare una itinerante nel periodo natalizio.
E poi la grande  offerta del proprio impegno da parte di decine di giovani e adulti.
Vorrei citarli tutti, uno per uno, ma sono troppi. Credo che nessuno si offenderà  se ne cito solo due: Corinne Valenti e Giuseppe Guercio. La prima, una dolcissima ragazza lentinese, tra le altre cose ne ha fatta una straordinaria: ha interpretato e donato ai contemporanei una scritta ormai quasi del tutto illeggibile.
Il secondo è un ingegnere carlentinese che vive e lavora a Reggio Emilia e sta dedicando con generosità estrema tutti i pochi giorni di vacanza in Sicilia al nostro progetto.
Tra l’altro ha scritto una relazione storico-strutturale della chiesetta, che, con razionalità competenza, ne mette in luce aspetti interessantissimi e tracce in grado di giungere presto ad altre scoperte.
Infine, un pensiero particolare lo dedico al professo Paolo Giansiracusa, il quale si è dichiarato subito pronto a mettere tutta la sua competenza ed il suo prestigio a disposizione del nostro progetto, mentre l’Accademia di Belle Arti “Rosario Gagliardi” da lui diretta si è dichiarata disponibile ad occuparsi del restauro degli affreschi.
Anche qua c’è un chiarissimo segnale di incoraggiamento da parte della natura, l’indicazione della strada da seguire da parte della vita: Su un muro scrostato di San Giuseppe Giusto si è abbarbicato un cappero e ha fatto casa. Le foglioline minute dal verde intenso mostrano che la vita non si ferma davanti al banale ostacolo della mancanza d’acqua e di riparo e rende vivo un muro che gli uomini stolti dichiarano morto.
Gli amici che stanno lavorando alacremente per recuperare San Giuseppe Giusto sono cicogne, tartarughine, capperi. Sono ragazze, ragazzi, donne e uomini vivi che portano vita tra le braccia della loro Lentini.


giovedì 23 agosto 2012

Un cappero


Su un muro scrostato
di San Giuseppe Giusto
si è abbarbicato un cappero
e ha fatto casa.
Le foglioline minute
dal verde intenso
mostrano che la vita non si ferma
davanti al banale ostacolo
della mancanza
d’acqua e di riparo
e rende vivo un muro
che gli uomini
dichiarano morto

mercoledì 15 agosto 2012

Nino Risuglia, scrittore dell’anima


  
Il 21 di agosto, alle 19. all’Arena Santa Croce sarà presentato il libro “Lentini. Un amore nella memoria”. L’autore è il mio caro amico e splendido lentinese Nino Risuglia. L’editore è la Aped di Angelo Parisi.
A presentarlo sarà la preside Maria Arisco ed anch’io avrò il privilegi di dire qualche parola in proposito. Saranno presenti il Sindaco Alfio Mangiameli, l’assessore alla cultura Nuccia Tronco, la professoressa Antonella Battaglia, presidente della Commissione letteraria dell’Aped ed alcuni attori dell’associazione Anteas di Siracusa. A condurre la serata sarà il giornalista Salvatore Di Salvo. Tra gli ospiti, anche il tenore Tino Incontro.
“Lentini. Un amore nella memoria” è uno di quei libri che dovevano essere scritti e che ognuno di noi dovrebbe leggere e conservare a casa. Ma non nella libreria, dove essi vengono riposti tra molti altri bensì sul comodino, accanto al computer, sul tavolino del salotto, cioè sempre a portata di mano perché siano sempre consultabili e sempre possano essere mostrati agli amici.
Di cosa parla questo libro? Il titolo dice molto ma, ovviamente, non tutto. In un fitto dialogo con i nipotini l’autore racconta la Lentini degli anni in cui anche lui bambino, ragazzino, giovanotto. Vengono descritti i giochi, i quartieri, i personaggi, i mestieri, i rapporti tra amici, tra vicini, tra familiari, di certi aspetti, direi magici, della natura. Ai ragazzini mostra un mondo sconosciuto, quello in cui sono cresciuti e si sono formati i nonni e, indirettamente, i loro genitori. Agli adulti propone una rilettura pacata e distaccata dei valori che governavano la nostra società: il rispetto reciproco tra le persone il rispetto profondo per la natura.
C’è tanta gente che ogni giorno parla delle bellezze di Lentini, le bellezze fisiche. Talvolta, per affetto, esagerando, altre volte minimizzando, spesso per farne un uso politico ed elettorale.
Raramente si trova qualcuno come Nino Risuglia, che guarda all’anima della comunità, cioè alla parlata, alle relazioni tra i suoi membri, alle dolcezze dei sentimenti.
Nino ne ha capito l’importanza ed ha capito quanto sia utile, doveroso conservarne la memoria, mostrarle, tramandarle
Uno delle osservazioni che più mi hanno colpito è la totale differenza tra i modi di giocare di allora (siamo negli anni ’50) ed adesso. Oggi i bambini hanno i “loro” giocattoli, giocattoli che “usano”, spesso da soli, isolati dal resto del mondo. Allora, in mancanza di giocattoli, si giocava “assieme” agli altri bambini, on gli altri si faceva “squadra”, ci si coordinava, ci si confrontava, ci  si conosceva e rispettava.
Parlare di questo è per l’autore anche l’occasione per sciorinare decine di giochi con i loro nomi, le loro regole, i loro trucchi, dalla Ria a quaranta alla Ria a cento, da A nomu di Diu alla Vacca scinni e ‘ncravacca alla Fussetta, a Pappantoni di vilanza. E poi il lungo elenco di personaggi molto popolari (commovente il ritratto che Nino fa di Padre Cantella), i mestieri come l’ugghiularu, u vanniaturi,  u conzapiatti, l’umbrillaru.
Sul  suo primo libro, “Glossario. Parole e detti lentinesi”, scrissi, nel gennaio dello scorso anno: Quanto amore ci vuole per scrivere una ad una circa cinquemila parole e un migliaio di modi di dire? Lo immagino seduto, non a scrivere ma a prendere ogni parola da uno di quei canestrini colorati in cui un tempo si spedivano le arance in regalo e lucidarla delicatamente col fiato e con un panno e deporla amorevolmente nello scrigno che poi è diventato libro. 
Per quest’altro dovrei ripetere le stesse cose, e aggiungo che questo suo straordinario e incondizionato amore per la sua e nostra città è molto simile a quello per la madre: bella o brutta che sia, povera o ricca, vivace o tranquilla, è la nostra città, la madre. E come la madre va amata e rispettata senza condizioni. Il solo pensarlo, il solo dirlo rappresentano un primo contributo per farla amare e per migliorarla.

mercoledì 8 agosto 2012

Salvo Fusco, grande artista.



Oggi vi parlerò di un mio amico. Si chiama Salvo Fusco. Ricordatevi il nome perché prima che io finisca di parlare sarà diventato anche vostro amico.
Salvo è lentinese, è fotografo e vive a Falconara Marittima, in provincia di Ancona, insieme alla moglie Tiziana e alle due figliole, Beatrice e Denise.
Perché ve ne parlo? Perché sono stregato dalle sue foto.
Salvo è, insieme, un delicato artista e un formidabile uomo d’avventura.
Va a raccogliere immagini sui bordi della bocca di un cratere vulcanico fumante e tra le nevi perenni della Siberia, nella giungla keniota o dentro una tempesta. E le sue foto esprimono la forza, i colori, i contrati della natura selvaggia, violenta, incontrastabile.
In altre foto riesce ad esaltare la voglia dell’uomo di gareggiare con la natura stessa, il suo epico sforzo e i suoi strabilianti risultati.
Ce n’è una in cui sono colti alcuni momenti di una esibizione di frecce tricolori: La libertà del volo, il ruggito dei motori, la geometrica precisione delle traiettorie ad altissima velocità sembrano un grido di libertà e di vittoria dell’uomo sulle leggi della gravità. Salvo è riuscito a raccogliere e a rendere a noi tutto questo con un solo scatto. Forse un millesimo di secondo. Ma il millesimo di secondo giusto, quello in cui gli aerei sono racchiusi in uno spazio fotografabile ed esprimono la potenza, la velocità, la precisione ai massimi livelli.
E ci sono altre tre foto di tutt’altro tenore che mi hanno colpito particolarmente e che dimostrano la straordinaria versatilità e la profondità della poetica di Salvo.
Una racconta un tramonto. I tramonti sono spesso fotografati e altrettanto spesso dipinti. Sono sempre suggestivi. Le nuvole arrossate dal sole declinante, i campi, in primo piano tendenti al verde scuro. Questa foto è bella come tante altre foto, come tanti dipinti. È la drammaticità del passaggio dal giorno alla notte, alla luce al buio che rende il tutto  molto suggestivo.
Ma qua c’è qualcosa di diverso. C’è l’artista Salvo Fusco che racconta un’altra storia. E ci racconta di sei cipressi di cui potremmo non accorgerci vista la straordinaria potenza di quella luce al tramonto. Ebbene, Salvo riesce a cogliere e ad offrirci uno spettacolo poetico e commovente: il brivido che attraversa e fa vibrare quei cipressi che dopo una giornata di luce sanno di dovere affrontare una notte al buio, al freddo, in solitudine, senza canti d’uccelli.
Poi ce n’è una che sembra avere come soggetto l’Etna in eruzione sullo sfondo di un paesino che fa da quinta.
In realtà, a guardarla bene, ci si accorge che il paesino è muto, deserto, attonito, spaventato. E l’eruzione ne è la spiegazione.
La stessa poesia si coglie in una foto completamente diversa.
In questa il soggetto è la reliquia di Sant’Alfio portata in spalla da alcuni devoti. Lo sfondo è eccezionale: l’ingresso della Grotta dei Santi. Attorno i sacerdoti e i portatori. Quasi a fare da sfondo i semplici fedeli. E mentre tutto è bellissimo, qua, in questa corona di fedeli, donne e uomini, anziani e bambini, si manifesta la grandezza dell’artista. Quei volti esprimono tutta la commozione, l’affetto per il Santo, la contemplazione, lo stupore di essere là in quel momento tipica di lentinesi per Sant’Alfio. E ogni volto sembra esprimere un suono dolce e malinconico. E da questa corona di fedeli sembra elevarsi un coro, un inno ai loro martiri.
Ecco, Salvo riesce a fotografare anche i canti muti, le emozioni più profonde, lo sgomento, lo stupore.






giovedì 2 agosto 2012

RECUPERIAMO SAN GIUSEPPE IL GIUSTO





L’avvocato Aldo Failla, sempre lui, sempre grande, ha lanciato un grido di dolore per lo stato di abbandono in cui si trova la chiesetta rupestre di San Giuseppe il Giusto, qualche centinaio di metri sopra il cimitero di Lentini (contrada Ciricò) ma sul territorio comunale di Carlentini.
Qualcuno ha raccolto con serenità questo grido, qualcun altro non ha perso l‘occasione per utilizzarlo per le proprie strumentalizzazioni politiche (peraltro fuori luogo, visto che il sito è in stato di abbandono da circa settant’anni), degradando un sogno a misera arma contundente per colpire l’oggetto della sua acredine.
A Lentini dobbiamo sopportare con pazienza questi soggetti, ma  in compenso abbiamo altri personaggi, in primis proprio Aldo, grazie ai quali qualcosa si combina. Aldo, per esempio, è quello che ha messo su un’associazione per comprare la scrivania di Giovanni Falcone, altrimenti perduta, senza perdere tempo a criticare chi non l’aveva fatto prima di lui; poi c’è Enzo Caruso con i ragazzi dell’associazione P.A.C.E., che dapprima hanno avviato un magnifico lavoro di volontariato in difesa dei randagi, poi hanno installato la statua di Gaetano e infine hanno “adottato” piazza Taormina, facendola diventare un gioiellino; poi ci sono questi splendidi ragazzi che di notte vanno a sistemare la aiuole di Lentini, fino ad arrivare ai giovanissimi Giorgio Franco, Danilo Daquino, ecc.  E gli esempi non finiscono qua.
Quello che voglio dire è questo: troppo spesso i brontoloni senza costrutto, i “mi-lamento-di-tutto quindi esisto”, quelli che “Lentini fa schifo”, i rancorosi, gli inaciditi, troppo spesso questi soggetti, dicevo, si tirano dietro altri senza personalità e senza autonomia di pensiero.
Io sono tra quelli che hanno scelto da tempo ben altri maestri, quelli che FANNO: ieri Carlo Lo Presti, Carlo Cicero, l’avvocato Sgalambro, il professore Ciancio e C., oggi Maria Arisco, Pippo Cardello, Elio Cardillo, Enzo Caruso, Aldo Failla, i giovani “friarielli” di Lentini, Enzo Laezza.
I pessimisti dicono che Lentini è quella dei primi, io dico che è quella dei generosi, dei sorridenti, dei sereni, dei senza mugugni e dei costruttori di serenità e bellezza..
E allora dico: facciamo come questi ultimi: SAN GIUSEPPI U GIUSTU RECUPERIAMOLO NOI.
Anche perché non c’è nessun altro in grado di farlo: non il comune di Lentini, perché non cade nel suo territorio, né quello di Carlentini, perché con i suoi abitanti non c’entra niente.
SOLO NOI POSSIAMO E SOLO NOI DOBBIAMO lavorare per il suo recupero.
Almeno per tre ragioni che sintetizzo così: i Templari, il sommacco, S. Eligio.
I Templari perché furono essi ad innalzarla, nel XIII secolo (Pisano Baudo . Storia di Lentini), dopo avere ottenuta la concessione di pescare nel fiume Lentini (oggi San Leonardo).
Il sommacco perché è una pianta che dal 1600 al 1800 portò molta ricchezza in Sicilia (dalla corteccia e dalle foglie si estraeva il tannino, necessario per la tintoria e per la concia delle pelli), di cui si fece larghissima esportazione, specialmente in Inghilterra. Attorno alla chiesetta ce n’è una rigogliosa piantagione prepotentemente sopravvissuta ai tentativi di sostituirla con un agrumeto.
S. Eligio è il nome della stupenda vallata che divide il colle S. Mauro da quello di Ciricò, e dalla chiesetta può essere ammirata in tutta la sua commovente bellezza.
Assieme ad Aldo Failla ho creato questo gruppo con la speranza che siano in tanti ad avere l’opportunità di fare qualcosa di storico e di importante per Lentini.
Aderite e scrivete tutto quello che volete: domande, suggerimenti, idee, critiche, indicazioni, ricordi, racconti, leggende, poesie,canzoni. E mandate foto, tutte le foto che avete.
Niente andrà perduto o dimenticato: abbiamo creato anche un blog dove tutto rimarrà memorizzato e sempre consultabile,il cui indirizzo è: http://sanciuseppigiustu.wordpress.com/
Stiamo per fare qualcosa di storico, faremo in modo che non sia dimenticato.