Fosse nata, in queste fredde notti di Natale, e trovata tutta sola e infreddolita in una grotta, le infermiere l’avrebbero chiamata così senza esitare.
Invece lei per Natale è morta. Di fame e di freddo. In una grotta antica, che certamente c’era anche 2008 anni fa, a Siracusa, nella Balza di Akradina.
Aveva 53 anni ed era venuta dalla Polonia, come tante, perché le avevano detto che qui in Italia non c’è la povertà della sua terra (l’America dei nostri nonni). Anche lei lo diceva ad altre. Aveva visto diverse volte in televisione (non a casa sua, lei non possedeva un televisore) piazza San Pietro traboccante di gente festosa, quando c’era il Papa Grande, il suo connazionale Karol Wojtila. E forse pensava che qua, comunque, la gente l’avrebbe aiutata proprio perché ci sono i Papi e la gente può apprendere meglio la lezione di Cristo, della carità, della solidarietà.
Non poteva mai immaginare che qui sarebbe stata molto peggio che in Polonia. E forse nemmeno noi avremmo mai immaginato che la morte per fame, per freddo, per abbandono ci è così vicina.
In questo periodo, ogni anno, si sente di barboni morti a Roma, a Milano, a Parigi. Ci addoloriamo, certo, ma in fondo proviamo sempre un piccolissimo amaro senso di rasserenamento: nelle nostre piccole città, ci diciamo, questo non può accadere. E invece accade, di tanto in tanto. Normalmente accade a persone sole. E poi se ne parla per settimane: “Com’è potuto accadere?”. Quando accade ad una immigrata come Natalina se ne parla solo per qualche minuto. E anche male. Perché questi morti danno molto fastidio. A tutti. E soprattutto ai sindaci. Che figura ci fai se nella tua città c’è gente che muore in questo modo? Quello di Siracusa ha rilasciato subito una dichiarazione forte: “Farò sgombrare tutte le grotte della città”. Come Alemanno, che farà sgombrare tutti i campi nomadi abusivi ora che, a causa del fuoco acceso per scaldarsi, sono morte una giovane madre e la sua bambina. Che muoiano da un’altra parte, insomma. E nulla più.
sabato 27 dicembre 2008
giovedì 25 dicembre 2008
No, non è la nostalgia...
Come definire una serata di “Ziti, miti e riti” in cui i migliori atleti e calciatori lentinesi degli anni ’60 hanno raccontato mille retroscena, hanno rivelato fatti finora segreti, hanno confessato partite vendute e gare perse di proposito? Strepitosa! Risate e sorprese a non finire, riflessioni profondissime (ma mai barbose), incontri insperati. C’erano Nino Risuglia, primatista regionale del salto in lungo, il mitico Cesare Pisano, il velocista Felice Aloisi, il campione che non immaginavi, l’ex sindaco e dottore Franco Rossitto, e poi i calciatori Saro Zacco, sempre fulminante, Bruno Turelli, in forma strepitosa, Guido Mirisola, divertentissimo, Filippo Cracchiolo. Ma la preside Maria Arisco, oltre che a competere con i maschi sul piano della verve, è stata brillantissima nel descrivere le difficoltà, dovute a censure di vario tipo, delle ragazze atlete. Aldo Failla, come al solito, è stato li inesauribile miniera di ricordi e memorie e Armando Rossitto, che abbiamo scoperto giovanissimo giornalista sportivo del tempo, ha saldato avvenimenti, storia e sociolologia con un intervento che da solo sarebbe bastato a rendere importante la serata.
La prossima puntata, quella di domenica prossima sarà dedicata al teatro: quello del Centro Studi e di Carlo Lo Presti, quello del Gorgia e quello della FUCI, quello di Gianni Giuffrè e quello di Gianni Anzalone, quello di Agostino La Fata, quello di Elio Cardillo e quello di Enzo Ferraro. Tutti coloro che ho citato (tranne Lo Presti, scomparso da tempo) e altri protagonisti del tempo (Piero Russo, in primis) saranno con noi per chiudere questo breve ciclo sugli anni ’60 e per dare vita ad un’altra indimenticabile serata di amarcord e di stimoli nuovi per noi tutti.
Ricordo ancora: domenica 28, alle 17, alla masseria Militti, via F.lli Bandiera, n. 18. Alle 17, 30 su Radio Elleuno (99,2 fm) e su www.radioelleuno.it
La prossima puntata, quella di domenica prossima sarà dedicata al teatro: quello del Centro Studi e di Carlo Lo Presti, quello del Gorgia e quello della FUCI, quello di Gianni Giuffrè e quello di Gianni Anzalone, quello di Agostino La Fata, quello di Elio Cardillo e quello di Enzo Ferraro. Tutti coloro che ho citato (tranne Lo Presti, scomparso da tempo) e altri protagonisti del tempo (Piero Russo, in primis) saranno con noi per chiudere questo breve ciclo sugli anni ’60 e per dare vita ad un’altra indimenticabile serata di amarcord e di stimoli nuovi per noi tutti.
Ricordo ancora: domenica 28, alle 17, alla masseria Militti, via F.lli Bandiera, n. 18. Alle 17, 30 su Radio Elleuno (99,2 fm) e su www.radioelleuno.it
mercoledì 24 dicembre 2008
Buon Natale
A tutti gli amici che generosamente ogni tanto si soffermano a leggere le mie piccole riflessioni auguro un buon Natale, splendidi gironi di festa e tanta felicità. Guglielmo
sabato 20 dicembre 2008
Abbiamo Iacopo da Lentini, ora occorrerebbe una Lentini “da Iacopo”
Abbiamo Iacopo da Lentini, ora occorrerebbe una Lentini “da Iacopo”
Grazie a Iacopo il nome di Lentini è noto in tutto il mondo. Si è parlato molto, anche su questo giornale, della “festa di Iacopo” e del grande interesse che ha suscitato in città e nelle scuole (quasi sessanta studenti hanno partecipato al concorso indetto dalla Fondazione Pisano). Si sono raccontati più volte i motivi che hanno spinto la Fondazione, il Liceo classico Gorgia, il Liceo scientifico Vittoriani e l’associazione “Giacomo da Lentini” ad organizzare questa manifestazione: l’articolo di Andrea Camilleri sul quotidiano “La Repubblica”, in cui il popolare scrittore tesseva le lodi del nostro poeta e dei suoi sonetti amorosi. Si è molto parlato della intelligente relazione tra il poeta e la sua città che il professore Antonelli ha colto e sottolineato brillantemente.
Non è stato reso noto un piccolo, particolare suggerimento che il professore alla fine della sua relazione, in privato, diede al Sindaco Mangiameli. Disse il professore: “Dovreste fare qualcosa che ricordi sempre a tutti che questa è la città del Notaro; perché non pensate ad un premio annuale della poesia d’amore”. Il Sindaco con molta cordialità gli fece osservare che da dodici anni a Lentini si tiene una manifestazione molto simile a quella suggerita dal professore, il “San Valentino in poesia” e gli parlò anche dei “Luoghi gentili”, le poesie sui muri della città. Trattandosi di due iniziative che hanno a che fare con me, non riferirò lo stupore e complimenti di Antonelli. Dico solo che egli confessò che qualche anno fa aveva pensato di fare qualcosa di simile nelle stazioni della metropolitana di Roma, ma ci riuscì.
Chissà cosa avrebbe pensato se gli avessero raccontato che quelle due piccole cose che ricordano Iacopo sono state realizzate per iniziativa privata e a suo tempo furono ferocemente osteggiate da amministratori, consiglieri comunali e intellettuali importanti!
Quello che pochissimi sanno è che lo studioso sarebbe dovuto venire a Lentini la sera precedente la conferenza, e non lo stesso pomeriggio, come accadde.
Cosa sarebbe accaduto se, come da programma avesse trascorso la mattinata del sabato a visitare la città? Certamente l’avremmo portato al Municipio. E nel percorso avrebbe visto che la via Notaro Iacopo è una traversa di via Garibaldi. Probabilmente sarebbe rimasto un po’ deluso nel veder che le vie più importanti di Lentini, anziché a Gorgia e a Iacopo, sono intestate Vittorio Emanuele III, alla Regina Margherita, a Umberto di Savoia
Poi forse avrebbe chiesto di visitare la Biblioteca Comunale. Una volta arrivato avrebbe pensato che, per fargli un discutibile scherzo, l’avevamo portato al deposito dei libri e dei mobili vecchi e non nella vera Biblioteca. Dopo qualche metro avrebbe scoperto l’ex Upim, con tutto il suo cemento, le grandi vetrate rotte e sporche, le decine di manifesti colorati, grandi e piccoli, strappati, ammassati, sovrapposti (misteriosamente quelle vetrate sono l’unica zona franca per Manifesto Selvaggio...
Forse a quel punto sarebbe andato via convinto di avere sbagliato città: non poteva essere quella la città di Iacopo.
A pensarci bene avremmo fatto una cattiva figura solo perché siamo sciatti: per fare una Lentini degna di Iacopo e Gorgia non ci vogliono chissà quanti soldi (è la scusa di tutti, questa): basta avvertire il dovere di farlo.
Grazie a Iacopo il nome di Lentini è noto in tutto il mondo. Si è parlato molto, anche su questo giornale, della “festa di Iacopo” e del grande interesse che ha suscitato in città e nelle scuole (quasi sessanta studenti hanno partecipato al concorso indetto dalla Fondazione Pisano). Si sono raccontati più volte i motivi che hanno spinto la Fondazione, il Liceo classico Gorgia, il Liceo scientifico Vittoriani e l’associazione “Giacomo da Lentini” ad organizzare questa manifestazione: l’articolo di Andrea Camilleri sul quotidiano “La Repubblica”, in cui il popolare scrittore tesseva le lodi del nostro poeta e dei suoi sonetti amorosi. Si è molto parlato della intelligente relazione tra il poeta e la sua città che il professore Antonelli ha colto e sottolineato brillantemente.
Non è stato reso noto un piccolo, particolare suggerimento che il professore alla fine della sua relazione, in privato, diede al Sindaco Mangiameli. Disse il professore: “Dovreste fare qualcosa che ricordi sempre a tutti che questa è la città del Notaro; perché non pensate ad un premio annuale della poesia d’amore”. Il Sindaco con molta cordialità gli fece osservare che da dodici anni a Lentini si tiene una manifestazione molto simile a quella suggerita dal professore, il “San Valentino in poesia” e gli parlò anche dei “Luoghi gentili”, le poesie sui muri della città. Trattandosi di due iniziative che hanno a che fare con me, non riferirò lo stupore e complimenti di Antonelli. Dico solo che egli confessò che qualche anno fa aveva pensato di fare qualcosa di simile nelle stazioni della metropolitana di Roma, ma ci riuscì.
Chissà cosa avrebbe pensato se gli avessero raccontato che quelle due piccole cose che ricordano Iacopo sono state realizzate per iniziativa privata e a suo tempo furono ferocemente osteggiate da amministratori, consiglieri comunali e intellettuali importanti!
Quello che pochissimi sanno è che lo studioso sarebbe dovuto venire a Lentini la sera precedente la conferenza, e non lo stesso pomeriggio, come accadde.
Cosa sarebbe accaduto se, come da programma avesse trascorso la mattinata del sabato a visitare la città? Certamente l’avremmo portato al Municipio. E nel percorso avrebbe visto che la via Notaro Iacopo è una traversa di via Garibaldi. Probabilmente sarebbe rimasto un po’ deluso nel veder che le vie più importanti di Lentini, anziché a Gorgia e a Iacopo, sono intestate Vittorio Emanuele III, alla Regina Margherita, a Umberto di Savoia
Poi forse avrebbe chiesto di visitare la Biblioteca Comunale. Una volta arrivato avrebbe pensato che, per fargli un discutibile scherzo, l’avevamo portato al deposito dei libri e dei mobili vecchi e non nella vera Biblioteca. Dopo qualche metro avrebbe scoperto l’ex Upim, con tutto il suo cemento, le grandi vetrate rotte e sporche, le decine di manifesti colorati, grandi e piccoli, strappati, ammassati, sovrapposti (misteriosamente quelle vetrate sono l’unica zona franca per Manifesto Selvaggio...
Forse a quel punto sarebbe andato via convinto di avere sbagliato città: non poteva essere quella la città di Iacopo.
A pensarci bene avremmo fatto una cattiva figura solo perché siamo sciatti: per fare una Lentini degna di Iacopo e Gorgia non ci vogliono chissà quanti soldi (è la scusa di tutti, questa): basta avvertire il dovere di farlo.
mercoledì 17 dicembre 2008
che serata, la prossima domenica!
Domenica 21, III puntata di Ziti, miti e riti.
I Miti che ricorderemo stasera saranno quelli della straordinaria squadra di atletica leggera del Liceo Gorgia, che per tre anni dominò i campionati studenteschi provinciali: Nino Risuglia, Nuccio Fisicaro, Alfio Strano, Alfio Toscano, Felice Aloisi, Lino e Pino Celesti, Cesare Pisano, Franco Rossitto, Maria Arisco e poi, negli anni successivi, Nino Tribulato, Antonio Ferrauto, Edmondo Cimino, Agata Martines, Guido Mirisola. Accanto a loro altri Miti, quelli della Leonzio: Turi Di Pietro, Saro Zacco, Gianni Viola, Turelli, Cracchiolo, ecc. ecc.
Si tratta di figure la cui personalità ha brillato anche negli anni successivi e in attività diverse da quelle dello sport, quasi tutti vivaci raccontatori di storie e aneddoti di cui sono stati protagonisti e testimoni. Si prevede una serata strepitosa, per risate e ricordi, assolutamente da non perdere.
Per chi non potrà essere presente di persona c’è la comoda alternativa della diretta su Radio Elleuno (99,2 fm). Chi perde entrambe le possibilità è proprio fesso
I Miti che ricorderemo stasera saranno quelli della straordinaria squadra di atletica leggera del Liceo Gorgia, che per tre anni dominò i campionati studenteschi provinciali: Nino Risuglia, Nuccio Fisicaro, Alfio Strano, Alfio Toscano, Felice Aloisi, Lino e Pino Celesti, Cesare Pisano, Franco Rossitto, Maria Arisco e poi, negli anni successivi, Nino Tribulato, Antonio Ferrauto, Edmondo Cimino, Agata Martines, Guido Mirisola. Accanto a loro altri Miti, quelli della Leonzio: Turi Di Pietro, Saro Zacco, Gianni Viola, Turelli, Cracchiolo, ecc. ecc.
Si tratta di figure la cui personalità ha brillato anche negli anni successivi e in attività diverse da quelle dello sport, quasi tutti vivaci raccontatori di storie e aneddoti di cui sono stati protagonisti e testimoni. Si prevede una serata strepitosa, per risate e ricordi, assolutamente da non perdere.
Per chi non potrà essere presente di persona c’è la comoda alternativa della diretta su Radio Elleuno (99,2 fm). Chi perde entrambe le possibilità è proprio fesso
Da noi era meglio non sognare
Nella è un splendida “ragazza degli anni ‘60” che vive a Firenze. Per molti anni è stata lentinese, nel senso che giunse a Lentini, con la famiglia, quand’era ragazzina e qui si formò, completò gli studi,si innamorò, iniziò a lavorare. Era molto intelligente e creativa già allora e mai ha cessato di esserlo. Adesso fa l’insegnante e la scultrice. L’ho contattata per Ziti, miti e riti perché la nostra amica comune Maria Marino mi aveva raccontato una storia che la riguardava. Di questa storia potrebbero sortire trattati, dibattiti, addirittura film o romanzi. E non perché si tratta di storia particolare, singolare, straordinaria, ma proprio perché storia normale, ordinaria: malinconica storia di speranze deluse e di sconfitte, assai comune negli anni '60 (e forse anche oggi) a Lentini (e forse non solo) e per questo emblematica. Di eccezionale c'erano il sogno (aprire un atelier), la dimostrazione delle capacità di Nella (una sfilata organizzata nel '66 con modelli da lei disegnati), e la straordinaria bellezza delle ragazze che si improvvisarono modelle per l'occasione.
Nella (è lei che ha scritto quanto segue)racconta questa storia con pochi, brillanti tratti da artista.
L’abbiamo letta e abbiamo rievocato quei momenti con alcune delle protagoniste citate nel breve racconto la sera del 14 dicembre alla Masseria Militti, nella seconda serata di Ziti, miti e riti.
Lentini gennaio 1966
Nella. – Cara Leda, sono stufa, con sto cavolo di diploma di ragioniere non so che farci. Potessi mettere a frutto il mio corso di figurinismo…! Tirerei su una bella ditta di abiti. Con tutte le sartine, le signore che ricamano e fanno la maglia…in questo paese, altro che Dior!
Leda – E perché non la facciamo? Io conosco tante ditte del Piemonte che ci potrebbero dare una mano.
Nella – mi piacerebbe fare una ditta dove si disegnano e si tagliano i vestiti e poi si portano a lavorare nelle case delle sarte, delle magliaie o delle ricamatrici. Magari gli si comprano le macchine da cucire ed i telai più moderni: sì, ma con quali soldi.
Leda – A quelli non pensare. Se si parte bene poi i finanziatori arrivano.
Nella - Potremmo organizzare una sfilata di modelli disegnati da me. Io so tagliare e cucire, ma a rifinire mi annoio e non mi piace. Io faccio bene solo quello che mi piace.
Leda – potremmo trovare qualche sarta, non troppo esosa.
Nella - Ci sarebbe un’amica mia, si chiama Rosetta.
Leda – Mettiti a disegnare…al resto ci pensiamo.
Nella – Se non so per chi devo disegnare e con quale tessuti…..non ci riesco.
Sai cosa posso fare? Chiamo tutte le mie amiche e se loro mi portano i tessuti e sono disposte a sfilare glieli regaliamo, altrimenti devono pagare la sarta.
Nella, Leda e Rosetta si mettono all’opera: vengono reclutate Franca e Tina Caracciolo, Cetty Massimino, Rosanna Bonafede, Enza Failla, Angela Pizzo, Pinella Consiglio, Annamaria Vertillo e tante altre ragazze.
Il Purrazzeto si trasforma in una sartoria di alta moda dove vengono disegnati, tagliati e confezionati 62 vestiti.
Qualcuno arriva a pensar male vedendo sto anda e rianda di tutte ste belle ragazze:
I vestiti sono quasi pronti……ma dove si fa la sfilata?
Turi Moncada è il mago che risolve i problemi.
La sfilata si farà al Circolo Conte Alajmo, più noto come Circolo dei Nobili.
Nei bei locali, tra gfli specchi dorati c’è anche il pianoforte, e il nostro mago tira fuori dal suo cilindro anche le trecento sedie necessarie oltre a quelle in dotazione al Circolo. INVITO:
Lentini, 21 aprile 1966, ore 18 Circolo Conte Alajmo
Nella presenta le sue creazioni
I soci del Circolo sono lieti di invitare alla sfilata di moda la signora……………
Invito strettamente personale
Al Pianoforte Luisa Balcone
Speaker Salvo Pizzo
Tutta le signore di Lentini sono assiepate nel salone del Circolo.
Le ragazze, pettinate dal parrucchiere Emilio e dal suo aiutante, sfilano, inizialmente impacciate ma poi disinvolte.
Il caloroso pubblico sottolinea con scroscianti applausi di apprezzamento e di incoraggiamento.
Un successone!
Lentini, 10 maggio 1966
Il carissimo signor Cannone, papà di Mariella e Paola, divertitosi moltisso a questa iniziativa mette a disposizione un suo appartamento in fondo a via Regina Margherita.
La signora Balcone cede una macchina da cucire ed un tavolo per il taglio delle stoffe.
Il signor Saro Antico presta la sua ape per i traslochi
Tante altre persone, che oggi non sono più fra noi, si mostrano generosissime ed entusiaste di essere tra i protagonisti di tale iniziativa.
E’ nato il primo atelier di Lentini,
Passato il primo momento di euforia ed arredato l’appartamento, si invitano le lentinesi.
Si sa che i primi passi sono duri…ma la delusione è tanta: le giovani signore di Lentini vengono per farsi disegnare gli abiti ma, quando si chiede di mostrare il tessuto comprato…dai rotoli scartocciati appaiono pezzi di stoffa di vestiti usati e scuciti…………la creatività, l’iniziativa e l’entusiamo delle giovani Nella e Rosetta non era degna manco d’un taglio da “giovedì”!
Lentini, 10 luglio 1966
Tutto viene restituito ai legittimi proprietari.
Rosetta viene assunta per L. 15.000 come segretaria all’autoscuola.
Nella, due mesi dopo, riprende a studiare l’odiata ragioneria e si scrive ad Economia e commercio; verrà assunta da Turi Moncada come geometra.
Fine di questa storia.
Nella (è lei che ha scritto quanto segue)racconta questa storia con pochi, brillanti tratti da artista.
L’abbiamo letta e abbiamo rievocato quei momenti con alcune delle protagoniste citate nel breve racconto la sera del 14 dicembre alla Masseria Militti, nella seconda serata di Ziti, miti e riti.
Lentini gennaio 1966
Nella. – Cara Leda, sono stufa, con sto cavolo di diploma di ragioniere non so che farci. Potessi mettere a frutto il mio corso di figurinismo…! Tirerei su una bella ditta di abiti. Con tutte le sartine, le signore che ricamano e fanno la maglia…in questo paese, altro che Dior!
Leda – E perché non la facciamo? Io conosco tante ditte del Piemonte che ci potrebbero dare una mano.
Nella – mi piacerebbe fare una ditta dove si disegnano e si tagliano i vestiti e poi si portano a lavorare nelle case delle sarte, delle magliaie o delle ricamatrici. Magari gli si comprano le macchine da cucire ed i telai più moderni: sì, ma con quali soldi.
Leda – A quelli non pensare. Se si parte bene poi i finanziatori arrivano.
Nella - Potremmo organizzare una sfilata di modelli disegnati da me. Io so tagliare e cucire, ma a rifinire mi annoio e non mi piace. Io faccio bene solo quello che mi piace.
Leda – potremmo trovare qualche sarta, non troppo esosa.
Nella - Ci sarebbe un’amica mia, si chiama Rosetta.
Leda – Mettiti a disegnare…al resto ci pensiamo.
Nella – Se non so per chi devo disegnare e con quale tessuti…..non ci riesco.
Sai cosa posso fare? Chiamo tutte le mie amiche e se loro mi portano i tessuti e sono disposte a sfilare glieli regaliamo, altrimenti devono pagare la sarta.
Nella, Leda e Rosetta si mettono all’opera: vengono reclutate Franca e Tina Caracciolo, Cetty Massimino, Rosanna Bonafede, Enza Failla, Angela Pizzo, Pinella Consiglio, Annamaria Vertillo e tante altre ragazze.
Il Purrazzeto si trasforma in una sartoria di alta moda dove vengono disegnati, tagliati e confezionati 62 vestiti.
Qualcuno arriva a pensar male vedendo sto anda e rianda di tutte ste belle ragazze:
I vestiti sono quasi pronti……ma dove si fa la sfilata?
Turi Moncada è il mago che risolve i problemi.
La sfilata si farà al Circolo Conte Alajmo, più noto come Circolo dei Nobili.
Nei bei locali, tra gfli specchi dorati c’è anche il pianoforte, e il nostro mago tira fuori dal suo cilindro anche le trecento sedie necessarie oltre a quelle in dotazione al Circolo. INVITO:
Lentini, 21 aprile 1966, ore 18 Circolo Conte Alajmo
Nella presenta le sue creazioni
I soci del Circolo sono lieti di invitare alla sfilata di moda la signora……………
Invito strettamente personale
Al Pianoforte Luisa Balcone
Speaker Salvo Pizzo
Tutta le signore di Lentini sono assiepate nel salone del Circolo.
Le ragazze, pettinate dal parrucchiere Emilio e dal suo aiutante, sfilano, inizialmente impacciate ma poi disinvolte.
Il caloroso pubblico sottolinea con scroscianti applausi di apprezzamento e di incoraggiamento.
Un successone!
Lentini, 10 maggio 1966
Il carissimo signor Cannone, papà di Mariella e Paola, divertitosi moltisso a questa iniziativa mette a disposizione un suo appartamento in fondo a via Regina Margherita.
La signora Balcone cede una macchina da cucire ed un tavolo per il taglio delle stoffe.
Il signor Saro Antico presta la sua ape per i traslochi
Tante altre persone, che oggi non sono più fra noi, si mostrano generosissime ed entusiaste di essere tra i protagonisti di tale iniziativa.
E’ nato il primo atelier di Lentini,
Passato il primo momento di euforia ed arredato l’appartamento, si invitano le lentinesi.
Si sa che i primi passi sono duri…ma la delusione è tanta: le giovani signore di Lentini vengono per farsi disegnare gli abiti ma, quando si chiede di mostrare il tessuto comprato…dai rotoli scartocciati appaiono pezzi di stoffa di vestiti usati e scuciti…………la creatività, l’iniziativa e l’entusiamo delle giovani Nella e Rosetta non era degna manco d’un taglio da “giovedì”!
Lentini, 10 luglio 1966
Tutto viene restituito ai legittimi proprietari.
Rosetta viene assunta per L. 15.000 come segretaria all’autoscuola.
Nella, due mesi dopo, riprende a studiare l’odiata ragioneria e si scrive ad Economia e commercio; verrà assunta da Turi Moncada come geometra.
Fine di questa storia.
mercoledì 10 dicembre 2008
La seconda puntata di Ziti, miti e riti
Domenica prossima seconda puntata di Ziti, miti e riti.
Questa sarà ancora più intensa, ricca e ritmata della prima. Parleremo di una sfilata di moda tenuta a Lentini nel 1966 con modelli disegnati dalla lentinese nella Pizzo, cuciti dalla lentinese Rosetta Avola, indossati da bellissime ragazze lentinesi. Alcune di loro saranno con noi a raccontarci tutto e sarà possibile vedere i disegni degli abiti.
Poi si passerà a parlare di alcune famiglie di venute da fuori per via del commercio delle arance e che ebbero un ruolo significativo anche nell’evoluzione del costume, nell’imprenditoria, nelle attività sportive e culturali: gli Zerega, i Tesei, i Gangemi, ecc. (saranno tutti presenti).
Si ricorderà un’esperienza culturale di grande spessore, Il Ponte, che vide tra i suoi animatori i più vivaci intellettuali del tempo, come il giudice Paglialunga, lo scrittore Addamo, il cardiologo Nuccio Sgalambro, ecc.
Come nella prima puntata parteciperanno Aldo Failla, Gianni Anzalone e il duo Bruno e Luisa. In chiusura, il nostro caro anfitrione Sergio Militti ci aiuterà ad alleviare la tipica, incontenibile tristezza da fine serata con dolcetti e liquorini consolatori.
Questa sarà ancora più intensa, ricca e ritmata della prima. Parleremo di una sfilata di moda tenuta a Lentini nel 1966 con modelli disegnati dalla lentinese nella Pizzo, cuciti dalla lentinese Rosetta Avola, indossati da bellissime ragazze lentinesi. Alcune di loro saranno con noi a raccontarci tutto e sarà possibile vedere i disegni degli abiti.
Poi si passerà a parlare di alcune famiglie di venute da fuori per via del commercio delle arance e che ebbero un ruolo significativo anche nell’evoluzione del costume, nell’imprenditoria, nelle attività sportive e culturali: gli Zerega, i Tesei, i Gangemi, ecc. (saranno tutti presenti).
Si ricorderà un’esperienza culturale di grande spessore, Il Ponte, che vide tra i suoi animatori i più vivaci intellettuali del tempo, come il giudice Paglialunga, lo scrittore Addamo, il cardiologo Nuccio Sgalambro, ecc.
Come nella prima puntata parteciperanno Aldo Failla, Gianni Anzalone e il duo Bruno e Luisa. In chiusura, il nostro caro anfitrione Sergio Militti ci aiuterà ad alleviare la tipica, incontenibile tristezza da fine serata con dolcetti e liquorini consolatori.
martedì 9 dicembre 2008
Il Carmes, il Mokambo, i "fusti"
Forse non toccherebbe a me dirlo, ma la prima serata di Ziti, riti e miti è stata proprio bella. Lo scriverei in ogni caso perché questo è il mio blog e sono certo di dire la verità, ma vi garantisco che sono ampiamente confortato, in questo giudizio, da tutti quelli che erano presenti e dagli amici che ci hanno ascoltato per radio e abbiamo potuto contattare.
Riconosco che era fin troppo facile suscitare sorrisi e consensi avendo procurato l’incontro tra vecchie conoscenze che in alcuni casi si erano perse anche di vista e che non c’è niente di più gradevole che ricordare i bei tempi della gioventù. Se aggiungiamo che l’ospitalità di Sergio Militti è stata magnifica (anche i dolcetti e i liquori ci ha offerto alla fine), pensiamo che non c’era bisogno di molto per rendere bellissima la serata. E però qualcosa di più c’è stata: la presenza di una decina di giovani nati ben dopo gli anni ’60 ed il loro giudizio, non dissimile dal mio; le capacità narrative di Aldo Failla e Ciro Messina e quelle affabulatorie di Gianni Anzalone; gli interventi musicali di Bruno Gullotta e Luisa Zarbano. Insomma, alla fine possiamo ben dire che è stato creato un momento di bellezza, una piccola opera d’arte immateriale e fuggevole. E di questo siamo contenti. Ma resta netta una sensazione: che le cose ricordate sull’Upim, sul Carmes, su Lorelan, sui “fusti” (ah, c’era pure Cesare Pisano), sulle balli degli anni verdi e sui Giampuliroti a Lentini, su Graziella Vistrè e gli scontri del’66, sugli anni lentinesi di Giovanni Falcone, sul giudice Paglialunga alla fine abbiano lasciato anche qualche spunto di riflessione sulle relazioni tra quei tumultuosi anni ’60 e l’attualità. Infinity Media, produttrice del video “Graziella fumava le alfa” ha regalato una copia del DVD ad ognuno dei presenti.
Nella prossima serata, domenica prossima, stesso luogo (masseria Militti, via F,lli Bandiera, 18) e stessa ora, parleremo della Famiglia Zerega (ed anche dei Tesei e dei Gangemi), del Circolo Culturale “Il ponte” (e, quindi, del giudice Paglialunga e dello scrittore Addamo), della FUCI e di una sfilata memorabile sfilata di moda tutta lentinese (Nella Pizzo). Come domenica scorsa l’incontro potrà essere seguito anche per radio grazie a Radio ElleUno (99,2 mf)
Riconosco che era fin troppo facile suscitare sorrisi e consensi avendo procurato l’incontro tra vecchie conoscenze che in alcuni casi si erano perse anche di vista e che non c’è niente di più gradevole che ricordare i bei tempi della gioventù. Se aggiungiamo che l’ospitalità di Sergio Militti è stata magnifica (anche i dolcetti e i liquori ci ha offerto alla fine), pensiamo che non c’era bisogno di molto per rendere bellissima la serata. E però qualcosa di più c’è stata: la presenza di una decina di giovani nati ben dopo gli anni ’60 ed il loro giudizio, non dissimile dal mio; le capacità narrative di Aldo Failla e Ciro Messina e quelle affabulatorie di Gianni Anzalone; gli interventi musicali di Bruno Gullotta e Luisa Zarbano. Insomma, alla fine possiamo ben dire che è stato creato un momento di bellezza, una piccola opera d’arte immateriale e fuggevole. E di questo siamo contenti. Ma resta netta una sensazione: che le cose ricordate sull’Upim, sul Carmes, su Lorelan, sui “fusti” (ah, c’era pure Cesare Pisano), sulle balli degli anni verdi e sui Giampuliroti a Lentini, su Graziella Vistrè e gli scontri del’66, sugli anni lentinesi di Giovanni Falcone, sul giudice Paglialunga alla fine abbiano lasciato anche qualche spunto di riflessione sulle relazioni tra quei tumultuosi anni ’60 e l’attualità. Infinity Media, produttrice del video “Graziella fumava le alfa” ha regalato una copia del DVD ad ognuno dei presenti.
Nella prossima serata, domenica prossima, stesso luogo (masseria Militti, via F,lli Bandiera, 18) e stessa ora, parleremo della Famiglia Zerega (ed anche dei Tesei e dei Gangemi), del Circolo Culturale “Il ponte” (e, quindi, del giudice Paglialunga e dello scrittore Addamo), della FUCI e di una sfilata memorabile sfilata di moda tutta lentinese (Nella Pizzo). Come domenica scorsa l’incontro potrà essere seguito anche per radio grazie a Radio ElleUno (99,2 mf)
domenica 7 dicembre 2008
La festa di Iacopo, il Poeta “da Lentino”
Prima di cominciare, era lecito che qualcuno giudicasse fosse un po’ eccessivo il titolo di “Festa di Iacopo” che si era voluto attribuire alla manifestazione sul nostro grande antenato conclusasi sabato scorso.
Probabilmente adesso, però, tutti coloro che erano presenti nell’Auditorium della “Marconi” saranno pronti a giurare che davvero si è trattata di una festa. Di una gran bella festa.
Innanzitutto per la presenza del brillante, affascinante, preparatissimo professor Antonelli, forse il massimo studioso italiano di Iacopo e della Scuola Poetica Siciliana, autore di innumerevoli pubblicazioni sull’argomento: profondo, stasera relatore acuto e rigoroso, ma esemplarmente chiaro, gradevole, comprensibile a tutti.
Egli ha saputo individuare ed indicare al foltissimo pubblico tutte le tracce di “lentinesità” appositamente lasciate dal Notaro nella sua produzione poetica; ha illustrato come il sonetto, di cui Iacopo fu l’inventore, sia a tutt’oggi la forma poetica cui nel mondo si fa più ricorso; ha ricordato quanto la lingua e la letteratura italiana debbono al nostro poeta.
Ma a fare diventare festa quella che poteva essere una semplice, seppur importante, conferenza, è stata anche un gruppo di studenti dei due licei che, sotto la guida di Gianni Anzalone, hanno dato vita ad una performance di voce, parola e poesia di grandissimo valore artistico, geniale invenzione di Gianni. E, con loro, il liutaio e musicista Giuseppe Severini che, accompagnandosi con strumenti musicali da lui stesso costruiti, ha suonato e cantato diversi brani musicali d’epoca medievale e letto poesie di Iacopo.
La festa si è conclusa con la premiazione dei vincitori del concorso “Iacopo da Lentini, Notaio”, indetto dalla Fondazione Pisano, a cui avevano partecipato ben 57 studenti del comprensorio. Sono stati premiati i giovani Giulia Corsino, (primo premio), Denise Miceli, Francesco Catania, Martina Ruma, Valeria Saggio, Leandro lasciato, Eugenia Munzone, Diletta Guglielmino.
La manifestazione è stata promossa dalla Fondazione Pisano, dall’Associazione Giacomo da Lentini, dal Liceo Classico Gorgia, e dal Liceo Scientifico Vittoriani, con la collaborazione degli I Istituti comprensivi, I, II e IV (Vittorio Veneto, Notaro Iacopo e Marconi) e dell’Istituto alberghiero Moncada.
Se la Festa di Iacopo ha avuto questi grandi risultati, gran parte del merito è da attribuirsi al presidente della Fondazione Pisano, professor Filippo Motta, efficientissimo coordinatore e impeccabile “padrone di casa”.
Probabilmente adesso, però, tutti coloro che erano presenti nell’Auditorium della “Marconi” saranno pronti a giurare che davvero si è trattata di una festa. Di una gran bella festa.
Innanzitutto per la presenza del brillante, affascinante, preparatissimo professor Antonelli, forse il massimo studioso italiano di Iacopo e della Scuola Poetica Siciliana, autore di innumerevoli pubblicazioni sull’argomento: profondo, stasera relatore acuto e rigoroso, ma esemplarmente chiaro, gradevole, comprensibile a tutti.
Egli ha saputo individuare ed indicare al foltissimo pubblico tutte le tracce di “lentinesità” appositamente lasciate dal Notaro nella sua produzione poetica; ha illustrato come il sonetto, di cui Iacopo fu l’inventore, sia a tutt’oggi la forma poetica cui nel mondo si fa più ricorso; ha ricordato quanto la lingua e la letteratura italiana debbono al nostro poeta.
Ma a fare diventare festa quella che poteva essere una semplice, seppur importante, conferenza, è stata anche un gruppo di studenti dei due licei che, sotto la guida di Gianni Anzalone, hanno dato vita ad una performance di voce, parola e poesia di grandissimo valore artistico, geniale invenzione di Gianni. E, con loro, il liutaio e musicista Giuseppe Severini che, accompagnandosi con strumenti musicali da lui stesso costruiti, ha suonato e cantato diversi brani musicali d’epoca medievale e letto poesie di Iacopo.
La festa si è conclusa con la premiazione dei vincitori del concorso “Iacopo da Lentini, Notaio”, indetto dalla Fondazione Pisano, a cui avevano partecipato ben 57 studenti del comprensorio. Sono stati premiati i giovani Giulia Corsino, (primo premio), Denise Miceli, Francesco Catania, Martina Ruma, Valeria Saggio, Leandro lasciato, Eugenia Munzone, Diletta Guglielmino.
La manifestazione è stata promossa dalla Fondazione Pisano, dall’Associazione Giacomo da Lentini, dal Liceo Classico Gorgia, e dal Liceo Scientifico Vittoriani, con la collaborazione degli I Istituti comprensivi, I, II e IV (Vittorio Veneto, Notaro Iacopo e Marconi) e dell’Istituto alberghiero Moncada.
Se la Festa di Iacopo ha avuto questi grandi risultati, gran parte del merito è da attribuirsi al presidente della Fondazione Pisano, professor Filippo Motta, efficientissimo coordinatore e impeccabile “padrone di casa”.
lunedì 1 dicembre 2008
IACOPO E LA SUA CITTA’
Finalmente anche il Notaro Iacopo ha una festa nella sua città. La prima edizione si terrà dal 4 al 6 dicembre per iniziativa della Fondazione Pisano, di un’Associazione sorta proprio per questo, , del Liceo classico “Gorgia” e del Liceo scientifico “Vittorini”.
Inizierà con un concorso tra studenti (48 adesioni) per una ricerca sul poeta inventore del sonetto, per i cui vincitori sono previsti premi in denaro e attestazioni di merito. Si concluderà nel pomeriggio di sabato 6 nell’ Auditorium dell’istituto Comprensivo “Bottiglieri” di via Federico di Svevia, dove, alle ore 17, il professor Roberto Antonelli terrà una conferenza dal titolo “Giacomo e Lentini”.
Il prof. Antonelli è Preside della Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, direttore della rivista “Critica del Testo”, membro del Comitato editoriale del Dipartimento di Studi romanzi, vincitore del premio «Honoré Chavée» dell’Institut de France, socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei e tanto altro ancora. Recentemente ha curato un volume sul Poeta, edito da Mondatori, unanimemente considerato un punto di riferimento imprescindibile per lo studio di Iacopo (o Giacomo, nome con cui è altrettanto noto) di cui, nell’estate scorsa, scrisse un entusiastico articolo sul quotidiano “La Repubblica” nientemeno che Andrea Camilleri. A dimostrazione dell’attualità della poesia del Notaro, il padre di Montalbano in quell’occasione si dilungò molto sui versi del nostro Poeta e sul suo tema privilegiato, quello dell’amore. Come fu scritto anche in questo stesso giornale, quell’articolo si rivelò anche un inaspettato spot per la nostra città, il cui nome, per un giorno, campeggiò sulla prima pagina del secondo giornale più letto d’Italia.
Lentini, attraverso una prestigiosissima Fondazione, i suoi Licei e un’associazione culturale sta cercando di dimostrarsi all’altezza di quella “chiamata”.
L’iniziativa, dunque, va ben oltre gli amplissimi confini di una grande manifestazione culturale per assumere anche i connotati di efficace iniziativa di promozione della città. Purtroppo, proprio sotto questo profilo forse apparirà un po’ debole e potrebbe non portare tutti i risultati sperabili, essendo venuta a mancare all’ultimo momento l’adesione, già data per certa, del Comune. Ma in questo periodo di beghe politiche sempre più distanti dalla comprensione e dagli interessi della città, di contrapposizioni e dispetti, di scontri e ricerca di rivincite, c’è forse un solo impegno assunto a Palazzo Scammacca che possa considerarsi certo?
Inizierà con un concorso tra studenti (48 adesioni) per una ricerca sul poeta inventore del sonetto, per i cui vincitori sono previsti premi in denaro e attestazioni di merito. Si concluderà nel pomeriggio di sabato 6 nell’ Auditorium dell’istituto Comprensivo “Bottiglieri” di via Federico di Svevia, dove, alle ore 17, il professor Roberto Antonelli terrà una conferenza dal titolo “Giacomo e Lentini”.
Il prof. Antonelli è Preside della Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, direttore della rivista “Critica del Testo”, membro del Comitato editoriale del Dipartimento di Studi romanzi, vincitore del premio «Honoré Chavée» dell’Institut de France, socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei e tanto altro ancora. Recentemente ha curato un volume sul Poeta, edito da Mondatori, unanimemente considerato un punto di riferimento imprescindibile per lo studio di Iacopo (o Giacomo, nome con cui è altrettanto noto) di cui, nell’estate scorsa, scrisse un entusiastico articolo sul quotidiano “La Repubblica” nientemeno che Andrea Camilleri. A dimostrazione dell’attualità della poesia del Notaro, il padre di Montalbano in quell’occasione si dilungò molto sui versi del nostro Poeta e sul suo tema privilegiato, quello dell’amore. Come fu scritto anche in questo stesso giornale, quell’articolo si rivelò anche un inaspettato spot per la nostra città, il cui nome, per un giorno, campeggiò sulla prima pagina del secondo giornale più letto d’Italia.
Lentini, attraverso una prestigiosissima Fondazione, i suoi Licei e un’associazione culturale sta cercando di dimostrarsi all’altezza di quella “chiamata”.
L’iniziativa, dunque, va ben oltre gli amplissimi confini di una grande manifestazione culturale per assumere anche i connotati di efficace iniziativa di promozione della città. Purtroppo, proprio sotto questo profilo forse apparirà un po’ debole e potrebbe non portare tutti i risultati sperabili, essendo venuta a mancare all’ultimo momento l’adesione, già data per certa, del Comune. Ma in questo periodo di beghe politiche sempre più distanti dalla comprensione e dagli interessi della città, di contrapposizioni e dispetti, di scontri e ricerca di rivincite, c’è forse un solo impegno assunto a Palazzo Scammacca che possa considerarsi certo?
sabato 22 novembre 2008
Ziti, miti e riti
Quattro serate domenicali (tutte quelle di dicembre) per parlare, ricordare, rievocare e riconsiderare come i ragazzi e i giovani di allora vissero gli anni ’60 a Lentini.
Molta nostalgia, certo, forse anche qualche lacrimuccia, ma varrà la pena raccontare la “prima volta” in un periodo in cui le ragazze non avevano certo la libertà di oggi, o i primi balli (quelli in casa e quelli, mitici, degli “anni verdi”). E probabilmente oggi vedremo con occhi diversi e capiremo qualcosa di più di quegli anni di euforia e di grandi trasformazioni (la televisione in tutte le case, le scuole “alte” aperte quasi a tutti, il Mokambo, il Carmes, l’Upim, l’arrivo di alcuni “forestieri eccellenti, come gli Zerega, i Tesei, i Giuffrè). Tempi di estenuanti passeggiate in via Garibaldi, di “ziti cull’occhi”, di scherzi memorabili e ragazze irraggiungibili; tempi di FUCI, di Liberi Calciatori e Stella Rossa, di Bortoletti, Augusto Ferrante, Gianni Viola, dei grandi, inviditissimi, “vitaioli”, delle splendide “irraggiungibili”, del leggendario gay che sfidava il mondo con le sue mise e la strepitosa “nnacata”, di Cesare Pisano, il “fusto” per antonomasia.
Si parlerà di questo, di tant’altro che qui è impossibile citare e di tutto quell’altro che mi vorrete suggerire e ricordare, voi che mi leggete.
Essì, perchè sarò io a condurre questo amarcord lentinese, questo spettacolo della voce e della memoria. Ma non sarò mai solo. Ci saranno, ad ogni “puntata” i protagonisti e i testimoni di vicende, storie, situazioni di cui si parlerà. E non solo. Ci saranno anche, ospiti fissi, Bruno Gullotta e Luisa Zarbano, che ci riproporranno quelle canzoni dell’epoca legate ai nostri balli, alle gite, alle furtive “abbozzate”.
Tutte le domeniche di dicembre, dunque, cioè il 7, il 14, il 21 e il 28, in un luogo bellissimo, il B&B “Masseria Militti”, di via Fratelli Bandiera, 18. E Sergio Militti, maestro di ospitalità, non ci lascerà di certo a becco asciutto.
C’è un solo piccolo problema: il locale non si presta ad ospitare folle oceaniche, ma, al massimo 30-35 persone. Questo vuol dire che chi avrà piacere di partecipare dovrà prenotarsi per tempo ed essere puntualissimo alle 17.
Gli incontri saranno trasmessi in diretta e archiviati per chi vorrà sentirli in differita, su Radio Elleuno Lentini (99,2 fm) e sui siti internet:
http://guglielmotocco-cosemie.blogspot.com,
http://www.radioelleuno.it,
http://lentini.forumfree.net
In questi siti potranno effettuarsi le prenotazioni ed essere inviati anche i commenti, i suggerimenti, le indicazioni, le foto, i documenti che si desidera vengano condivisi.
Alla fine ne faremo un libro da conservare, regalare, far circolare, giusto per, con estrema modestia, immortalare tutto
Molta nostalgia, certo, forse anche qualche lacrimuccia, ma varrà la pena raccontare la “prima volta” in un periodo in cui le ragazze non avevano certo la libertà di oggi, o i primi balli (quelli in casa e quelli, mitici, degli “anni verdi”). E probabilmente oggi vedremo con occhi diversi e capiremo qualcosa di più di quegli anni di euforia e di grandi trasformazioni (la televisione in tutte le case, le scuole “alte” aperte quasi a tutti, il Mokambo, il Carmes, l’Upim, l’arrivo di alcuni “forestieri eccellenti, come gli Zerega, i Tesei, i Giuffrè). Tempi di estenuanti passeggiate in via Garibaldi, di “ziti cull’occhi”, di scherzi memorabili e ragazze irraggiungibili; tempi di FUCI, di Liberi Calciatori e Stella Rossa, di Bortoletti, Augusto Ferrante, Gianni Viola, dei grandi, inviditissimi, “vitaioli”, delle splendide “irraggiungibili”, del leggendario gay che sfidava il mondo con le sue mise e la strepitosa “nnacata”, di Cesare Pisano, il “fusto” per antonomasia.
Si parlerà di questo, di tant’altro che qui è impossibile citare e di tutto quell’altro che mi vorrete suggerire e ricordare, voi che mi leggete.
Essì, perchè sarò io a condurre questo amarcord lentinese, questo spettacolo della voce e della memoria. Ma non sarò mai solo. Ci saranno, ad ogni “puntata” i protagonisti e i testimoni di vicende, storie, situazioni di cui si parlerà. E non solo. Ci saranno anche, ospiti fissi, Bruno Gullotta e Luisa Zarbano, che ci riproporranno quelle canzoni dell’epoca legate ai nostri balli, alle gite, alle furtive “abbozzate”.
Tutte le domeniche di dicembre, dunque, cioè il 7, il 14, il 21 e il 28, in un luogo bellissimo, il B&B “Masseria Militti”, di via Fratelli Bandiera, 18. E Sergio Militti, maestro di ospitalità, non ci lascerà di certo a becco asciutto.
C’è un solo piccolo problema: il locale non si presta ad ospitare folle oceaniche, ma, al massimo 30-35 persone. Questo vuol dire che chi avrà piacere di partecipare dovrà prenotarsi per tempo ed essere puntualissimo alle 17.
Gli incontri saranno trasmessi in diretta e archiviati per chi vorrà sentirli in differita, su Radio Elleuno Lentini (99,2 fm) e sui siti internet:
http://guglielmotocco-cosemie.blogspot.com,
http://www.radioelleuno.it,
http://lentini.forumfree.net
In questi siti potranno effettuarsi le prenotazioni ed essere inviati anche i commenti, i suggerimenti, le indicazioni, le foto, i documenti che si desidera vengano condivisi.
Alla fine ne faremo un libro da conservare, regalare, far circolare, giusto per, con estrema modestia, immortalare tutto
venerdì 21 novembre 2008
Viva Villa(ri)
I messicani avevano Pancho Villa e tuttora ne vanno fieri, noi dobbiamo accontentarci del mastelliano Villari. Non avrei mai immaginato, però, che un giorno questo senatore, mastelliano anche nelle fattezze, mi sarebbe diventato simpatico. Eppure è accaduto. Oggi mi appare come un fenomeno nuovo che può portare a grandi cambiamenti nelle regole che tengono insieme la corporazione dei politici italiani. Villari è un senatore elevato inopinatamente a tale carica direttamente dal PD. Un bel giorno il partito antagonista del PD, quel PdL oggi al governo, lo sceglie come suo controllore gradito in una delle articolazioni del potere di chi governa (la RAI). A lui, uomo semplice e concreto, non interessa molto chi lo nomina e a che cosa, gli interessa solo essere nominato. PdL o PD per lui non cambia molto (a Lentini si diceva una volta "cu ti runa pani ghiamulu pattri" (chiama padre chi ti dà da mangiare). Nonostante nell’accettazione della carica di Presidente della Vigilanza RAI c’entra molto l’etica e la cultura del Villari, Di Pietro non sbaglia nel dire che Berlusconi in questo caso è stato un corruttore: il Cavaliere lo ha nominato (l’elezione alla Camera è una pantomima) non perché non ne avesse altri a disposizione ma solo per mettere in difficoltà (riuscendoci magnificamente) l’opposizione e il PD (il padre-partito che a Villari aveva dato "pane" pochi mesi fa). Tutto era chiaro, già visto mille volte in Italia, all’estero, in ogni comune, osceno e banale. Un semplice caso di corruzione, tradimento, cambio di casacca per interesse, ecc. ecc. In una parola, un caso rassicurante, perché fenomeno noto, variabile sempre messa in conto. All’improvviso, però accade il fatto nuovo: il senatore-oggetto che si era venduto per il classico piatto di lenticchie si ribella al suo compratore. Ma, attenzione, non è questo che mi manda in sollucchero. Se la storia finisse qui il Villari avrebbe parzialmente ricucito una grave ferita inferta da se medesimo alla sua propria dignità. E questo rimarrebbe un fatto suo personale difficilmente in grado di emozionare altri al di fuori di se stesso e della sua famiglia. La mia simpatia nei suoi confronti sgorga perché egli, involontariamente, è diventato il granello di sabbia che fa inceppare il sofisticato meccanismo di autodifesa della corporazione dei politici italiani. Con il suo doppio tradimento ha dimostrato la fallibilità delle segreterie dei partiti nello scegliere "loro" i nostri rappresentanti, e la fallibilità del corruttore nello scegliere il domestico. Questa finestra aperta improvvisamente e inaspettatamente dal caso Villari ha permesso a tutti di vedere quanto povera e priva di gusto sia la mobilia del Palazzo. E questo assomiglia molto a quel racconto di Gianni Rodari dal titolo “Gli abiti nuovi dell’imperatore”. Chissà cosa accadrebbe se da Campione d’Italia a Marzamemi si levasse finalmente una grande, rumorosa, maleducata risata in faccia a questa cinquantina di individui che ogni giorno ci rubano un po' di democrazia. Potrebbe finalmente verificarsi il miracolo dello sghignazzo tanto caro a Dario Fo.
lunedì 3 novembre 2008
Due incontri poetici
Ieri, come molti, sono andato al cimitero. E come molti ho incontrato decine di amici, parenti, conoscenti. Due di questi incontri mi hanno colpito particolarmente.
Il primo fu con un’anziana signora, sorella di un mio indimenticabile amico morto alcuni anni fa. A lei, poco tempo dopo il fratello, è venuto a mancare anche un figlio piuttosto giovane. Cercava la tomba di un bambino suo compagno di giochi nella fanciullezza. Ed era sinceramente dispiaciuta di non potere portare un fiore, come ogni anno, a quel suo amichetto. Poi la vide da lontano e vi si diresse quasi di corsa, salutandomi di fetta. Finalmente si era rasserenata.
Il secondo, con un personaggio molto noto a Lentini: Elio Cardillo (per qualcuno che non lo conosce, egli è poeta, attore, archeologo dilettante, animatore di mille iniziative che hanno a che fare con le tradizioni lentinesi). Appena finito di salutarci mi mi disse che era appena stato a portare un fiore a donna Rita Cattano. Capì subito che non sapevo chi fosse e si premurò a parlarmene. Era una ostetrica (allora, quando si partoriva in casa con il solo loro aiuto, le ostetriche si chiamavano “levatrici” e “mammane”). Era morta nel 1931. Elio è nato molti anni dopo, ma, dice lui, “chissà quanti lentinesi ha fatto nascere e non è giusto che la sua tomba sembri abbandonata”.
Il primo fu con un’anziana signora, sorella di un mio indimenticabile amico morto alcuni anni fa. A lei, poco tempo dopo il fratello, è venuto a mancare anche un figlio piuttosto giovane. Cercava la tomba di un bambino suo compagno di giochi nella fanciullezza. Ed era sinceramente dispiaciuta di non potere portare un fiore, come ogni anno, a quel suo amichetto. Poi la vide da lontano e vi si diresse quasi di corsa, salutandomi di fetta. Finalmente si era rasserenata.
Il secondo, con un personaggio molto noto a Lentini: Elio Cardillo (per qualcuno che non lo conosce, egli è poeta, attore, archeologo dilettante, animatore di mille iniziative che hanno a che fare con le tradizioni lentinesi). Appena finito di salutarci mi mi disse che era appena stato a portare un fiore a donna Rita Cattano. Capì subito che non sapevo chi fosse e si premurò a parlarmene. Era una ostetrica (allora, quando si partoriva in casa con il solo loro aiuto, le ostetriche si chiamavano “levatrici” e “mammane”). Era morta nel 1931. Elio è nato molti anni dopo, ma, dice lui, “chissà quanti lentinesi ha fatto nascere e non è giusto che la sua tomba sembri abbandonata”.
sabato 1 novembre 2008
Un grande insegnante e un magnifico alunno
Grazie a mia figlia ho per le mani un libro di bellezza commovente.
Ha per titolo “Pagine di letteratura greca - Raccolta degli appunti delle lezioni del prof. Carmelo Restifo tratta dai quaderni dei suoi alunni”.
Il professor Restifo era nato nel 1925 ed è morto nel 2005. Aveva insegnato dapprima in una scuola media e poi, dal 1963 al 1993, nel Liceo Classico “Tommaso Campanella” di Reggio Calabria. Subito dopo la sua scomparsa, un suo alunno, Enrico Tromba, si ricordò di avere conservati da qualche parte i quaderni degli appunti che durante i tre anni del Liceo aveva preso durante le lezione del professore. E si ricordò che anche altri suoi ex compagni, incantati dalle sue lezioni, dai suoi modi, dalla sua capacità espositiva, amavano appuntare le lezioni del professore. Ed erano tanti quelli che avevano conservato quei quaderni come cose preziose. Continuando la ricerca scoprì che non c’era stato anno, a partire dal ’63, in cui almeno un alunno del professore Restifo non avesse conservato gli appunti del professore. E così, felice di avere avuto la conferma di quanto straordinario fosse stato quell’insegnante, pensò che quegli appunti potevano diventare un libro. Per ricordare il professore di greco. Il volumetto è stato pubblicato il giorno del primo anniversario della scomparsa del professore.
Spero di conoscere presto e di abbracciare Enrico, l’alunno che tutti i professori vorrebbero. E spero che lui mi vorrà parlare a lungo di Carmelo Restifo, il professore che vorrebbero tutti gli studenti.
Ha per titolo “Pagine di letteratura greca - Raccolta degli appunti delle lezioni del prof. Carmelo Restifo tratta dai quaderni dei suoi alunni”.
Il professor Restifo era nato nel 1925 ed è morto nel 2005. Aveva insegnato dapprima in una scuola media e poi, dal 1963 al 1993, nel Liceo Classico “Tommaso Campanella” di Reggio Calabria. Subito dopo la sua scomparsa, un suo alunno, Enrico Tromba, si ricordò di avere conservati da qualche parte i quaderni degli appunti che durante i tre anni del Liceo aveva preso durante le lezione del professore. E si ricordò che anche altri suoi ex compagni, incantati dalle sue lezioni, dai suoi modi, dalla sua capacità espositiva, amavano appuntare le lezioni del professore. Ed erano tanti quelli che avevano conservato quei quaderni come cose preziose. Continuando la ricerca scoprì che non c’era stato anno, a partire dal ’63, in cui almeno un alunno del professore Restifo non avesse conservato gli appunti del professore. E così, felice di avere avuto la conferma di quanto straordinario fosse stato quell’insegnante, pensò che quegli appunti potevano diventare un libro. Per ricordare il professore di greco. Il volumetto è stato pubblicato il giorno del primo anniversario della scomparsa del professore.
Spero di conoscere presto e di abbracciare Enrico, l’alunno che tutti i professori vorrebbero. E spero che lui mi vorrà parlare a lungo di Carmelo Restifo, il professore che vorrebbero tutti gli studenti.
Un altro importante appuntamento con Fino Giuliano
Cari amici,
ho il piacere d'informarvi che martedì 18 novembre alle ore 18.30
presenterò il mio romanzo "Ritorno in Sicilia" all'Istituto culturale della
Repubblica ceca a Roma.
Se siete nella capitale, ci tengo alla vostra presenza
Un caro saluto, Fino
Aggiungo che, salvo imprevisti, Fino sarà a Lentini tra Natale e Capodanno per presentare il suo ultimo libro di poesie. Avrò modo di essere più preciso fra qualche settimana. Guglielmo
ho il piacere d'informarvi che martedì 18 novembre alle ore 18.30
presenterò il mio romanzo "Ritorno in Sicilia" all'Istituto culturale della
Repubblica ceca a Roma.
Se siete nella capitale, ci tengo alla vostra presenza
Un caro saluto, Fino
Aggiungo che, salvo imprevisti, Fino sarà a Lentini tra Natale e Capodanno per presentare il suo ultimo libro di poesie. Avrò modo di essere più preciso fra qualche settimana. Guglielmo
sabato 25 ottobre 2008
Se la poesia diventa spettacolo
I programmi televisivi della domenica pomeriggio sono così seguiti dal pubblico che quando in qualcuna di loro viene proposto qualcosa di originale tutta l’Italia ne viene a conoscenza. Se ne parla in famiglia, nei bar, nelle sale d’attesa dei medici e in quelli degli avvocati. Da qualche tempo, forse alcuni anni, questo tipo di impatto si era fatto più tenue e meno frequente. Segno che gli autori di tali programmi non inventano niente di nuovo o di memorabile. Quest’anno il programma di intrattenimento domenicale condotto da Pippo Baudo sembra abbia fatto il “colpaccio”. Ne ho sentito parlare da persone e in luoghi assai diversi tra loro. Qual è la novità? La poesia. C’è uno spazio dedicato alla poesia. Gli spettatori (tutti, non solo gli allitterati) sono invitati a inviarne una scritta da loro e anche a votare democraticamente (una telefonata - un voto) quella che preferiscono. Addirittura c’è un sostanzioso premio (ben cinquemila euro) per chi vince la gara settimanale. Due considerazioni facili facili. 1) Pippo Baudo e gli autori della trasmissione con uno sforzo economico e organizzativo minimo hanno realizzato un segmento di programma di notevole successo. E questa è genialità. 2) Con la loro trovata hanno fatto “scoprire” la poesia, la bellezza della parola poetica, il piacere delicato e sofisticato di scrivere e, inevitabilmente, la curiosità di leggere la “grande poesia” a milioni e milioni di persone.
“Il venerdì di Repubblica” è un magazine con un numero di lettori infinitamente più piccolo di quello degli spettatori di “Domenica in” ma certamente non trascurabile. Ebbene, nell’ultimo numero, quello di venerdì 24 ottobre, a pagina 105, pubblica un articolo che parla, guarda un po’, di poesia. Informa che una cantautrice siciliana che vive in Germania, Etta Scollo, ha inciso e pubblicato un disco che sta ottenendo un grande successo. Le canzoni che lo compongono sono i testi delle poesie dei poeti arabi siciliani vissuti attorno all’anno mille e musicate dalla stessa Etta ed il suo titolo è dolcissimo e poetico a sua volta: “Il fiore splendente”. Franco Battiato, che è da tutti riconosciuto come uno che di musica e di poesia qualcosa capisce, non solo ha manifestato un grande entusiasmo per la musicista ed il suo disco, ma ha perfino cantato un brano (Corro con te) insieme a lei.
E a questo punto l’accelerazione dei battiti del mio cuore si è fatta preoccupante.
Per due ragioni.
Prima: nel nostro piccolo (ma proprio piccolissimo) la poesia aperta a tutti, offerta a tutti, la poesia come gioco e invenzione, come piacere e divertimento, senza discriminazioni di titoli o di bravura, non la proponiamo da dodici anni con il San Valentino a Lentini? Seconda: ma la poesia medievale (Iacopo da Lentini, San Francesco d’Assisi, Iacopone da Todi, Dante) non l’abbiamo vestita di musica anche a Lentini (nel 2000, assessore alla cultura Renato Marino, tra i lettori il sottoscritto, Tommaso Cimino, Marizio Caffi, Salvo Cultrera e altri ancora)?
Oltre all’evidente e non dissimulabile mia personale vanità (lo confesso), mi hanno spinto a scrivere questo articolo due riflessioni più serie. Una è che scoprire che a Lentini talvolta riusciamo a fare cose un po’ originali e non solo copiato, dovrebbe dare un po’ di fiducia in noi stessi e incoraggiarci a osare qualcosina di più e a compiangerci un po’ di meno. L’altra è quella di riflettere che questa è la città di Iacopo: giocando con intelligenza la carta di Iacopo e della poesia anche Lentini potrebbe ottenere i successi che oggi arridono a Pippo Baudo e a Etta Scollo.
“Il venerdì di Repubblica” è un magazine con un numero di lettori infinitamente più piccolo di quello degli spettatori di “Domenica in” ma certamente non trascurabile. Ebbene, nell’ultimo numero, quello di venerdì 24 ottobre, a pagina 105, pubblica un articolo che parla, guarda un po’, di poesia. Informa che una cantautrice siciliana che vive in Germania, Etta Scollo, ha inciso e pubblicato un disco che sta ottenendo un grande successo. Le canzoni che lo compongono sono i testi delle poesie dei poeti arabi siciliani vissuti attorno all’anno mille e musicate dalla stessa Etta ed il suo titolo è dolcissimo e poetico a sua volta: “Il fiore splendente”. Franco Battiato, che è da tutti riconosciuto come uno che di musica e di poesia qualcosa capisce, non solo ha manifestato un grande entusiasmo per la musicista ed il suo disco, ma ha perfino cantato un brano (Corro con te) insieme a lei.
E a questo punto l’accelerazione dei battiti del mio cuore si è fatta preoccupante.
Per due ragioni.
Prima: nel nostro piccolo (ma proprio piccolissimo) la poesia aperta a tutti, offerta a tutti, la poesia come gioco e invenzione, come piacere e divertimento, senza discriminazioni di titoli o di bravura, non la proponiamo da dodici anni con il San Valentino a Lentini? Seconda: ma la poesia medievale (Iacopo da Lentini, San Francesco d’Assisi, Iacopone da Todi, Dante) non l’abbiamo vestita di musica anche a Lentini (nel 2000, assessore alla cultura Renato Marino, tra i lettori il sottoscritto, Tommaso Cimino, Marizio Caffi, Salvo Cultrera e altri ancora)?
Oltre all’evidente e non dissimulabile mia personale vanità (lo confesso), mi hanno spinto a scrivere questo articolo due riflessioni più serie. Una è che scoprire che a Lentini talvolta riusciamo a fare cose un po’ originali e non solo copiato, dovrebbe dare un po’ di fiducia in noi stessi e incoraggiarci a osare qualcosina di più e a compiangerci un po’ di meno. L’altra è quella di riflettere che questa è la città di Iacopo: giocando con intelligenza la carta di Iacopo e della poesia anche Lentini potrebbe ottenere i successi che oggi arridono a Pippo Baudo e a Etta Scollo.
sabato 18 ottobre 2008
Lettera a perta ad Aldo Failla
Caro Aldo, il tuo articolo sulla cerimonia di intestazione di un’aula del Tribunale di Lentini a Giovanni Falcone ha lasciato l’amaro in bocca. Con dolore, infatti, facevi rilevare la scarsa presenza di politici lentinesi e della provincia.
Forse non tutti hanno colto che ricordando Giovanni Falcone non si ricorda “solo” un eroe che ha immolato la vita consapevolmente per il bene dell’intera società siciliana e italiana, e neanche “solo” il magistrato intelligente e tenace che riuscì a trovare la chiave per aprire la porta ai segreti che rendevano inattaccabile la mafia siciliana. Forse molti credevano che si stesse parlando di avvenimenti ormai passati e noti a tutti e, dunque, di una semplice cerimonia commemorativa. Sarebbe bastato appena uno dei motivi che ho citato per sollecitare una partecipazione più massiccia del ceto politico. Tuttavia proprio in questi giorni si avverte più acuto il bisogno parlare e fare parlare di mafia, dei Falcone, dei Borsellino, dei Livatino, degli Impastato. Sono questi i giorni della strage degli immigrati da parte dei Casalesi e delle reiterate minacce di morte per Saviano; sono i giorni in cui due ministri dibattono se questa guerra debba chiamarsi “di mafia” o “civile”, concordando, però, sul fatto che di guerra si tratta. E che si combatte con le armi. All’interno del nostro Paese.
In giorni come questi ogni occasione dovrebbe essere utilizzata per parlare, ricordare, imparare qualcosa di più. Sono giorni in cui i politici, le personalità, gli uomini impegnati che su questo versante hanno sempre fatto il proprio dovere dovrebbero inventarsi qualcos’altro da fare. E quelli che il proprio dovere non l’hanno fatto dovrebbero recuperare il tempo perduto, pagare il debito. Lentini, l’intera città e il suo ceto politico l’hanno fatto il proprio dovere? Io credo di no. Oggi, sedici anni dopo la morte, tu e il Kiwanis avete sollecitato l’intestazione dell’Aula a Giovanni Falcone; un mese dopo l’attentato Luigi Boggio e la CGIL al termine di una manifestazione con poche decine di persone piantarono un simbolico carrubo alla villa Gorgia. Iniziative, dibattiti, assemblee, discussioni ne sono stati fatti tanti, anche di alto livello e anche con personalità di prestigio (con Armando Rossitto, don Ciotti, Rita Borsellino, ecc.) Ma gli unici segni leggibili da chiunque e in qualunque momento sono rimasti l’Aula e il carrubo. E basta.
Lentini è una delle pochissime città siciliane (forse il 10%) che non ha una via intestata ad una vittima della mafia, ad un eroe della resistenza antimafiosa. Sarebbe ora di recuperare il tempo perduto ed intestare qualche via e qualche piazza a Falcone, Borsellino, Chinnici, Livatino, ed anche a Peppino Impastato e Libero Grassi, Giuseppe Fava.
Sull’importanza della nomastica penso non ci sia bisogno di spendere molte parole. Basta, forse, ricordare il livello dello scontro sul nome dell’aeroporto di Comiso.
Tu, Luigi Boggio e Armando Rossitto avete i titoli e l’autorità morale per avviare una forte iniziativa in tale direzione. Ed essendo Armando vice sindaco, qualche risultato si potrebbe raggiungere.
Forse non tutti hanno colto che ricordando Giovanni Falcone non si ricorda “solo” un eroe che ha immolato la vita consapevolmente per il bene dell’intera società siciliana e italiana, e neanche “solo” il magistrato intelligente e tenace che riuscì a trovare la chiave per aprire la porta ai segreti che rendevano inattaccabile la mafia siciliana. Forse molti credevano che si stesse parlando di avvenimenti ormai passati e noti a tutti e, dunque, di una semplice cerimonia commemorativa. Sarebbe bastato appena uno dei motivi che ho citato per sollecitare una partecipazione più massiccia del ceto politico. Tuttavia proprio in questi giorni si avverte più acuto il bisogno parlare e fare parlare di mafia, dei Falcone, dei Borsellino, dei Livatino, degli Impastato. Sono questi i giorni della strage degli immigrati da parte dei Casalesi e delle reiterate minacce di morte per Saviano; sono i giorni in cui due ministri dibattono se questa guerra debba chiamarsi “di mafia” o “civile”, concordando, però, sul fatto che di guerra si tratta. E che si combatte con le armi. All’interno del nostro Paese.
In giorni come questi ogni occasione dovrebbe essere utilizzata per parlare, ricordare, imparare qualcosa di più. Sono giorni in cui i politici, le personalità, gli uomini impegnati che su questo versante hanno sempre fatto il proprio dovere dovrebbero inventarsi qualcos’altro da fare. E quelli che il proprio dovere non l’hanno fatto dovrebbero recuperare il tempo perduto, pagare il debito. Lentini, l’intera città e il suo ceto politico l’hanno fatto il proprio dovere? Io credo di no. Oggi, sedici anni dopo la morte, tu e il Kiwanis avete sollecitato l’intestazione dell’Aula a Giovanni Falcone; un mese dopo l’attentato Luigi Boggio e la CGIL al termine di una manifestazione con poche decine di persone piantarono un simbolico carrubo alla villa Gorgia. Iniziative, dibattiti, assemblee, discussioni ne sono stati fatti tanti, anche di alto livello e anche con personalità di prestigio (con Armando Rossitto, don Ciotti, Rita Borsellino, ecc.) Ma gli unici segni leggibili da chiunque e in qualunque momento sono rimasti l’Aula e il carrubo. E basta.
Lentini è una delle pochissime città siciliane (forse il 10%) che non ha una via intestata ad una vittima della mafia, ad un eroe della resistenza antimafiosa. Sarebbe ora di recuperare il tempo perduto ed intestare qualche via e qualche piazza a Falcone, Borsellino, Chinnici, Livatino, ed anche a Peppino Impastato e Libero Grassi, Giuseppe Fava.
Sull’importanza della nomastica penso non ci sia bisogno di spendere molte parole. Basta, forse, ricordare il livello dello scontro sul nome dell’aeroporto di Comiso.
Tu, Luigi Boggio e Armando Rossitto avete i titoli e l’autorità morale per avviare una forte iniziativa in tale direzione. Ed essendo Armando vice sindaco, qualche risultato si potrebbe raggiungere.
venerdì 10 ottobre 2008
Un grande lavoratore
C’è a Lentini una carta di lutto che comunica alla cittadinanza la scoparsa di tl Filadeflo Insolia, di anni 64. Non so chi sia, ma è possibile che lo conosca. Sarebbe facile indagare e ho in programma di farlo. Ma ora mi piace dire qualcosa di lui proprio in quanto sconosciuto.
Nella carta di lutto, proprio sotto il nome, i suoi familiari hanno fatto scrivere, in neretto e maiuscolo: GRANDE LAVORATORE.
Trovo la cosa di bellezza commovente. I familiari del defunto hanno ritenuto di assegnare al loro caro un titolo. E questo titolo è “grande lavoratore”.
Sicuramente egli in vita sarà stato un vero, grande, serio, affidabile lavoratore. Per fortuna ce ne sono stati, ce ne sono al mondo e ce ne saranno ancora tanti altri e tuttavia, anche se egli è in copiosa compagnia il suo titolo di “grande lavoratore” non perde niente. Ma c’è qualcosa di straordinariamente raro e importante: il fatto che i suoi familiari (forse su richiesta dello stesso Insolia) abbiano deciso di dichiararlo con tutta la solennità insita in un manifesto che ne annuncia la morte, nell’ultimo e più importante annuncio che lo riguarda, quasi a volere rendere sacra e definitiva quella dichiarazione. Una dichiarazione che attiene al rapporto di quell’uomo con il lavoro, evidentemente visto e affrontato come impegno dalle implicazioni sociali, visto che è alla società che viene resa la dichiarazione. Come dire: Filadelfo Insolia ha lavorato consapevole che il lavoro di ognuno di noi non serve solo a noi stessi. E ha lavorato con grande impegno, serietà e bravura anche per tutti voi che leggete.
Questa idea del lavoro mi sembra vera e straordinariamente bella e sono sicuro che Filadelfo Insolia nella sua vita è stato davvero un grande lavoratore. Porterò un fiore sulla sua tomba e ringrazio la sua famiglia per questa splendida lezione.
Nella carta di lutto, proprio sotto il nome, i suoi familiari hanno fatto scrivere, in neretto e maiuscolo: GRANDE LAVORATORE.
Trovo la cosa di bellezza commovente. I familiari del defunto hanno ritenuto di assegnare al loro caro un titolo. E questo titolo è “grande lavoratore”.
Sicuramente egli in vita sarà stato un vero, grande, serio, affidabile lavoratore. Per fortuna ce ne sono stati, ce ne sono al mondo e ce ne saranno ancora tanti altri e tuttavia, anche se egli è in copiosa compagnia il suo titolo di “grande lavoratore” non perde niente. Ma c’è qualcosa di straordinariamente raro e importante: il fatto che i suoi familiari (forse su richiesta dello stesso Insolia) abbiano deciso di dichiararlo con tutta la solennità insita in un manifesto che ne annuncia la morte, nell’ultimo e più importante annuncio che lo riguarda, quasi a volere rendere sacra e definitiva quella dichiarazione. Una dichiarazione che attiene al rapporto di quell’uomo con il lavoro, evidentemente visto e affrontato come impegno dalle implicazioni sociali, visto che è alla società che viene resa la dichiarazione. Come dire: Filadelfo Insolia ha lavorato consapevole che il lavoro di ognuno di noi non serve solo a noi stessi. E ha lavorato con grande impegno, serietà e bravura anche per tutti voi che leggete.
Questa idea del lavoro mi sembra vera e straordinariamente bella e sono sicuro che Filadelfo Insolia nella sua vita è stato davvero un grande lavoratore. Porterò un fiore sulla sua tomba e ringrazio la sua famiglia per questa splendida lezione.
domenica 28 settembre 2008
Grazie, Luigi Lo Re, e buona vita
Da qualche giorno in via Garibaldi c’è un negozio in meno. Lo studio fotografico di Luigi Lo Re. Per molti è successo “solo” questo. Un negozio (io continuo a chiamarlo così, ma sbaglio: da noi il negozio di un fotografo è uno “studio”) che ha cessato l’attività. Fisiologico. Ma per tanti, tantissimi altri, quello che non c’è più era un luogo importante: luogo di incontro, di appuntamenti, di ricordi. Per tanti dire “vediamoci da Lo Re” era come dire “vediamoci alla villa” o “vediamoci a tale bar”. E non da qualche anno, ma da quarantacinque anni a questa parte. Un’istituzione, come si dice.
Agli inizi fu “Lorelan”, dove la Lan stava per Lanteri, il noto Franco, anche lui apprezzato ed amato da tutti i lentinesi. In quegli anni le macchine fotografiche non erano molto diffuse, così i due giovani fotografi (entrambi cresciuti alla scuola del mitico Orazio Cimino) venivano chiamati ad immortalare tutti i momenti pubblici e privati di una certa importanza. Anche molti giornalisti si rivolgevano a loro. Mi viene in mente una loro splendida fotografia degli scontri tra polizia e braccianti nel famoso sciopero del dicembre 1966, pubblicata sulla prima pagina del Corriere di Sicilia a corredo di un magistrale articolo di Carlo Lo Presti.
Già da allora lo studio era punto di incontro dei giovani più in vista di Lentini. Da osservatore, più che da frequentatore, mi ricordo di alcuni personaggi che colpivano la fantasia di noi più giovani: Pippo ed Elio Cardillo, il cantante Nuccio Vilona, in arte Tony Vilon, l’irresistibile Pippo Saccà (chissà dove si trova). Quando i due amici si separarono e lo studio di fronte alla villa Gorgia rimase al solo Lo Re, l’aspetto - diciamo così – sociale del negozio si accentuò. Il carattere dolce, il perenne sorriso, l’inimitabile e bonaria ironia di Luigi per oltre tre decenni ha attratto molti appassionati di fotografia (dal prof. Emilio Mirisola all’ing. Franco Vacanti, al prof. Mario Cormaci) ma anche molti politici di sinistra (Luigi Boggio, Armando Anzaldo, Pippo Moncada, Santo Ragazzi, Ferdinando Leonzio, …) e personaggi un po’ strani. Credo che non ci sia lentinese che non abbia notato, almeno una volta, davanti al negozio, ora un gruppo ora un altro di persone intente a discutere animatamente di problemi, idee, soluzioni, speranze e delusioni riguardanti la città. Tra le tante, una presenza quasi fissa, quella di Enzo Ferraro, e con lui sempre qualcuno della sua compagnia (Cavalieri, Polopoli ecc.).
Luigi Lo Re ha “chiuso bottega” mentre è ancora in splendida forma. E gli auguriamo ottima vita anche da pensionato. Ma mentre lui conserva il suo sorriso sornione, quella saracinesca abbassata genera un po’ di tristezza e molta nostalgia.
Ma c’è ancora qualcosa da dire: situazioni di questo tipo non nascono per caso. Nascono quando da parte del padrone di casa c’è disponibilità, socialità, vocazione ai rapporti umani. Ma, soprattutto, quando questi ha la consapevolezza che mettere un “posto” a disposizione, direi, della città è un modo molto efficace di aggiungere qualcosa alla propria comunità. Credo sia sempre così. Che sia stato così per Luigi Lo Re ne sono più che certo.
C’è un modo per dirgli grazie. Nel giro di un paio di settimane organizzeremo un incontro pubblico in un locale da definire (quanto ci manchi, Antico Lavatoio!) durante il quale consegneremo a Luigi una pergamena con le firme di tutti i presenti. Sarà anche una bellissima occasione per raccontare coralmente quarant’anni di storia lentinese così com’è stata vista da quel particolare punto d’osservazione.
Chi vuole aderire, può farlo attraverso il giornale o il sito in cui legge queste righe.
Agli inizi fu “Lorelan”, dove la Lan stava per Lanteri, il noto Franco, anche lui apprezzato ed amato da tutti i lentinesi. In quegli anni le macchine fotografiche non erano molto diffuse, così i due giovani fotografi (entrambi cresciuti alla scuola del mitico Orazio Cimino) venivano chiamati ad immortalare tutti i momenti pubblici e privati di una certa importanza. Anche molti giornalisti si rivolgevano a loro. Mi viene in mente una loro splendida fotografia degli scontri tra polizia e braccianti nel famoso sciopero del dicembre 1966, pubblicata sulla prima pagina del Corriere di Sicilia a corredo di un magistrale articolo di Carlo Lo Presti.
Già da allora lo studio era punto di incontro dei giovani più in vista di Lentini. Da osservatore, più che da frequentatore, mi ricordo di alcuni personaggi che colpivano la fantasia di noi più giovani: Pippo ed Elio Cardillo, il cantante Nuccio Vilona, in arte Tony Vilon, l’irresistibile Pippo Saccà (chissà dove si trova). Quando i due amici si separarono e lo studio di fronte alla villa Gorgia rimase al solo Lo Re, l’aspetto - diciamo così – sociale del negozio si accentuò. Il carattere dolce, il perenne sorriso, l’inimitabile e bonaria ironia di Luigi per oltre tre decenni ha attratto molti appassionati di fotografia (dal prof. Emilio Mirisola all’ing. Franco Vacanti, al prof. Mario Cormaci) ma anche molti politici di sinistra (Luigi Boggio, Armando Anzaldo, Pippo Moncada, Santo Ragazzi, Ferdinando Leonzio, …) e personaggi un po’ strani. Credo che non ci sia lentinese che non abbia notato, almeno una volta, davanti al negozio, ora un gruppo ora un altro di persone intente a discutere animatamente di problemi, idee, soluzioni, speranze e delusioni riguardanti la città. Tra le tante, una presenza quasi fissa, quella di Enzo Ferraro, e con lui sempre qualcuno della sua compagnia (Cavalieri, Polopoli ecc.).
Luigi Lo Re ha “chiuso bottega” mentre è ancora in splendida forma. E gli auguriamo ottima vita anche da pensionato. Ma mentre lui conserva il suo sorriso sornione, quella saracinesca abbassata genera un po’ di tristezza e molta nostalgia.
Ma c’è ancora qualcosa da dire: situazioni di questo tipo non nascono per caso. Nascono quando da parte del padrone di casa c’è disponibilità, socialità, vocazione ai rapporti umani. Ma, soprattutto, quando questi ha la consapevolezza che mettere un “posto” a disposizione, direi, della città è un modo molto efficace di aggiungere qualcosa alla propria comunità. Credo sia sempre così. Che sia stato così per Luigi Lo Re ne sono più che certo.
C’è un modo per dirgli grazie. Nel giro di un paio di settimane organizzeremo un incontro pubblico in un locale da definire (quanto ci manchi, Antico Lavatoio!) durante il quale consegneremo a Luigi una pergamena con le firme di tutti i presenti. Sarà anche una bellissima occasione per raccontare coralmente quarant’anni di storia lentinese così com’è stata vista da quel particolare punto d’osservazione.
Chi vuole aderire, può farlo attraverso il giornale o il sito in cui legge queste righe.
domenica 14 settembre 2008
Un articolo del Giornale di Vicenza su Fino Giuliano
IL GIORNALE DI VICENZA
Venerdì 05 Settembre 2008 cultura Pagina 51
LIBRI. IL ROMANZO “NOIR” DELLO SCRITTORE SICILIANO CHE DA MOLTI ANNI FA L’INSEGNANTE A VICENZA
Un manoscritto di Kafka nella Praga dei rimpianti.
Sarà presentato oggi al Festival letteratura di Mantova l’ultimo libro di Filadelfo Giuliano, “Ritorno in Sicilia” edito da Azimut. È una bella soddisfazione per l’autore, siciliano di Catania (di Lentini, nota di G. Tocco) ma ormai vicentino d’adozione, che insegna lettere nella scuola media di via Carta a Vicenza. Ma non è la prima. Il suo libro, infatti, è stato premiato al concorso letterario “Più a sud di Tunisi” che s’è tenuto recentemente a Portopalo, vicino a Capo Passero, in provincia di Siracusa.
È una località cui l’autore è molto legato (tant’è che è citata più volte nel romanzo, come il luogo del ritorno e dell’identità perduta) che si trova effettivamente più a sud di Tunisi, perché è il paese più meridionale della Sicilia. Ecco il perchè del titolo del premio.
Il libro, scritto in modo avvincente, riflette il grande amore che Giuliano ha per Praga, città che ha conosciuto da vicino e visitato più volte - a cominciare dagli anni della “Primavera” di Dubcek - alla quale è legato da un sentimento profondo. Tant’è che a Vicenza ha creato il circolo “Amici di Praga”. Anzi, questo “Ritorno in Sicilia” è stato pubblicato qualche anno fa in ceco, lingua che Giuliano conosce perfettamente, al punto da scrivere anche poesie, e ora appare nella... traduzione italiana.
Il volume è un noir che si svolge appunto fra Praga e Vicenza (non poteva mancare la sua città d’adozione) mentre un filo rosso lega la capitale della Cekia a Portopalo, che rappresenta il luogo dell’utopia, il posto dove si possono ricomporre i frammenti dell’esistenza.
”Ritorno in Sicilia” racconta, in realtà, il ritorno a Praga di Angelo dopo dieci anni di lontananza. Vi torna a cercare un manoscritto di Franz Kafka in ceco. Sarebbe un colpo grosso, visto che Kafka non ha mai scritto nella sua lingua. E questa ricerca diventa l’occasione per un’altra recerche, quella del proprio passato: i vecchi amici e la città che Angelo ricordava si sono trasformati, sono diventati irriconoscibili. Chi era contestatore è diventato commissario di polizia, i rivoluzionari di un tempo sono oggi ricchi imprenditori.
La spinta che lo ha motivato a questo viaggio, naturalmente è una donna, Pavlina, giovane e disinibita, conosciuta via Internet, che può metterlo sulla strada giusta per rintracciare il manoscritto.
La trama del libro è ricca di colpi di scena, sino a un finale imprevedibile. Sullo sfondo non c’è la Praga delle guide, ma la periferia delle case popolari, quella che i turisti non vedono, le bettole e le osterie. Puntuale fa capolino anche la tavola, dalla birra ceka fino al baccalà alla vicentina, con descrizioni che ricordano uno scrittore siciliano illustre, Andrea Camilleri.
Il libro ha molti livelli di lettura. Il primo è senz'altro psicologico. Perché la Sicilia, perché il ritorno? Perché il protagonista ricorda che la madre gli disse: “Porterai a Portopalo la donna che amerai”. Nel libro Angelo incontra molte donne. E ha parecchie delusioni. Il secondo livello di lettura è la liberazione interiore, soprattutto dai ricordi. La Praga di un tempo non c’è più, il mito della città di Kafka è stato cancellato. I flashback della memoria, Dubcek, il muro ideologico crollato, Jan Palach, fanno da contrappunto alla realtà della Praga di oggi: orde di turisti, corruzione, pornofilm, cattivo cibo.
Il tema letterario è un altro livello di lettura. Kafka, naturalmente, è immancabile. Ma arriva in sogno, consiglia. E non poteva che essere così. Arrivano anche i gendarmi de “Il Processo”. Perché in sogno serpeggia anche la tentazione di rovesciare tutto: la sfida è quella di rovesciare il finale di un libro come “Il Processo”. In fondo, non solo per la generazione di Filadelfo Giuliano, Praga resta la città - mito della rivoluzione, politica e personale, della liberazione. Anche se la storia, come pure il finale del libro, è assai più amara. A.D.L.
Venerdì 05 Settembre 2008 cultura Pagina 51
LIBRI. IL ROMANZO “NOIR” DELLO SCRITTORE SICILIANO CHE DA MOLTI ANNI FA L’INSEGNANTE A VICENZA
Un manoscritto di Kafka nella Praga dei rimpianti.
Sarà presentato oggi al Festival letteratura di Mantova l’ultimo libro di Filadelfo Giuliano, “Ritorno in Sicilia” edito da Azimut. È una bella soddisfazione per l’autore, siciliano di Catania (di Lentini, nota di G. Tocco) ma ormai vicentino d’adozione, che insegna lettere nella scuola media di via Carta a Vicenza. Ma non è la prima. Il suo libro, infatti, è stato premiato al concorso letterario “Più a sud di Tunisi” che s’è tenuto recentemente a Portopalo, vicino a Capo Passero, in provincia di Siracusa.
È una località cui l’autore è molto legato (tant’è che è citata più volte nel romanzo, come il luogo del ritorno e dell’identità perduta) che si trova effettivamente più a sud di Tunisi, perché è il paese più meridionale della Sicilia. Ecco il perchè del titolo del premio.
Il libro, scritto in modo avvincente, riflette il grande amore che Giuliano ha per Praga, città che ha conosciuto da vicino e visitato più volte - a cominciare dagli anni della “Primavera” di Dubcek - alla quale è legato da un sentimento profondo. Tant’è che a Vicenza ha creato il circolo “Amici di Praga”. Anzi, questo “Ritorno in Sicilia” è stato pubblicato qualche anno fa in ceco, lingua che Giuliano conosce perfettamente, al punto da scrivere anche poesie, e ora appare nella... traduzione italiana.
Il volume è un noir che si svolge appunto fra Praga e Vicenza (non poteva mancare la sua città d’adozione) mentre un filo rosso lega la capitale della Cekia a Portopalo, che rappresenta il luogo dell’utopia, il posto dove si possono ricomporre i frammenti dell’esistenza.
”Ritorno in Sicilia” racconta, in realtà, il ritorno a Praga di Angelo dopo dieci anni di lontananza. Vi torna a cercare un manoscritto di Franz Kafka in ceco. Sarebbe un colpo grosso, visto che Kafka non ha mai scritto nella sua lingua. E questa ricerca diventa l’occasione per un’altra recerche, quella del proprio passato: i vecchi amici e la città che Angelo ricordava si sono trasformati, sono diventati irriconoscibili. Chi era contestatore è diventato commissario di polizia, i rivoluzionari di un tempo sono oggi ricchi imprenditori.
La spinta che lo ha motivato a questo viaggio, naturalmente è una donna, Pavlina, giovane e disinibita, conosciuta via Internet, che può metterlo sulla strada giusta per rintracciare il manoscritto.
La trama del libro è ricca di colpi di scena, sino a un finale imprevedibile. Sullo sfondo non c’è la Praga delle guide, ma la periferia delle case popolari, quella che i turisti non vedono, le bettole e le osterie. Puntuale fa capolino anche la tavola, dalla birra ceka fino al baccalà alla vicentina, con descrizioni che ricordano uno scrittore siciliano illustre, Andrea Camilleri.
Il libro ha molti livelli di lettura. Il primo è senz'altro psicologico. Perché la Sicilia, perché il ritorno? Perché il protagonista ricorda che la madre gli disse: “Porterai a Portopalo la donna che amerai”. Nel libro Angelo incontra molte donne. E ha parecchie delusioni. Il secondo livello di lettura è la liberazione interiore, soprattutto dai ricordi. La Praga di un tempo non c’è più, il mito della città di Kafka è stato cancellato. I flashback della memoria, Dubcek, il muro ideologico crollato, Jan Palach, fanno da contrappunto alla realtà della Praga di oggi: orde di turisti, corruzione, pornofilm, cattivo cibo.
Il tema letterario è un altro livello di lettura. Kafka, naturalmente, è immancabile. Ma arriva in sogno, consiglia. E non poteva che essere così. Arrivano anche i gendarmi de “Il Processo”. Perché in sogno serpeggia anche la tentazione di rovesciare tutto: la sfida è quella di rovesciare il finale di un libro come “Il Processo”. In fondo, non solo per la generazione di Filadelfo Giuliano, Praga resta la città - mito della rivoluzione, politica e personale, della liberazione. Anche se la storia, come pure il finale del libro, è assai più amara. A.D.L.
Enzo Crisci e Guido Mirisola
Qualche giorno fa ho letto un comunicato stampa con cui si dava conto che di nuovo Enzo Crisci e Guido Mirisola erano stati invitati ad entrare in giunta (Crisci assessore) a seguito della posizione fortemente critica assunta dai de consiglieri comunali nei confronti del sindaco mangiameli e della sua amministrazione. Anche stavolta loro due hanno rifiutato l'invito (o offerta che dir si voglia).
Sono amico di Enzo e Guido da parecchi anni (di quest'ultimo fin da quando eravamo ragazzi) e non avevo bisogno di conferme riguardo la loro onestà intellettuale. Ma mi ha fatto molto piacere leggere il loro documento. Al di là del merito della questione, su cui non mi esprimo perché non ne conosco tutti i termini e perché non non ho titoli per farlo, mi sembra importante che ci venga ricordato che c'è ancora gente che fa politica disinteressatamente e che accende battaglie per motivi ritenuti alti enon per trarre vantaggi personali. Rimango convinto che le persone per bene, quelle che son in politica per dare, siano di gran lunga più numerosi di quelli che in politica ci sono per prendere, ma ogni tanto è utile avere conferme tangibili. Ringrazio, da semplice cittadino, Enzo e Guido ed auguro loro tutto il bene del mondo. E credo che il loro rifiuto di un incarico appetibile sia un impagabile spot per la buona politica.
Sono amico di Enzo e Guido da parecchi anni (di quest'ultimo fin da quando eravamo ragazzi) e non avevo bisogno di conferme riguardo la loro onestà intellettuale. Ma mi ha fatto molto piacere leggere il loro documento. Al di là del merito della questione, su cui non mi esprimo perché non ne conosco tutti i termini e perché non non ho titoli per farlo, mi sembra importante che ci venga ricordato che c'è ancora gente che fa politica disinteressatamente e che accende battaglie per motivi ritenuti alti enon per trarre vantaggi personali. Rimango convinto che le persone per bene, quelle che son in politica per dare, siano di gran lunga più numerosi di quelli che in politica ci sono per prendere, ma ogni tanto è utile avere conferme tangibili. Ringrazio, da semplice cittadino, Enzo e Guido ed auguro loro tutto il bene del mondo. E credo che il loro rifiuto di un incarico appetibile sia un impagabile spot per la buona politica.
Un mese di assenza
Eccomi qua, dopo un mese esatto.
Temo non ci sia stato nessuno a chiedersi dov’ero andato a finire. In questo blog, dico. Nel resto del mondo posso verificare se qualcuno si preoccupa per me e non mi sento troppo solo.
Avrei tante cose da raccontare. Le racconterò un po’ per volta come in un diario.
1) In famiglia abbiamo avuto un terribile spavento per questioni di salute. Per fortuna tutto sembra essersi concluso bene. Ne parlo, più che altro, per dire una cosa che a me sembra importante: anche a Catania ci sono chirurghi bravissimi e anche per alcuni interventi delicatissimi vi si può ricorrere evitando i viaggi in città lontane. In particolare abbiamo avuto l’opportunità di conoscere e apprezzare il dottor Salvo Cicero dell’ospedale Garibaldi. Bravo, gentile, comprensivo. L’augurio, per tutti, è che non se ne abbia mai bisogno, ma nel caso malaugurato, può essere utile e confortante sapere che anche in Sicilia la sanità pubblica quasi sempre è soddisfacente, anche grazie a questi giovani chirurghi che non l’hanno abbandonata per carriere più soddisfacenti.
2) Insieme ad Alfredo Martines, per conto di Infinity Media, abbiamo girato un documentario nell’area del Fiume Alcantara. Ho avuto modo di conoscere alcuni angoli del fiume molto meno note delle famosissime Gole, ma probabilmente non meno belle ed interessanti: le cosiddette “Gurne” di Francavilla e le “Piccole gole” di Mojo Alcantara, per esempio. Sono un po’ difficili da raggiungere, ma consiglierei a tutti quanti i miei amici di andarci almeno una volta. Poi ci sono altri posti, nelle montagne circostanti, che lasciano senza fiato: il Bosco di Malabotta, con le sue querce monumentali, , l’altipiano di Argimusco, con i suoi misteriosi megaliti, l’incredibile “mannara di Gisuittu” un’are fino al secolo scorso utilizzata come ovile ma molto probabilmente di origini micenee.
3) Grazie a questo lavoro ho avuto modo di conoscere da vicino Puccio Corona (Linea Blu, Uno Mattina, TG1, ecc.). è stata una gioia: una persona di gentilezza, affabilità e professionalità da lasciare incantati. Non credo di esagerare se dico che sia io, che Alfredo, che gli altri membri della troupe abbiamo avuto l’impressione di avere salutato, alla fine del lavoro, un vecchio amico. Insomma, una splendida persona. E poterlo conoscerlo per me è stato un bel regalo.
Temo non ci sia stato nessuno a chiedersi dov’ero andato a finire. In questo blog, dico. Nel resto del mondo posso verificare se qualcuno si preoccupa per me e non mi sento troppo solo.
Avrei tante cose da raccontare. Le racconterò un po’ per volta come in un diario.
1) In famiglia abbiamo avuto un terribile spavento per questioni di salute. Per fortuna tutto sembra essersi concluso bene. Ne parlo, più che altro, per dire una cosa che a me sembra importante: anche a Catania ci sono chirurghi bravissimi e anche per alcuni interventi delicatissimi vi si può ricorrere evitando i viaggi in città lontane. In particolare abbiamo avuto l’opportunità di conoscere e apprezzare il dottor Salvo Cicero dell’ospedale Garibaldi. Bravo, gentile, comprensivo. L’augurio, per tutti, è che non se ne abbia mai bisogno, ma nel caso malaugurato, può essere utile e confortante sapere che anche in Sicilia la sanità pubblica quasi sempre è soddisfacente, anche grazie a questi giovani chirurghi che non l’hanno abbandonata per carriere più soddisfacenti.
2) Insieme ad Alfredo Martines, per conto di Infinity Media, abbiamo girato un documentario nell’area del Fiume Alcantara. Ho avuto modo di conoscere alcuni angoli del fiume molto meno note delle famosissime Gole, ma probabilmente non meno belle ed interessanti: le cosiddette “Gurne” di Francavilla e le “Piccole gole” di Mojo Alcantara, per esempio. Sono un po’ difficili da raggiungere, ma consiglierei a tutti quanti i miei amici di andarci almeno una volta. Poi ci sono altri posti, nelle montagne circostanti, che lasciano senza fiato: il Bosco di Malabotta, con le sue querce monumentali, , l’altipiano di Argimusco, con i suoi misteriosi megaliti, l’incredibile “mannara di Gisuittu” un’are fino al secolo scorso utilizzata come ovile ma molto probabilmente di origini micenee.
3) Grazie a questo lavoro ho avuto modo di conoscere da vicino Puccio Corona (Linea Blu, Uno Mattina, TG1, ecc.). è stata una gioia: una persona di gentilezza, affabilità e professionalità da lasciare incantati. Non credo di esagerare se dico che sia io, che Alfredo, che gli altri membri della troupe abbiamo avuto l’impressione di avere salutato, alla fine del lavoro, un vecchio amico. Insomma, una splendida persona. E poterlo conoscerlo per me è stato un bel regalo.
venerdì 15 agosto 2008
La musica notturna dell'Alcantara
L’8 di agosto ho avuto la fortuna di recitare, assieme a Pippo Galatà, Giovanna Costantino, Nicolò Lasciato, Valeria Roccella, Erica Ragazzi e Peppino Castello, in un piccolo teatro all’aperto poggiato su una sponda del fiume Alcantara, dentro le omonime Gole, un centinaio di metri più a monte dal punto in cui normalmente sono avviati i visitatori, doveil fiume esce dalla stretta e alta fessura di lava ed entra in un letto piuttosto ampio e costeggiato dal verde, da oleandri, da olivastri.
È un posto in cui le pareti distano tra loro non più di otto o dieci metri e sono di altezza differente.
Noi ci trovavamo sulla sponda di sinistra (con riferimento alla sorgente), alta circa 20 metri rispetto al fiume. La parete opposta è alta almeno il doppio. Per osservare il fiume, dunque, dovevamo sporgerci un poco da un parapetto in legno, mentre di fronte a noi si offriva in tutto il suo splendore lo straordinario spettacolo del basalto prismatico. Tutto attorno i profumi inebrianti e i colori della natura rigogliosa tipica dei posti umidi e freschi. Ma ben presto un particolarissimo fenomeno, probabilmente unico al mondo, superò per potenza e suggestione tutto quello che fino a quel momento ci era sembrato di bellezza ineguagliabile: il suono del fiume. Niente a che vedere con lo sciacquio, il gorgoglio, il borbottio, il brontolio, il mormorio, il borboglio, il turbinio di tutti gli altri piccoli fiumi del mondo. L’Alcantara, di notte, suona. L’acqua che scivola, si insinua, turbinìa tra quelle stretti pareti cristalline e ferrose, aspre e rugose, dalle mille protuberanze e mille rientranze, simili a bassorilievi informali scolpiti da Efeso, produce un suono assolutamente irripetibile, indescrivibile, indimenticabile. Ho suggerito (potrei anche dire che ho chiesto) al gestore dell’area e al sindaco di Motta Camastra di offrire ai visitatori questo spettacolo unico e incantevole organizzando passeggiate notturne. Solo per ascoltare la straordinaria musica del fiume Alcantara quando attraversa le Gole. O almeno di farmi fare là altri spettacoli notturni.
È un posto in cui le pareti distano tra loro non più di otto o dieci metri e sono di altezza differente.
Noi ci trovavamo sulla sponda di sinistra (con riferimento alla sorgente), alta circa 20 metri rispetto al fiume. La parete opposta è alta almeno il doppio. Per osservare il fiume, dunque, dovevamo sporgerci un poco da un parapetto in legno, mentre di fronte a noi si offriva in tutto il suo splendore lo straordinario spettacolo del basalto prismatico. Tutto attorno i profumi inebrianti e i colori della natura rigogliosa tipica dei posti umidi e freschi. Ma ben presto un particolarissimo fenomeno, probabilmente unico al mondo, superò per potenza e suggestione tutto quello che fino a quel momento ci era sembrato di bellezza ineguagliabile: il suono del fiume. Niente a che vedere con lo sciacquio, il gorgoglio, il borbottio, il brontolio, il mormorio, il borboglio, il turbinio di tutti gli altri piccoli fiumi del mondo. L’Alcantara, di notte, suona. L’acqua che scivola, si insinua, turbinìa tra quelle stretti pareti cristalline e ferrose, aspre e rugose, dalle mille protuberanze e mille rientranze, simili a bassorilievi informali scolpiti da Efeso, produce un suono assolutamente irripetibile, indescrivibile, indimenticabile. Ho suggerito (potrei anche dire che ho chiesto) al gestore dell’area e al sindaco di Motta Camastra di offrire ai visitatori questo spettacolo unico e incantevole organizzando passeggiate notturne. Solo per ascoltare la straordinaria musica del fiume Alcantara quando attraversa le Gole. O almeno di farmi fare là altri spettacoli notturni.
Un poesia per San Valentino
Sul sito di San Valentino (www.sanvalentinolentini.it) mi |
sabato 9 agosto 2008
Un grande regalo di Fino Giuliano
Lo scrittore lentinese Fino Giuliano (recentemente abbiamo presentato il suo bellissimo "Ritorno in Sicilia") ha un magnifico e seguitissimo blog, che consiglia a tutti di visitare (http://finuzzo.blog.lastampa.it). Oggi i ho letto questo scritto che mi ha incantato e commosso. Mi piace pubblicarlo per Miroslav Tichý e per Fino. Comunque, consiglio di andarlo a rileggere sul blog di Fino perché lì soo pubblicate anche due foto strepitose che io non sono capace di inserire qua. Ringrazio Fino per averci presentato Tarzan e per avermi autorizzato a pubblicare il suo scritto. Guglielmo
Tarzan ce l'ha fatta
Il fotografo ceco Miroslav Tichý, soprannominato Tarzan espone le sue foto a Parigi al Centro Pompidou. La mostra sarà aperta fino al 22 settembre.
Le foto esposte risalgono quasi tutte agli anni Cinquanta e il soggetto è a senso unico: la donna nella sua fisicità. Si tratta di un centinaio di foto in bianco e nero a volte sfocate. Dice a questo proposito l’artista: “Andavo in città, facevo almeno cento foto al giorno, mi veniva automatico, senza il minimo sforzo".
Ma chi è Miroslav Tichý? Senza dubbio l’artista più estroso e naif che abbia oggi la Repubblica ceca. Nato 82 anni fa in un villaggio vicino a Brno, Tichý si è allontanato rare volte da casa. La prima volta lo fa per andare a studiare pittura all’Accademia di Belle Arti di Praga.
Il regime comunista lo rinchiude in un ospedale psichiatrico e poi in una prigione: non sopporta il suo radicalismo e il suo aspetto trasandato e la barba incolta sono in contrasto con la figura dell’uomo nuovo che bisogna creare.
Uscito di prigione, non trova più il suo atelier. I comunisti l’avevano distrutto. Tichý a questo punto si dedica totalmente alla fotografia.
A scoprire il suo genio è il vicino di casa Roman Buxaum, psichiatra e artista che oggi vive in Svizzera.
E’ lui che lo”costringe” a mostrare ai critici le foto, è lui che produce il documentario Tarzan in pensione, grazie al quale il mondo può conoscere uno degli ultimi artisti cresciuti fuori dalla civiltà.
E sì. Il nostro Tarzan, oggi nonostante il successo, continua a vivere nella sua capanna di legno priva di riscaldamento e di servizi igienici.
La consacrazione a livello mondiale avviene nel 2004 alla Biennale di Siviglia quando le sue foto vengono recensite dal New YorkTimes.
Il mondo dell’arte e i normali amanti della fotografia si meraviglieranno conoscendo gli strumenti di lavoro di quest’artista. Tichý le macchine fotografiche se le fa da sé. In quella che vedete nella foto la lente è un fondo di bottiglia legato a una scatola di latta che un tempo conteneva pelati. il tutto viene tenuto insieme dal catrame.
Quest’anno il sogno di Tarzan, che è quello di ogni artista, si realizza. Le sue immagini sono esposte a Parigi.
Tarzan ce l'ha fatta
Il fotografo ceco Miroslav Tichý, soprannominato Tarzan espone le sue foto a Parigi al Centro Pompidou. La mostra sarà aperta fino al 22 settembre.
Le foto esposte risalgono quasi tutte agli anni Cinquanta e il soggetto è a senso unico: la donna nella sua fisicità. Si tratta di un centinaio di foto in bianco e nero a volte sfocate. Dice a questo proposito l’artista: “Andavo in città, facevo almeno cento foto al giorno, mi veniva automatico, senza il minimo sforzo".
Ma chi è Miroslav Tichý? Senza dubbio l’artista più estroso e naif che abbia oggi la Repubblica ceca. Nato 82 anni fa in un villaggio vicino a Brno, Tichý si è allontanato rare volte da casa. La prima volta lo fa per andare a studiare pittura all’Accademia di Belle Arti di Praga.
Il regime comunista lo rinchiude in un ospedale psichiatrico e poi in una prigione: non sopporta il suo radicalismo e il suo aspetto trasandato e la barba incolta sono in contrasto con la figura dell’uomo nuovo che bisogna creare.
Uscito di prigione, non trova più il suo atelier. I comunisti l’avevano distrutto. Tichý a questo punto si dedica totalmente alla fotografia.
A scoprire il suo genio è il vicino di casa Roman Buxaum, psichiatra e artista che oggi vive in Svizzera.
E’ lui che lo”costringe” a mostrare ai critici le foto, è lui che produce il documentario Tarzan in pensione, grazie al quale il mondo può conoscere uno degli ultimi artisti cresciuti fuori dalla civiltà.
E sì. Il nostro Tarzan, oggi nonostante il successo, continua a vivere nella sua capanna di legno priva di riscaldamento e di servizi igienici.
La consacrazione a livello mondiale avviene nel 2004 alla Biennale di Siviglia quando le sue foto vengono recensite dal New YorkTimes.
Il mondo dell’arte e i normali amanti della fotografia si meraviglieranno conoscendo gli strumenti di lavoro di quest’artista. Tichý le macchine fotografiche se le fa da sé. In quella che vedete nella foto la lente è un fondo di bottiglia legato a una scatola di latta che un tempo conteneva pelati. il tutto viene tenuto insieme dal catrame.
Quest’anno il sogno di Tarzan, che è quello di ogni artista, si realizza. Le sue immagini sono esposte a Parigi.
giovedì 7 agosto 2008
La scomparsa di Pippo La Pira
Mentre scrivo la Chiesa di Sant’Alfio si sta riempendo di gente che assisterà ai funerali del dottor Giuseppe La Pira.
Ci sarà gran parte della città, alla messa e al corteo. E molti dei presenti rivolgeranno a lu l’ultimo saluto chiamandolo Pippo e non Giuseppe. Mi dispiace non esserci. Dal punto di vista personale non avrei nessun obbligo, ma come cittadino lentinese mi sento molto in debito con lui. Ha dato molto alla città. È stato protagonista di molti momenti importanti per Lentini e al centro di situazioni cruciali: il Centro Studi, il Premio Lentini, la FUCI, l’Archeo Club. Ma personalmente gli sono molto grato per quello che di questa città ha osservato, ha raccontato, ha divulgato. Per avere raccontato e fatto conoscere, anche alle generazioni che sono venute dopo e a coloro che non avevano avuto l’opportunità di frequentarli, personaggi come Monsignor La Rosa, Alfio Sgalambro, Carlo Lo Presti. Fu in contatto, spesso anche amico e talvolta collaborò, con tutti i personaggi che dal dopoguerra all’altro ieri hanno avuto ruoli importanti nella città. Ma scrisse di pochi (almeno rispetto a quelli che conobbe): è evidentissimo che sceglieva di chi parlare. E la sua selezione era piuttosto chiara: parlava solo di chi amava Lentini e per essa si era impegnato tutta la vita. Perché era a questo che credeva più di ogni altra cosa: che erano apprezzabili e degni di stima e di rispetto i cittadini che vedevano la loro città come l’anziana madre da accudire, da rispettare, da amare, da abbellire, da valorizzare. Perché lui, Pippo La Pira, era così. Un grande Maestro di amore filiale per Lentini. Spero ci sia qualcuno in grado di raccontarcelo, di farcelo conoscere, di parlarci della sua struggente lentinesità come lui ha fatto egregiamente per tanti anni per gli altri.
Ci sarà gran parte della città, alla messa e al corteo. E molti dei presenti rivolgeranno a lu l’ultimo saluto chiamandolo Pippo e non Giuseppe. Mi dispiace non esserci. Dal punto di vista personale non avrei nessun obbligo, ma come cittadino lentinese mi sento molto in debito con lui. Ha dato molto alla città. È stato protagonista di molti momenti importanti per Lentini e al centro di situazioni cruciali: il Centro Studi, il Premio Lentini, la FUCI, l’Archeo Club. Ma personalmente gli sono molto grato per quello che di questa città ha osservato, ha raccontato, ha divulgato. Per avere raccontato e fatto conoscere, anche alle generazioni che sono venute dopo e a coloro che non avevano avuto l’opportunità di frequentarli, personaggi come Monsignor La Rosa, Alfio Sgalambro, Carlo Lo Presti. Fu in contatto, spesso anche amico e talvolta collaborò, con tutti i personaggi che dal dopoguerra all’altro ieri hanno avuto ruoli importanti nella città. Ma scrisse di pochi (almeno rispetto a quelli che conobbe): è evidentissimo che sceglieva di chi parlare. E la sua selezione era piuttosto chiara: parlava solo di chi amava Lentini e per essa si era impegnato tutta la vita. Perché era a questo che credeva più di ogni altra cosa: che erano apprezzabili e degni di stima e di rispetto i cittadini che vedevano la loro città come l’anziana madre da accudire, da rispettare, da amare, da abbellire, da valorizzare. Perché lui, Pippo La Pira, era così. Un grande Maestro di amore filiale per Lentini. Spero ci sia qualcuno in grado di raccontarcelo, di farcelo conoscere, di parlarci della sua struggente lentinesità come lui ha fatto egregiamente per tanti anni per gli altri.
giovedì 24 luglio 2008
mercoledì 23 luglio 2008
Un'incredibile sottovalutazione
A me pare che tra le tante cose dette, sentite, lette e ascoltate sul famigerato intervento di Bossi dell’altro giorno, manchi la giusta considerazione nei confronti di una frase contenuta in quell’intervento: il ministro razzista disse che avrebbe cacciato via gli insegnanti meridionali perché colpevoli di “bastonare” gli studenti padani (“i nostri ragazzi”). Bisogna aver vissuto sulla luna per non temere che questa frase potrebbe essere interpretata, dagli immancabili idioti-bulli-razzisti, ome una specie di lasciapassare per qualche bastonatura (stavolta non metaforica) nei confronti di professori meridionali a loro parere “nemici della padania”. Chi crede sia esagerato il mio timore, ripensi a quante aggressioni e calunnie hanno subito zingari, rom e rumeni da quando un altro esponente dello schieramento neo razzista, al servizio più di bossi che dello Stato, ha cominciato ad additare questi ultimi come massima minaccia del Paese. È stato sempre così ed è probabile che sarà così anche con gli insegnanti meridionali additati come persecutori di bravi ragazzi padani.Sembra che il mondo politico sia stato turbato solo dall’offesa all’Inno Nazionale, trascurando del tutto il fatto che un Ministro della Repubblica abbia espresso sentimenti così brutali su una parte della popolazione inerme, indifesa e facilmente aggredibile (stiamo parlando di emigrati per lavoro, spesso giovani all’inizio di cariera e soli in città non loro).
martedì 22 luglio 2008
Il ministro avvinazzato, l'oppositore esangue e il Presidente distratto
Umberto Bossi, incredibilmente ministro della Repubblica Italiana, ha commentato con l’educazione ed il buon gusto tipico del soggetto, un verso dell’Inno nazionale. Le reazioni politiche sono state improntate al bon ton: si va dal classico “non bisogna strumentalizzare” all’annoiato “sapete com’è fatto” fino all’arditissimo “Berlusconi si dissoci” (Veltroni, quando s’incazza, diventa una tigre!).
Ci saremmo aspettati più vigore, Ma forse il caldo di questi giorni ha fiaccato un po’ tutti. Il ministro del fiasco, probabilmente tradito da un pessimo vino padano (perché non prova qualche buon rosso siciliano? Sono garantite sbornie meno cupe) non si è fermato a questo: ha continuato dicendo che al Nord non vuole più insegnanti meridionali. Vi ricordate quell’arbitro che ha sbancato su You Tube per essere entrato in campo ubriaco fradicio? Forse Bossi voleva superarlo in popolarità. E la cosa, se finisse qui, non sarebbe niente male: finalmente un po’ d’allegria. Ma se un ministro dice che gli insegnanti meridionali nelle scuole padane “bastonano” gli studenti padani, beh, le cose si fanno serie. Qua si sta parlando di razzismo nelle scuole. E i razzisti sono gli insegnanti meridionali. Suppongo che un 5% di imbecilli così come negli stadi, nelle discoteche, nelle strade, nelle fabbriche, ci sarà anche nelle scuole. E vi sembra impossibile che qualcuno di questi imbecilli possa sentirsi moralmente autorizzato a ricambiare (stavolta non metaforicamente) le “bastonate” ricevute dal professore meridionale “ladro di posti di lavoro e antipadano”?
Ma state tranquilli. L’inflessibile Veltroni pretenderà che il preside della scuola dove questo avverrà si dissoci dai suoi alunni. E il Presidente della Repubblica emetterà un altro severo comunicato sui processi-spettacolo. E il dialogo non si interromperà. E il Ministro delle Riforme, anche se col bicchiere in mano, quando darà vita al federalismo si ricorderà che mentre sull’Inno nazionale quacuno sussurrò qualcosa, sui professori meridionali nessuno non fiatò. E tirerà dritto.
Ci saremmo aspettati più vigore, Ma forse il caldo di questi giorni ha fiaccato un po’ tutti. Il ministro del fiasco, probabilmente tradito da un pessimo vino padano (perché non prova qualche buon rosso siciliano? Sono garantite sbornie meno cupe) non si è fermato a questo: ha continuato dicendo che al Nord non vuole più insegnanti meridionali. Vi ricordate quell’arbitro che ha sbancato su You Tube per essere entrato in campo ubriaco fradicio? Forse Bossi voleva superarlo in popolarità. E la cosa, se finisse qui, non sarebbe niente male: finalmente un po’ d’allegria. Ma se un ministro dice che gli insegnanti meridionali nelle scuole padane “bastonano” gli studenti padani, beh, le cose si fanno serie. Qua si sta parlando di razzismo nelle scuole. E i razzisti sono gli insegnanti meridionali. Suppongo che un 5% di imbecilli così come negli stadi, nelle discoteche, nelle strade, nelle fabbriche, ci sarà anche nelle scuole. E vi sembra impossibile che qualcuno di questi imbecilli possa sentirsi moralmente autorizzato a ricambiare (stavolta non metaforicamente) le “bastonate” ricevute dal professore meridionale “ladro di posti di lavoro e antipadano”?
Ma state tranquilli. L’inflessibile Veltroni pretenderà che il preside della scuola dove questo avverrà si dissoci dai suoi alunni. E il Presidente della Repubblica emetterà un altro severo comunicato sui processi-spettacolo. E il dialogo non si interromperà. E il Ministro delle Riforme, anche se col bicchiere in mano, quando darà vita al federalismo si ricorderà che mentre sull’Inno nazionale quacuno sussurrò qualcosa, sui professori meridionali nessuno non fiatò. E tirerà dritto.
venerdì 18 luglio 2008
mercoledì 16 luglio 2008
La Biblioteca di Lentini, un prezioso volume e il donatore nascosto
In un articolo dal titolo “Tutto bene, tranne i locali” pubblicato da“La Sicilia” il 15 luglio, il giornalista Gaetano Gimmillaro ha illustrato con grande chiarezza quali sono i motivi di orgoglio e i grandi crucci della Biblioteca Comunale di Lentini.Tra gli aspetti positivi, il giornalista annovera, ben a ragione, il beneficio che la Biblioteca trae dalle donazioni di cittadini generosi, tra cui si cita il sig. Salvatore Brancato. Poi fa cenno ad un volume preziosissimo, il più antico tra quelli in dotazione, quello dei proverbi di Re Salomone. Vista l’importanza che immediatamente prima si è attribuita al gesto della donazione e il grande valore riconosciuto al libro, mi aspettavo di leggere finalmente da qualche parte che anche questo volume fa parte del patrimonio della biblioteca grazie ad una donazione e che il donatore si chiama Salvatore Cultrera. Conosco benissimo il professor Gimmillaro, la sua impeccabile professionalità e l’estrema meticolosità con cui svolge il suo lavoro, e conosco altrettanto bene la ritrosia di Salvatore Cultrera. Sono certo, quindi, che la responsabilità della incompletezza dell’informazione non è da attribuirsi al giornalista bensì al donatore, il quale non ha mai richiesto un riconoscimento scritto e ufficiale per il suo gesto. Mi permetto questa segnalazione non solo per “dare a Cesare quel che è di Cesare”, per quanto banale possa essere considerato dal mio amico Salvatore Cultrera, ma anche per additare un altro esempio auspicabilmente da seguire.
domenica 13 luglio 2008
Angelo Brancato
La scomparsa, prematura e inaspettata, di Angelo Brancato, mi ha molto addolorato e mi ha sollecitato due riflessioni forse di qualche interesse pubblico.
Il dolore è stato doppio: per la scomparsa di un amico ma anche per la scomparsa di un uomo dolce, buono e fragile. E avverto un piccolo senso di colpa nel pensare solo ora quanto egli fosse dolce, buono e fragile. Anch’io, come quasi tutti quelli che avevano rapporti con lui, l’ho conosciuto e gli sono diventato amico nell’ambito della politica, ed è per questo che la sua “maschera” di politico caparbio, furbo e sempre perdente ha prevalso, agli occhi nostri, sulla sua più intima e complessa personalità. Anche chi ha pronunciato il discorso funebre, in chiesa, ha parlato della maschera, della sua immagine pubblica: “uomo di partito” “sempre candidato per servizio”, “furbo come una volpe”, trascurando l’uomo.
Ma se, finalmente, la smettessimo, ora che è morto, di parlare del personaggio e guardassimo all’uomo, diremmo così: “uomo dalle idee chiare e dalle forti idealità: non si allontanò mai dall’area politica da lui identificata come quella più vicina ai bisogni della parte più povera della società”; “insuperabile, incorreggibile, strepitoso rompiscatole che si candidava sempre in qualsiasi competizione pur sapendo di non essere eletto, per il gusto di rifiutare esclusioni e per sparigliare le carte a chi, di volta in volta, faceva da mazziere”; E la smetteremmo anche con quella sciocchezza della “furbizia”, massima concessione degli scolarizzati nei confronti di chi scolarizzato non è. Per quanto riguarda la dolcezza, la bontà e la fragilità, sfido chiunque a smentirmi citando un solo caso in cui sia stato colto sgarbato, scortese, tirchio, meschino, vendicativo, rabbioso, prepotente, protetto.
Prima riflessione. Angelo è stato l’ultimo dei consiglieri-amministratori di estrazione ultra popolare. L’ultimo a rappresentare, a sentirsi ed essere riconosciuto come parte di una larga fascia di gente povera, emarginata, dalla vita difficile. Di questi cittadini ce ne sono tanti a Lentini. In consiglio comunale, in giunta ed ora anche nei partiti non c’è nessuna loro espressione.
Seconda riflessione. C’è stato un tempo in cui in tutti i partiti c’era spazio, rispetto e parità di diritti anche per i militanti alla Angelo Brancato. Era la democrazia, e tendeva a dare voce a tutti e mettere a frutto il contributo di tutti. Oggi i diritti, il rispetto e lo spazio all’interno dei partiti e, più complessivamente, della politica, sono direttamente proporzionali alle potenzialità elettorali del soggetto: disponibilità economica per sostenere spese elettorali, ragguardevole dotazione di voti, bella presenza, ambizione, aggressività. È competizione tra individui, e tende a favorire la vittoria dei più forti.
Il dolore è stato doppio: per la scomparsa di un amico ma anche per la scomparsa di un uomo dolce, buono e fragile. E avverto un piccolo senso di colpa nel pensare solo ora quanto egli fosse dolce, buono e fragile. Anch’io, come quasi tutti quelli che avevano rapporti con lui, l’ho conosciuto e gli sono diventato amico nell’ambito della politica, ed è per questo che la sua “maschera” di politico caparbio, furbo e sempre perdente ha prevalso, agli occhi nostri, sulla sua più intima e complessa personalità. Anche chi ha pronunciato il discorso funebre, in chiesa, ha parlato della maschera, della sua immagine pubblica: “uomo di partito” “sempre candidato per servizio”, “furbo come una volpe”, trascurando l’uomo.
Ma se, finalmente, la smettessimo, ora che è morto, di parlare del personaggio e guardassimo all’uomo, diremmo così: “uomo dalle idee chiare e dalle forti idealità: non si allontanò mai dall’area politica da lui identificata come quella più vicina ai bisogni della parte più povera della società”; “insuperabile, incorreggibile, strepitoso rompiscatole che si candidava sempre in qualsiasi competizione pur sapendo di non essere eletto, per il gusto di rifiutare esclusioni e per sparigliare le carte a chi, di volta in volta, faceva da mazziere”; E la smetteremmo anche con quella sciocchezza della “furbizia”, massima concessione degli scolarizzati nei confronti di chi scolarizzato non è. Per quanto riguarda la dolcezza, la bontà e la fragilità, sfido chiunque a smentirmi citando un solo caso in cui sia stato colto sgarbato, scortese, tirchio, meschino, vendicativo, rabbioso, prepotente, protetto.
Prima riflessione. Angelo è stato l’ultimo dei consiglieri-amministratori di estrazione ultra popolare. L’ultimo a rappresentare, a sentirsi ed essere riconosciuto come parte di una larga fascia di gente povera, emarginata, dalla vita difficile. Di questi cittadini ce ne sono tanti a Lentini. In consiglio comunale, in giunta ed ora anche nei partiti non c’è nessuna loro espressione.
Seconda riflessione. C’è stato un tempo in cui in tutti i partiti c’era spazio, rispetto e parità di diritti anche per i militanti alla Angelo Brancato. Era la democrazia, e tendeva a dare voce a tutti e mettere a frutto il contributo di tutti. Oggi i diritti, il rispetto e lo spazio all’interno dei partiti e, più complessivamente, della politica, sono direttamente proporzionali alle potenzialità elettorali del soggetto: disponibilità economica per sostenere spese elettorali, ragguardevole dotazione di voti, bella presenza, ambizione, aggressività. È competizione tra individui, e tende a favorire la vittoria dei più forti.
mercoledì 9 luglio 2008
Iacopo e Camilleri portano Lentini in prima pagina.
Il 7 luglio un articolo di Repubblica, con inizio in prima pagine e poi in tutto un paginone interno, è apparso un articolo dal titolo "L'amore raccontato dai poeti della mia Sicilia", contenente una notizia bellissima: la Mondadori ha edito tre volumi ai poeti della Scuola Siciliana, e di questi volumi, il primo è interamente dedicato a Giacomo da Lentini (“e non poteva che essere dedicato a lui” precisa l’autore dell’articolo).
Eh già, l’autore! Dimenticavo di dirlo: si chiama Andrea Camilleri. Qualcuno lo conosce?
I libri scritti sul Notaro e le pubblicazioni della sua poesia non si contano (un pregevole testo del nostro concittadino Gianni Cannone ha visto la luce solo pochi mesi fa). Ma quest’opera (da Camilleri definita "grandiosa") pare destinata a conquistare il primo posto per importanza scientifica e per potenzialità divulgative. Il protopoeta lentinese da secoli è letto, studiato, apprezzato in ogni latitudine, non solo per le sue poesie ma anche per "la strepitosa invenzione di quella forma metrica perfetta che è il sonetto" (sono ancora parole di Camilleri) e per essere stato citato da Dante nella sua "De vulgari eloquentia" come il primo poeta della Scuola Siciliana, a sua volta fondamento della lingua volgare, l'italiano delle origini. Ma non possiamo fare a meno di commuoverci e provare anche noi un fremito di orgoglio se leggiamo ora, nel 2008, circa otto secoli dopo il suo passaggio su questa terra, che Giacomo è considerato il fondatore della lirica italiana (Roberto Antonelli, curatore del libro).
In quest’epoca tutta incentrata sulla comunicazione, un articolo firmato da Andrea Camilleri e pubblicato su un giornale di larghissima diffusione avrà un effetto dirompente: l’interesse e la curiosità attorno a Giacomo da Lentini crescerà enormemente.
Anche la sua città natale, tra l’altro mai disgiunta dal suo nome, entrerà, volente o nolente, sotto la luce dei riflettori. E a questo punto è d’obbligo la domanda: cosa intende fare questa città? Intende riconoscersi e farsi riconoscere come la città di Iacopo e assumersi certe responsabilità oppure no? Per chiarire il seno della mia domanda, voglio dire che qua non si tratta più solo di una questione riguardante la letteratura, la poesia, gli studiosi, le scuole e neppure una questione di orgoglio campanilistico (e i due aspetti, comunque, non mi sembrano di poco conto). Qui si tratta di decidere se “diventare” città di Iacopo, cioè città in cui un turista che venga perché qui nacque Iacopo non rimanga deluso come non lo rimane chi visita Recanati perché città natale di Leopardi (e sono tanti, quelli che visitano Recanati). Si tratta di diventare città in cui in ogni via, in ogni piazza, nella Biblioteca comunale, nelle librerie abbondino le tracce di Iacopo. Questa di cui fino ad ora ho parlato come di un onere, in realtà si rivelerebbe per Lentini non solo un onore, ma anche una straordinaria e inaspettata possibilità di crescita culturale ed economica. Un gruppo di persone e di associazioni è già al lavoro per organizzare un primo convegno su Iacopo con la presenza di Camilleri, Antonelli, Silvano Nigro, ecc., alla fine di ottobre, Il livello del Convegno e le prospettive che potrebbe aprire non dipenderanno solo dagli organizzatori, ma anche dal ruolo che il Comune, la Regione, la Provincia e le scuole vorranno giocare.
(publicato su "Murganzio")
Eh già, l’autore! Dimenticavo di dirlo: si chiama Andrea Camilleri. Qualcuno lo conosce?
I libri scritti sul Notaro e le pubblicazioni della sua poesia non si contano (un pregevole testo del nostro concittadino Gianni Cannone ha visto la luce solo pochi mesi fa). Ma quest’opera (da Camilleri definita "grandiosa") pare destinata a conquistare il primo posto per importanza scientifica e per potenzialità divulgative. Il protopoeta lentinese da secoli è letto, studiato, apprezzato in ogni latitudine, non solo per le sue poesie ma anche per "la strepitosa invenzione di quella forma metrica perfetta che è il sonetto" (sono ancora parole di Camilleri) e per essere stato citato da Dante nella sua "De vulgari eloquentia" come il primo poeta della Scuola Siciliana, a sua volta fondamento della lingua volgare, l'italiano delle origini. Ma non possiamo fare a meno di commuoverci e provare anche noi un fremito di orgoglio se leggiamo ora, nel 2008, circa otto secoli dopo il suo passaggio su questa terra, che Giacomo è considerato il fondatore della lirica italiana (Roberto Antonelli, curatore del libro).
In quest’epoca tutta incentrata sulla comunicazione, un articolo firmato da Andrea Camilleri e pubblicato su un giornale di larghissima diffusione avrà un effetto dirompente: l’interesse e la curiosità attorno a Giacomo da Lentini crescerà enormemente.
Anche la sua città natale, tra l’altro mai disgiunta dal suo nome, entrerà, volente o nolente, sotto la luce dei riflettori. E a questo punto è d’obbligo la domanda: cosa intende fare questa città? Intende riconoscersi e farsi riconoscere come la città di Iacopo e assumersi certe responsabilità oppure no? Per chiarire il seno della mia domanda, voglio dire che qua non si tratta più solo di una questione riguardante la letteratura, la poesia, gli studiosi, le scuole e neppure una questione di orgoglio campanilistico (e i due aspetti, comunque, non mi sembrano di poco conto). Qui si tratta di decidere se “diventare” città di Iacopo, cioè città in cui un turista che venga perché qui nacque Iacopo non rimanga deluso come non lo rimane chi visita Recanati perché città natale di Leopardi (e sono tanti, quelli che visitano Recanati). Si tratta di diventare città in cui in ogni via, in ogni piazza, nella Biblioteca comunale, nelle librerie abbondino le tracce di Iacopo. Questa di cui fino ad ora ho parlato come di un onere, in realtà si rivelerebbe per Lentini non solo un onore, ma anche una straordinaria e inaspettata possibilità di crescita culturale ed economica. Un gruppo di persone e di associazioni è già al lavoro per organizzare un primo convegno su Iacopo con la presenza di Camilleri, Antonelli, Silvano Nigro, ecc., alla fine di ottobre, Il livello del Convegno e le prospettive che potrebbe aprire non dipenderanno solo dagli organizzatori, ma anche dal ruolo che il Comune, la Regione, la Provincia e le scuole vorranno giocare.
(publicato su "Murganzio")
Una dolcissima fiaba e uno splendido video per ricostruire l’Antico Lavatoio
Recentemente ho scritto, desolato, del silenzio caduto sull’Antico Lavatoio. Mi è giunta subito la più deliziosa delle smentite. Se è vero che ne parlano poco e male amministratori e politici (a volte sconsolatamente lontani dalla città), ne parla, tanto e bene, il mondo della scuola. Un paio di mesi fa la questione dell’Auditorium fu uno dei temi centrali in un convegno organizzato dal Liceo Classico Gorgia insieme alla Fondazione Pisano e al Comitato Antico Lavatoio; adesso c’è in circolazione uno splendido, incantevole, commovente piccolo capolavoro: un video realizzato e interpretato da alunni di quinta elementare e prima media del Terzo Istituto Scolastico Comprensivo (ovviamente con l’aiuto di alcuni insegnanti ed animatori sensibili e bravissimi) su una fiaba scritta da loro stessi. Una fiaba che inizia raccontando fatti veramente accaduti. Questi bambini avevano lavorato per mesi alla preparazione di una recita da portare in scena proprio all’auditorium (come ogni anno, come tutte le scuole). Ma qualche giorno prima della data tanto attesa, un triste lunedì mattina, andando a scuola, che è proprio lì di fronte, si accorsero che quello che per un giorno avrebbe dovuto essere il “loro” teatro, era andato in fumo. E con esso andava in fumo anche la recita che li avrebbe visti protagonisti davanti a compagni, amichetti, genitori, insegnanti. Da qui prende slancio il film che ha per titolo “I mostri di Lentini” e che mostra quanto bravi siano questi ragazzi come autori, come attori e come cittadini. Sissignore, come cittadini, perché ciò che emerge splendidamente dall’opera è la voglia di reagire davanti ad un avvenimento che ha privato un’intera comunità del prezioso bene di uno spazio comune e di un edificio storico. Insomma, una bella lezione anche per molti adulti immediatamente rassegnatisi alla resa davanti all’incendio ed ai danni da esso provocati. Mi piacerebbe parlarne ancora a lungo, ma un film che si rispetti non va raccontato, ma visto. Penso sarà possibile proiettarlo per un grande pubblico quest’estate alla Villa Gorgia o all’Arena Santa Croce (se sarà disponibile prima che finisca l’estate). Complimenti e molte grazie, dunque ai piccoli interpreti ed autori Simone Costanzo, Andrea Deus-scit, Tecla Fazio, Federica Ferro, Salvo Forte, Stefano La Ferla, Arianna Mangiameli, Isabella Marino, Luca Samo, Irene Scalia, Simone Scalia, Martina Sortino e agli animatori del progetto, Mario Bonica, Concetta Rovere e Maria Rosa Conti. Un plauso particolare va rivolto a Mario Bonica, che ha curato la regia, il montaggio e produzione del video con risultati a dir poco eccezionali e all’insegnante Mari Rosa Conti , che si è cimentata anche come attrice, assieme agli alunni, con grande senso del gioco e altrettanta bravura.
(Pubblicato su "Murganzio")
(Pubblicato su "Murganzio")
"Magia sulle ali del Cigno" un altro film lentinese alla Rassegna di Motta Camastra
Giovedì sera, A Motta Camastra, alla Rassegna Internazionale del Documentario naturalistico verrà proiettato un altro video realizzato da lentinesi. Il titolo è “Magia sulle ali del cigno” e la regia è di Alfredo Martines. La produzione è di Infinity Media, la sceneggiatura di Sergio Militti..
Tratta di un duplice viaggio nello spazio e nel tempo dentro Catania (monumenti, chiese, edifici storici, barocco, mercato, pescheria, ecc), nel suo territorio (Etna, S. Giovanni Li Cuti, Ognuna, Plaia). Il tempo è quello che a ritroso ci porta fino agli anni in cui visse Vincenzo Bellini. Ed è il suo fantasma, o meglio, una sua statua che prende vita, sentimenti e voce, a farci da guida, accompagnando il percorso con le note della sua musica immortale. L’animazione della statua del “Cigno” è una dimostrazione di bravura straordinaria da parte del gruppo (ripeto, tutto lentinese) che ha realizzato il film. Alla rassegna è presentato fuori concorso. Sarebbe auspicabile poterlo proiettare, prima o poi, anche a Lentini
Tratta di un duplice viaggio nello spazio e nel tempo dentro Catania (monumenti, chiese, edifici storici, barocco, mercato, pescheria, ecc), nel suo territorio (Etna, S. Giovanni Li Cuti, Ognuna, Plaia). Il tempo è quello che a ritroso ci porta fino agli anni in cui visse Vincenzo Bellini. Ed è il suo fantasma, o meglio, una sua statua che prende vita, sentimenti e voce, a farci da guida, accompagnando il percorso con le note della sua musica immortale. L’animazione della statua del “Cigno” è una dimostrazione di bravura straordinaria da parte del gruppo (ripeto, tutto lentinese) che ha realizzato il film. Alla rassegna è presentato fuori concorso. Sarebbe auspicabile poterlo proiettare, prima o poi, anche a Lentini
martedì 8 luglio 2008
Leontinoi - Hic sunt leones, video lentinese alla Rassegna del Documentario
Mercoledì a Motta Camastra nella secondo serata della Rassegna Internazionale del Documentario Naturalistico, assieme a "I mostri di Lentini" sarà proiettato il video "Lontinoi - hic sunt leones" prodotto da Infinity Media e diretto da Alfredo Martines.
Ecco la scheda:
Titolo: Leontinoi – Hic sunt leones
Produzione: Infinity Media
Anno di produzione: 2001
Sceneggiatura e fotografia: Sergio Militti
Musica originale: Carlo Cattano
Regia e montaggio: Alfredo Martines
Sinossi:
Viaggio nella campagna, nel lago, nelle aree archeologiche, tra le chiese e gli edifici storici dei comuni di Lentini, Carlentini e Francofonte, il triangolo dell’agrumeto
Ecco la scheda:
Titolo: Leontinoi – Hic sunt leones
Produzione: Infinity Media
Anno di produzione: 2001
Sceneggiatura e fotografia: Sergio Militti
Musica originale: Carlo Cattano
Regia e montaggio: Alfredo Martines
Sinossi:
Viaggio nella campagna, nel lago, nelle aree archeologiche, tra le chiese e gli edifici storici dei comuni di Lentini, Carlentini e Francofonte, il triangolo dell’agrumeto
Un video di bambini lentinesi alla rassegna del Documentario
Mercoledì 9 luglio, a Motta Camastra, nella Rassegna Internazionale del Documentario Naturalistico, fuori concorso
Titolo: I Mostri di Lentini
Produzione: Terzo Istituto Scolastico Comprensivo – Lentini. Progetto Legalità Scuola.
Storia scritta, interpretata e realizzata da
Valentina Camerata, Salvo Castiglia, Manuel Catinella, Simone Costanzo, Andrea Deus-scit, Tecla Fazio, Federica Ferro, Salvo Forte, Stefano La Ferla, Arianna Mangiameli, Isabella Marino, Luca Samo, Irene Scalia, Simone Scalia, Martina Sortino.
Animatori: Mario Bonica, Concetta Rovere, Maria Rosa Conti.
Regia, montaggio e produzione video: Mario Bonica.
Data produzione: Marzo 2008
Sinossi
Una favola scritta, interpretata e realizzata da alunni di quinta elementare e prima media del Terzo Istituto Scolastico Comprensivo di Lentini.
Una favola nata dal dolore, dall’indignazione e dalla delusione dei bambini quando, tornando a scuola un lunedì dell’estate scorsa, si accorsero che l’Auditorium comunale ubicato di fronte al loro istituto era stato distrutto da un incendio. Essi, nei giorni seguenti, avrebbero dovuto portare in scena, in quell’auditorium, un lavoro teatrale a lungo preparato con i loro insegnanti, così come ogni anno facevano tutti gli alunni di Lentini. La recita, ovviamente, non si tenne più.
Da qui il bisogno di immaginare che da qualche parte esiste la giustizia (in questo caso sotto forma di una matita magica) in grado di rifare l’edificio com’era prima dell’incendo, anzi ancora più bello, ed anche di trasformare i mostri che hanno bruciato l’auditorium in ragazzi normali e sereni.
Titolo: I Mostri di Lentini
Produzione: Terzo Istituto Scolastico Comprensivo – Lentini. Progetto Legalità Scuola.
Storia scritta, interpretata e realizzata da
Valentina Camerata, Salvo Castiglia, Manuel Catinella, Simone Costanzo, Andrea Deus-scit, Tecla Fazio, Federica Ferro, Salvo Forte, Stefano La Ferla, Arianna Mangiameli, Isabella Marino, Luca Samo, Irene Scalia, Simone Scalia, Martina Sortino.
Animatori: Mario Bonica, Concetta Rovere, Maria Rosa Conti.
Regia, montaggio e produzione video: Mario Bonica.
Data produzione: Marzo 2008
Sinossi
Una favola scritta, interpretata e realizzata da alunni di quinta elementare e prima media del Terzo Istituto Scolastico Comprensivo di Lentini.
Una favola nata dal dolore, dall’indignazione e dalla delusione dei bambini quando, tornando a scuola un lunedì dell’estate scorsa, si accorsero che l’Auditorium comunale ubicato di fronte al loro istituto era stato distrutto da un incendio. Essi, nei giorni seguenti, avrebbero dovuto portare in scena, in quell’auditorium, un lavoro teatrale a lungo preparato con i loro insegnanti, così come ogni anno facevano tutti gli alunni di Lentini. La recita, ovviamente, non si tenne più.
Da qui il bisogno di immaginare che da qualche parte esiste la giustizia (in questo caso sotto forma di una matita magica) in grado di rifare l’edificio com’era prima dell’incendo, anzi ancora più bello, ed anche di trasformare i mostri che hanno bruciato l’auditorium in ragazzi normali e sereni.
lunedì 7 luglio 2008
giovedì 3 luglio 2008
Betancourt ingrata
Anche Silvio Belusconi (pardon, il Premier Silvio Berlusconi) ha rilasciato una commossa e commovente dichiarazione dopo la liberazione di Ingrid Betancourt. Ha detto (quasi esclusivamente) “…una liberazione per cui l’Italia si è battuta concretamente”. Come tutti sanno, il premier Silvio Berlusconi non avrebbe pronunciato mai quelle parole se l’Italia si fosse battuta concretamente nel periodo (o “anche” nel periodo) in cui a capo del governo c’era Prodi, è ovvio, quindi dedurre che LUI si è battuto concretamente per la liberazione. E siccome lui non dice mai bugie, spacconate, smargiassate, bisogna dedurre che è proprio vero: Silvio Berlusconi si è battuto concretamente. E siccome “concretamente” vuol dire “con risultati concreti” e qua l’unico risultato è la liberazione stessa, è chiaro che la liberazione della signora Betancourt è dovuta, almeno in parte (e certamente, conoscendo il tipo, non in piccola parte) al Berlusconi medesimo. Ebbene, vi sembra giusto che l’ex prigioniera non lo abbia ringraziato pubblicamente appena liberata?
Mi sa che quella, in fondo in fondo, anche le è un magistrato.
Mi sa che quella, in fondo in fondo, anche le è un magistrato.
Ingrid come Mandela
La liberazione di Ingrid Betancourt mette fine ad uno dei più grandi orrori dell’umanità in epoca contemporanea. Una donna rapita e tenuta in prigionia nella foresta per sei anni!. Purtroppo abbiamo avuto notizie ancora più raccapriccianti, anche recentemente, ma si trattava di pazzi che seguivano istinti oscuri, animaleschi, inspiegabili da loro stessi. In questo caso si è trattato di un gruppo di persone fredde, lucide, raziocinanti, a loro dire portatori di idee utili alla società e di valori. Ed hanno rubato non solo i sei ultimi anni, ma una buona parte degli anni che ancora vivrà, alla loro vittima. Le hanno inflitto sofferenze fisiche e morali, l’hanno tenuta lontano dai familiari, dagli amici, dai compagni di partito, ma anche da tutte quelle cose piccole e grandi che costituiscono la vita. Le hanno lasciato solo la vita biologica (ma chissà quanto logorata) e la risicatissima possibilità matematica (che per fortuna si è verificata) di essere liberata da altri esseri umani. Con terribile angoscia dobbiamo constatare che quei mostri sono stati generati da un’ideologia, come altre volte nel passato. C’è un modo di dire che in qualche caso suona beffardo: “tutto ciò che non uccide rafforza”. Io non riesco assolutamente ad immaginare sotto quale profilo oggi Ingrid Betancourt possa essere più forte di prima. Per fortuna c’è un caso che e aiuta tutti ad avere speranza: quello di Nelson Mandela, che fu tenuto nelle carceri razziste del Sudafrica per circa trent’anni e che nei giorni scorsi è stato festeggiato da tutto il mondo per i suoi novant’anni, diventato, dopo la prigionia, presidente del suo Paese. Possa Ingrid proseguire la sua vita come Nelson Mandela. Non sarebbe un risarcimento per lei, ma per l’intera umanità.
lunedì 30 giugno 2008
In Italia non ci sono solo maroni, leghisti e bocche cucite
L'autore di questo intervento si chiama Carlo Dantoni ed è parroco di una chiesa di Siracusa. Lo leggo sempre su un gruppo internet e per me è un faro. Basta uno come lui per sconfiggere mille stupidi maroni, anche se ministri. le leggi dei maroni sono terribili, fanno danni, ma normalmente vengono cancellate dagli uomini. Il pensiero, l'esempio e l'amore che insegna Carlo costruiscono vita, anima, società.
Oggi è arrivata nella mia parrocchia Maria, incinta all'ottavo mese. Partita dal Ghana, come Dio volle arrivò a Napoli dove esiste una potente centrale di smistamento di immigrati che lavora efficacemente al grido: chinare il capo e obbedire! Ma non mi interessa questo adesso, così come non mi interessa che anche delle adoratrici del Signore le hanno chiuso la porta in faccia. Fra un mese da noi è natale !!!!!!!!!!!! Preparerete i pacchi-dono? Chi di voi ha figli piccoli, sa quanto costa un bambino e in particolare un neonato. Me ne devo andare ai semafori? No, non voglio rubare il posto di lavoro a dei poveracci. E allora ? Porterete il corredino (anche usato), pannolini (nuovi però...), latte per neonati, sigarette per il padre spirituale e che cavolo ne so di altre cose ? Presumo che anche Maria dovrà essere corredata: donne! E che niente vi è rimasto di quanto vi compraste prima del vostro ultimo parto? No, non lo chiameremo Gesù. Quello nasce il 25 dicembre (però è finto anche se fa tanta atmosfera). Questo qua ancora prima di nascere fa già puzza di negro. Non è frutto di amore (come il 95% dei suoi colleghi che il mare ci vomita addosso. Sembra anzi che molti siano figli di brava gente e ottimi poliziotti della Libia). Sento dire che forse non sarà aiutato a nascere da una ostetrica. In compenso in sala parto ci saranno un paio di carabininieri che, sospettosi, assisteranno alle dilatazioni intuendo il probabile arrivo dell'ennesimo clandestino (le inventano tutte pur di entrare in Italia!). Meno male che i feti non capiscono niente, sennò ci sarebbe da temere che questo qua si rifiuterebbe di venire alla luce:quale luce? Ma tra un mese qui sarà natale!!!!! E vuoi vedere che mister Gesù vorrà anticipare i tempi del suo natale e quest'anno farne un tutt'uno a Bosco Minniti? Quello è capace... e quando poi a dicembre arriverà il natale ufficiale tutti canteranno ancora "tu scendi dalle stelle..." senza aver capito che di questi tempi lui scende dai barconi, ben nascosto nelle pance di donne stuprate. Carlo
Oggi è arrivata nella mia parrocchia Maria, incinta all'ottavo mese. Partita dal Ghana, come Dio volle arrivò a Napoli dove esiste una potente centrale di smistamento di immigrati che lavora efficacemente al grido: chinare il capo e obbedire! Ma non mi interessa questo adesso, così come non mi interessa che anche delle adoratrici del Signore le hanno chiuso la porta in faccia. Fra un mese da noi è natale !!!!!!!!!!!! Preparerete i pacchi-dono? Chi di voi ha figli piccoli, sa quanto costa un bambino e in particolare un neonato. Me ne devo andare ai semafori? No, non voglio rubare il posto di lavoro a dei poveracci. E allora ? Porterete il corredino (anche usato), pannolini (nuovi però...), latte per neonati, sigarette per il padre spirituale e che cavolo ne so di altre cose ? Presumo che anche Maria dovrà essere corredata: donne! E che niente vi è rimasto di quanto vi compraste prima del vostro ultimo parto? No, non lo chiameremo Gesù. Quello nasce il 25 dicembre (però è finto anche se fa tanta atmosfera). Questo qua ancora prima di nascere fa già puzza di negro. Non è frutto di amore (come il 95% dei suoi colleghi che il mare ci vomita addosso. Sembra anzi che molti siano figli di brava gente e ottimi poliziotti della Libia). Sento dire che forse non sarà aiutato a nascere da una ostetrica. In compenso in sala parto ci saranno un paio di carabininieri che, sospettosi, assisteranno alle dilatazioni intuendo il probabile arrivo dell'ennesimo clandestino (le inventano tutte pur di entrare in Italia!). Meno male che i feti non capiscono niente, sennò ci sarebbe da temere che questo qua si rifiuterebbe di venire alla luce:quale luce? Ma tra un mese qui sarà natale!!!!! E vuoi vedere che mister Gesù vorrà anticipare i tempi del suo natale e quest'anno farne un tutt'uno a Bosco Minniti? Quello è capace... e quando poi a dicembre arriverà il natale ufficiale tutti canteranno ancora "tu scendi dalle stelle..." senza aver capito che di questi tempi lui scende dai barconi, ben nascosto nelle pance di donne stuprate. Carlo
sabato 28 giugno 2008
Razzismo, stupidità e silenzio
In un eventuale Festival della Stupidità, il ministro Maroni, col suo capolavoro “Impronte digitali a piccoli rom” vincerebbe i primi tre premi con ampio distacco sugli altri concorrenti.
Evidentemente, la giuria non terrebbe conto del carattere razzistico del progetto leghista, per le stesse ragioni per cui non ne parlo io: troppo osceno, gratuitamente cattivo, fuori dal tempo e fuori dalla cultura occidentale. Questo aspetto non merita neanche di essere commentato. Va solo rifiutato e, davanti ad una improbabile insistenza, combattuto con tutti i mezzi e senza tregua.
Ma se affrontiamo il tema solo dal quoziente di stupidità, allora se ne può parlare.
Il primo premio lo vincerebbe perché, qualora il piano andasse in porto, il costo organizzativo, “militare” ed economico sarebbe così alto da non potere essere sopportato dal suo stesso governo.
Il secondo premio lo vincerebbe perché il progetto non serve a niente: nel momento in cui le forze dell’ordine hanno davanti una persona, in pochi secondi riescono a stabilire se quella persona è in regola o clandestina (io considero osceno, stupido e razzista anche questo concetto di clandestinità applicato ad esseri umani su un qualsiasi angolo del pianeta Terra, ma questo è un altro discorso), una volta rilevato che il soggetto è in regola, le impronte non hanno ragione di essere prese, in caso contrario, lo stesso Maroni ha fatto recentemente delle leggi per allontanare il soggetto dall’Italia.
Il terzo premio lo vincerebbe perché, di fronte alle preoccupazioni di deriva razzista che vanno manifestandosi in Italia e all’Estero (Amnesty International, l’UE, ecc), egli continua a rispondere con un “Io vado avanti” che assomiglia troppo al celebre “Me ne frego” di settanta-ottant’anni fa e che è una di quelle frasi prive di significato che talvolta, quando non si sa rispondere alle obiezioni, i bambini pronunciano per guadagnare tempo e riordinare le idee.Il Papa e i cattolici militanti nei partiti che compongono la maggioranza, invece parteciperanno al “Premio per l’atto eroico ed educativo dell’anno” per la loro scelta dell’astensione da ogni presa di posizione. E che volete: tutti teniamo famiglia, pardon, tutti abbiamo scuole private da farci finanziare dallo Stato. Meglio non inimicarseli Maroni, la Lega e i padani che in questo Stato hanno il loro peso.
Evidentemente, la giuria non terrebbe conto del carattere razzistico del progetto leghista, per le stesse ragioni per cui non ne parlo io: troppo osceno, gratuitamente cattivo, fuori dal tempo e fuori dalla cultura occidentale. Questo aspetto non merita neanche di essere commentato. Va solo rifiutato e, davanti ad una improbabile insistenza, combattuto con tutti i mezzi e senza tregua.
Ma se affrontiamo il tema solo dal quoziente di stupidità, allora se ne può parlare.
Il primo premio lo vincerebbe perché, qualora il piano andasse in porto, il costo organizzativo, “militare” ed economico sarebbe così alto da non potere essere sopportato dal suo stesso governo.
Il secondo premio lo vincerebbe perché il progetto non serve a niente: nel momento in cui le forze dell’ordine hanno davanti una persona, in pochi secondi riescono a stabilire se quella persona è in regola o clandestina (io considero osceno, stupido e razzista anche questo concetto di clandestinità applicato ad esseri umani su un qualsiasi angolo del pianeta Terra, ma questo è un altro discorso), una volta rilevato che il soggetto è in regola, le impronte non hanno ragione di essere prese, in caso contrario, lo stesso Maroni ha fatto recentemente delle leggi per allontanare il soggetto dall’Italia.
Il terzo premio lo vincerebbe perché, di fronte alle preoccupazioni di deriva razzista che vanno manifestandosi in Italia e all’Estero (Amnesty International, l’UE, ecc), egli continua a rispondere con un “Io vado avanti” che assomiglia troppo al celebre “Me ne frego” di settanta-ottant’anni fa e che è una di quelle frasi prive di significato che talvolta, quando non si sa rispondere alle obiezioni, i bambini pronunciano per guadagnare tempo e riordinare le idee.Il Papa e i cattolici militanti nei partiti che compongono la maggioranza, invece parteciperanno al “Premio per l’atto eroico ed educativo dell’anno” per la loro scelta dell’astensione da ogni presa di posizione. E che volete: tutti teniamo famiglia, pardon, tutti abbiamo scuole private da farci finanziare dallo Stato. Meglio non inimicarseli Maroni, la Lega e i padani che in questo Stato hanno il loro peso.
venerdì 27 giugno 2008
L’Archivio Diaristico e il Premio “La Lanterna bianca”
A Motta Camastra ha sede un’associazione preziosissima per decine di famiglie per le sue finalità solidaristiche e umanitarie, che onora il territorio e inorgoglisce i suoi abitanti.
Essa è sorta nel nome di Filippo Maria Tripolone, tragicamente scomparso nel 1995, per dare sostegno e solidarietà alle famiglie in difficoltà per la presenza di persone con disagio mentale al loro interno.
Tra le varie iniziative dell’Associazione ce n’è una assolutamente unica in Italia: il Premio Annuale per il Diario. Una iniziativa delicata ed originale condotta con grande vigore e indicibili sacrifici dalla signora Ada De Cola, mamma di Filippo.
Il premio è giunto alla VII edizione ed i diari pervenuti negli anni (circa 200) sono raccolti e conservati in un Archivio Diaristico che dall’anno scorso è dato in dono al Comune di Motta Camastra.
Il prossimo mese di agosto, nel Teatro Comunale di Giardini Naxos, avrà luogo la cerimonia di consegna dei premi relativi all’edizione 2008.
www.lanternabianca.com e-mail: info@lanternabianca.com
(pubblicato su "Al Qantar")
Essa è sorta nel nome di Filippo Maria Tripolone, tragicamente scomparso nel 1995, per dare sostegno e solidarietà alle famiglie in difficoltà per la presenza di persone con disagio mentale al loro interno.
Tra le varie iniziative dell’Associazione ce n’è una assolutamente unica in Italia: il Premio Annuale per il Diario. Una iniziativa delicata ed originale condotta con grande vigore e indicibili sacrifici dalla signora Ada De Cola, mamma di Filippo.
Il premio è giunto alla VII edizione ed i diari pervenuti negli anni (circa 200) sono raccolti e conservati in un Archivio Diaristico che dall’anno scorso è dato in dono al Comune di Motta Camastra.
Il prossimo mese di agosto, nel Teatro Comunale di Giardini Naxos, avrà luogo la cerimonia di consegna dei premi relativi all’edizione 2008.
www.lanternabianca.com e-mail: info@lanternabianca.com
(pubblicato su "Al Qantar")
Simposio internazionale di scultura
Motta Camastra è un piccolo paese collocato a metà della stupenda Valle dell’Alcantara. È circondata dal fiume, da boschi e da montagne e sul suo cielo non è raro scorgere il lento volo dell’Aquila Bonelli. Sembra una raffinata e timida donzella medievale affacciata al balcone, poggiata com’è sopra un colle che domina la valle.
Ai suoi piedi un dono degli dei: le Gole dell’Alcantara. Questa è una delle parti più strette del fiume, dove esso si ingola, per circa 400 metri in uno spettacolare e impressionante canyon. Ha una larghezza media di 5 metri (ma in alcuni punti addirittura inferiore ai 2 metri) e pareti di prismi basaltici che in alcuni punti raggiungono altezze di circa 50 metri. Un fenomeno naturale che creato pareti come giganteschi bassorilievi scolpiti nella roccia: ciclopiche corde di pietra lavica allungate e affastellate, ora dritte, ora arcuate, ora orizzontali, ora inclinate… colossali opere d’arte della natura donate alla riservata e fascinosa Motta Camastra.
A sua volta la cittadina, all’interno di un progetto di promozione e valorizzazione della Valle Alcantara, rendendore omaggio alla natura ha istituito un Concorso Internazionale di Scultura, perché altre pietre, benché più piccole, siano manipolate, ricevano e conservino i segni dell’arte, per continuare a ricordare al mondo la gratitudine dei mottesi per il dono delle Gole.
Dal 2 all’8 di giugno quindici artisti provenienti da tutto il mondo realizzeranno le loro opere a Fondaco Motta, la frazione di Motta Camastra situata proprio sulla sponda del fiume Alcantara.
La sera dell’ultimo giorno le opere saranno premiate nella piazza di un altro paesino della Valle, Graniti. Un modo elegante e generoso di ricordare che benché le Gole ricadano in territorio Mottese, la loro bellezza appartiene all’intera valle. Ma anche l’occasione per rendere omaggio ad un grande scultore del luogo, Giuseppe Mazzullo, nato proprio a Graniti e scomparso nel 1988, reso immortale, oltre che dalle sue opere, anche da una Fondazione che prende il suo nome.
Pubblicato su “Al Quantar”
Ai suoi piedi un dono degli dei: le Gole dell’Alcantara. Questa è una delle parti più strette del fiume, dove esso si ingola, per circa 400 metri in uno spettacolare e impressionante canyon. Ha una larghezza media di 5 metri (ma in alcuni punti addirittura inferiore ai 2 metri) e pareti di prismi basaltici che in alcuni punti raggiungono altezze di circa 50 metri. Un fenomeno naturale che creato pareti come giganteschi bassorilievi scolpiti nella roccia: ciclopiche corde di pietra lavica allungate e affastellate, ora dritte, ora arcuate, ora orizzontali, ora inclinate… colossali opere d’arte della natura donate alla riservata e fascinosa Motta Camastra.
A sua volta la cittadina, all’interno di un progetto di promozione e valorizzazione della Valle Alcantara, rendendore omaggio alla natura ha istituito un Concorso Internazionale di Scultura, perché altre pietre, benché più piccole, siano manipolate, ricevano e conservino i segni dell’arte, per continuare a ricordare al mondo la gratitudine dei mottesi per il dono delle Gole.
Dal 2 all’8 di giugno quindici artisti provenienti da tutto il mondo realizzeranno le loro opere a Fondaco Motta, la frazione di Motta Camastra situata proprio sulla sponda del fiume Alcantara.
La sera dell’ultimo giorno le opere saranno premiate nella piazza di un altro paesino della Valle, Graniti. Un modo elegante e generoso di ricordare che benché le Gole ricadano in territorio Mottese, la loro bellezza appartiene all’intera valle. Ma anche l’occasione per rendere omaggio ad un grande scultore del luogo, Giuseppe Mazzullo, nato proprio a Graniti e scomparso nel 1988, reso immortale, oltre che dalle sue opere, anche da una Fondazione che prende il suo nome.
Pubblicato su “Al Quantar”
giovedì 26 giugno 2008
Cade il silenzio sull'Antico Lavatoio
Quasi un anno fa un incendio distrusse l’Auditorium Comunale di Lentini, l’Antico Lavatoio
Era già molto vecchio, obsoleto, con le sedie sporche e in gran parte rotte, esposto a continui furti. Ma c’era.
Ancora oggi non si sa quali furono le cause dell’incendio e neppure se, nell’eventualità di una ricostruzione, ci si dovrà attenere a riprodurre l’esistente o ci sarà la possibilità di approfittarne per una diversa ripartizione interne, non si sa neanche se da qualche parte, a Palermo, Roma, o Bruxelles, sarà possibile accedere a finanziamenti. Insomma, non si sa niente.
Forse è noioso ripetere come una comunità per crescere culturalmente abbia bisogno delle occasioni di incontro e di confronto. Forse è inutile ricordare che grazie alla disponibilità dell’ex lavatoio, pur così vecchio e inadeguato, per oltre un ventennio si sono tenute decine e decine di iniziative culturali, politiche, artistiche, che senza di esso non avrebbero mai visto la luce. Ma credo possa avere un significato ricordare che in questa città, nel dopoguerra, ci sono state quattro manifestazioni seriali, che hanno avuto ed hanno una forte proiezione esterna. La prima, meritatamente indimenticata e che ha portato un prestigio illimitato alla città, fu il Premio Lentini, anche se si svolse, negli anni ’60, solo per tre edizioni; la seconda, anche questa molto prestigiosa e che ormai ha superato il ventennio di vita e le 13 edizioni, è il premio di poesia dialettale organizzato dal Kiwanis Club e intestato a Ciccio Carrà Tringali; la terza è il Premio “Pisano Baudo” organizzato dall’Archeo Club, a partire dal 1991 e giunto alla diciassettesima edizione; la quarta è quella del San Valentino in Poesia, ormai all’undicesima edizione.
Quattro iniziative di questo genere in una città tutto sommato molto vivace dal punto di vista artistico e culturale forse sono poche, ma esse sono nate grazie ad una condizione essenziale: la disponibilità di un luogo che sia prevedibilmente disponibile anche per le edizioni future e che sia considerato “pubblico” sia da chi organizza che dalla cittadinanza. Chiunque dev’essere autorizzato ad entrare. Questi requisiti li avevano sia la Biblioteca Comunale di via Arrigo Testa, da cui ebbe l’avvio il Premio Lentini, sia l’ex lavatoio comunale, che permise la nascita del Premio Carrà Tringali, del premio “Pisano Baudo” e del San Valentino in poesia.
Da quasi un anno, in una città di venticinquemila abitanti, non c’è nessuna struttura con queste caratteristiche.
Il Comune oggi è in grado di mettere a disposizione della collettività solo una saletta di una quarantina di posti, inaccessibile alle persone disabili, raggiungibile con difficoltà per gli anziani e per di più negli stessi locali dell’archivio storico e di un ufficio comunale.
(pubblicato su "Murganzio" il 26/6/2008
Era già molto vecchio, obsoleto, con le sedie sporche e in gran parte rotte, esposto a continui furti. Ma c’era.
Ancora oggi non si sa quali furono le cause dell’incendio e neppure se, nell’eventualità di una ricostruzione, ci si dovrà attenere a riprodurre l’esistente o ci sarà la possibilità di approfittarne per una diversa ripartizione interne, non si sa neanche se da qualche parte, a Palermo, Roma, o Bruxelles, sarà possibile accedere a finanziamenti. Insomma, non si sa niente.
Forse è noioso ripetere come una comunità per crescere culturalmente abbia bisogno delle occasioni di incontro e di confronto. Forse è inutile ricordare che grazie alla disponibilità dell’ex lavatoio, pur così vecchio e inadeguato, per oltre un ventennio si sono tenute decine e decine di iniziative culturali, politiche, artistiche, che senza di esso non avrebbero mai visto la luce. Ma credo possa avere un significato ricordare che in questa città, nel dopoguerra, ci sono state quattro manifestazioni seriali, che hanno avuto ed hanno una forte proiezione esterna. La prima, meritatamente indimenticata e che ha portato un prestigio illimitato alla città, fu il Premio Lentini, anche se si svolse, negli anni ’60, solo per tre edizioni; la seconda, anche questa molto prestigiosa e che ormai ha superato il ventennio di vita e le 13 edizioni, è il premio di poesia dialettale organizzato dal Kiwanis Club e intestato a Ciccio Carrà Tringali; la terza è il Premio “Pisano Baudo” organizzato dall’Archeo Club, a partire dal 1991 e giunto alla diciassettesima edizione; la quarta è quella del San Valentino in Poesia, ormai all’undicesima edizione.
Quattro iniziative di questo genere in una città tutto sommato molto vivace dal punto di vista artistico e culturale forse sono poche, ma esse sono nate grazie ad una condizione essenziale: la disponibilità di un luogo che sia prevedibilmente disponibile anche per le edizioni future e che sia considerato “pubblico” sia da chi organizza che dalla cittadinanza. Chiunque dev’essere autorizzato ad entrare. Questi requisiti li avevano sia la Biblioteca Comunale di via Arrigo Testa, da cui ebbe l’avvio il Premio Lentini, sia l’ex lavatoio comunale, che permise la nascita del Premio Carrà Tringali, del premio “Pisano Baudo” e del San Valentino in poesia.
Da quasi un anno, in una città di venticinquemila abitanti, non c’è nessuna struttura con queste caratteristiche.
Il Comune oggi è in grado di mettere a disposizione della collettività solo una saletta di una quarantina di posti, inaccessibile alle persone disabili, raggiungibile con difficoltà per gli anziani e per di più negli stessi locali dell’archivio storico e di un ufficio comunale.
(pubblicato su "Murganzio" il 26/6/2008
mercoledì 25 giugno 2008
Mostra di lava e ceramica a Motta Camastra
Motta Camastra ha ricevuto il dono dei paesaggi: da ogni via, da ogni piazza, da ogni abitazione, da ogni finestra è possibile godere di viste straordinarie: i boschi, l’Alcantara, la Vallata, i paesi attorno al fiume. Ma c’è una presenza, tra la sterminata bellezza che la natura offre allo sguardo dei mottesi, che va oltre la sua stessa incomparabile maestà: è l’Etna, immobile, eterna, severa, ma sempre diversa. L’Etna cambia colore e luce con il cambiare delle stagioni, con il cambiare del tempo metorologico, col cambiare delle ore e del vento, ma anche con l’umore e lo stato d’animo di chi la guarda. Quante foto, quanti dipinti, quante poesie, riflessioni, pensieri ha ispirato!
Non potevano i Mottesi non ricordarsi dell’Etna e del suo frutto, la lava, in occasione delle manifestazioni finalizzate alla valorizzazione e alla promozione del territorio.
Ecco il motivo per cui si fa una mostra mercato delle produzioni artistiche e artigianali realizzate con la lava. Un omaggio alla Sicilia e all’Etna, ma anche a un popolo creativo e tenace, fantasioso e gioioso che lavora, leviga, taglia, incide, dipinge, ricopre di colore e di segni la pietra nera eruttata dalla Grande Signora. Ed un regalo ai visitatori di buon gusto.
(Pubblicato su "Al Qantar")
Non potevano i Mottesi non ricordarsi dell’Etna e del suo frutto, la lava, in occasione delle manifestazioni finalizzate alla valorizzazione e alla promozione del territorio.
Ecco il motivo per cui si fa una mostra mercato delle produzioni artistiche e artigianali realizzate con la lava. Un omaggio alla Sicilia e all’Etna, ma anche a un popolo creativo e tenace, fantasioso e gioioso che lavora, leviga, taglia, incide, dipinge, ricopre di colore e di segni la pietra nera eruttata dalla Grande Signora. Ed un regalo ai visitatori di buon gusto.
(Pubblicato su "Al Qantar")
I Sikania
Venerdì 27 giugno al Glamour, il ristorante pizzeria di contrada Sabbuci, accanto alla piscina e tra gli ulivi, ha ospitato un concerto dei Sikania. La performance è stata seguita da un pubblico attento ed entusiasta, e così numeroso da sottoporre a durissima prova la stessa organizzazione.
Il gruppo dei Sikania è abbastanza noto emolto apprezzato a Lentini e nei comuni viciniori, ma la loro bravura e al loro spessore artistico non è certamente da ambito locale. Prendendo linfa, ispirazione e motivazioni dal grande ceppo dei canti tradizionali siciliani e mediterranei, la musica dei Sikania evolve per diventare canzone d'autore post folclorica. Le composizioni di Massimo Gullotta, autore anche dei testi (talvolta con la collaborazione di Luisa Zarbano) e le rielaborazioni di alcuni classici di Modugno, Battiato, Buttitta, Balistreri, Formisano sono prodotto artistico raffinato e colto e creano atmosfere di grande fascino, di suggestioni, di incantamento. Bruno Massimo Gulotta è lo sciamano che raccoglie gli ingredienti per le sue geniali pozioni magiche (pardon, composizioni) nel vissuto e nei sentimenti, nella storia e nella sofferenza, nelle speranze e nel calore del popolo siciliano, che conosce il mistero del respiro più profondo della sua isola; che sa condurre l'ascoltatore ad inaspettati viaggi sentimentali verso la propria anima. Luisa Zarbano è la straordinaria interprete in-cantatrice dalla voce possente, calda, vibrante e dalla presenza gioiosa e accattivante. Una pifferaia magica in grado di cambiare, con la sua voce, i colori del mondo. La voce ora drammatica, ora gioiosa degli struggenti brani che narrano di vita e d'amore, di dolore e rimpianto, di sconfitte e voglie di riscatto, di storie individuali e collettive mai superficiali, mai banali, mai convenzionali. A completare il gruppo, tre musicisti, tutti lentinesi, di notevole esperienza, ancorché giovani, e grande sensibilità, che hanno saputo entrare con facilità e convinzione mondo musicale "gullottiano", apparentemente distante da quello giovanile: Luca Pattavina alla chitarra, Francesco Di Grazia al basso e Alessandro Borgia alla batteria.
(pubblicato su "Il Murganzio)
Il gruppo dei Sikania è abbastanza noto emolto apprezzato a Lentini e nei comuni viciniori, ma la loro bravura e al loro spessore artistico non è certamente da ambito locale. Prendendo linfa, ispirazione e motivazioni dal grande ceppo dei canti tradizionali siciliani e mediterranei, la musica dei Sikania evolve per diventare canzone d'autore post folclorica. Le composizioni di Massimo Gullotta, autore anche dei testi (talvolta con la collaborazione di Luisa Zarbano) e le rielaborazioni di alcuni classici di Modugno, Battiato, Buttitta, Balistreri, Formisano sono prodotto artistico raffinato e colto e creano atmosfere di grande fascino, di suggestioni, di incantamento. Bruno Massimo Gulotta è lo sciamano che raccoglie gli ingredienti per le sue geniali pozioni magiche (pardon, composizioni) nel vissuto e nei sentimenti, nella storia e nella sofferenza, nelle speranze e nel calore del popolo siciliano, che conosce il mistero del respiro più profondo della sua isola; che sa condurre l'ascoltatore ad inaspettati viaggi sentimentali verso la propria anima. Luisa Zarbano è la straordinaria interprete in-cantatrice dalla voce possente, calda, vibrante e dalla presenza gioiosa e accattivante. Una pifferaia magica in grado di cambiare, con la sua voce, i colori del mondo. La voce ora drammatica, ora gioiosa degli struggenti brani che narrano di vita e d'amore, di dolore e rimpianto, di sconfitte e voglie di riscatto, di storie individuali e collettive mai superficiali, mai banali, mai convenzionali. A completare il gruppo, tre musicisti, tutti lentinesi, di notevole esperienza, ancorché giovani, e grande sensibilità, che hanno saputo entrare con facilità e convinzione mondo musicale "gullottiano", apparentemente distante da quello giovanile: Luca Pattavina alla chitarra, Francesco Di Grazia al basso e Alessandro Borgia alla batteria.
(pubblicato su "Il Murganzio)
I Giampuliroti a Lentini
Sono pienamente consapevole che in poco spazio non è possibile esprimere compiutamente l’omaggio, l’ammirazione e la gratitudine ad una comunità “sorella” di quella lentinese, che a Lentini ha dato molto. Ma proprio qualche giorno fa c’è stata una ricorrenza, perciò questo mi sembra un buon momento per parlarne. La ricorrenza a cui mi riferisco è la festa della Madonna delle Grazie. La comunità è quella dei “giampilieroti”. Il legame tra la festa e la comunità credo lo conoscano tutti. Questa è la festa che quasi una quarantina d’anni fa fu introdotta a Lentini proprio dai nostri compaesani d’origine messinese. Si svolge l’ultima domenica d’aprile. Nel periodo in cui, finita la campagna agrumaria, i giampilieroti di allora, che venivano qua per lavorare, tornavano al loro paese. La Madonna delle Grazie è la Patrona di Giampilieri. Lasciando Lentini, quindi, andavano a ritrovarla. Il suo Santuario è a mezza costa su una collina dirimpetto al paese. Per giungervi bisogna fare mille scalini. Dopo sei mesi di lavoro massacrante, lontano da casa maschi e femmine, giovani ed anziane, vi salivano in pellegrinaggio per raccontarle le gioie e le sofferenze del trascorso inverno, le fortune e le sfortune della campagna agrumicola, gli incontri felici e le difficoltà di relazionarsi con la città ospitante, per mostrare i bambini nati da poco e per raccomandarle l’anima di chi li aveva lasciati, per pregarla di vigilare sul figlio partito militare o sulla figlia appena sposata, per ringraziala per avere fatto trovare i loro anziani genitori ancora vivi e per avere dato loro la salute. Eppure ebbero questo pensiero straordinariamente delicato, rispettoso di Lentini, oltre che della loro protettrice: il pensiero di ringraziare la Madonna anche qua, a Lentini, prima di lasciare il luogo del lavoro per altri sei mesi. Qua, davanti ai loro nuovi concittadini. Forse per insegnare loro come si prega e si ringrazia, forse per mostrare che la loro gratitudine era sincera, forse per donare a noi un po’ della loro anima. Allora, quando questa festa ebbe inizio, già molti di loro svolgevano qua un lavoro continuativo, slegato dalla stagione della raccolta e dalle attività connesse alla commercializzazione dell’arancia. E furono proprio questi un po’ più “lentinesizzati” a dedicare il loro tempo, molte risorse economiche, la loro devozione per fare nascere una chiesa per la loro Madonna, la Cristo Re, - ricordate? - all’inizio in un garage in piazza del Popolo per dare l’avvio a quella che ormai è una festa cittadina a tutti gli effetti. Sono tanti i nomi che andrebbero ricordati, ma certamente me ne sfuggirebbero troppi. Cito solo i signori Santo Scionti e Antonino Carbone, personaggi di straordinaria umanità e generosità, instancabilmente al servizio dei loro compaesani. La nascita della Chiesa Cristo Re, l’istituzione della Festa della Madonna delle Grazie e il nobile pensiero che li animò sono motivi più che sufficienti per guardare i nostri nuovi concittadini come parte integrante e insostituibile della nostra città Ma i giampiliroti ci hanno dato tanto altro cose anche sul piano pratico. A partire dal dopoguerra trovarono a Lentini la “piazza” adatta ad ospitarli e ad ospitare la loro esperienza commerciale. La loro epopea di coltivatori e commercianti di limoni, iniziata subito dopo l’Unità d’Italia, si interruppe bruscamente attorno al 1930, per una catastrofica epidemia, la gommosi, che colpì e distrusse i loro fiorenti limoneti di collina (ancora oggi è possibile vedere le tracce di terrazzamenti su declivi vertiginosi; dove, proprio da loro, fu scoperto il modo di produrre la varietà “verdello”). Da quel momento, per sopravvivere, divennero un popolo di “trasfertisti”, un popolo che si trasferiva dove c’erano agrumeti, per lavorare, per guadagnare di che vivere, ma anche per esportare la loro sapienza e la loro abilità nel commercio. A partire erano le famiglie intere e nei luoghi in cui si fermavano mantenevano la loro identità, i loro costumi, le loro tradizioni, il cordone ombelicale che li teneva legati a Giampilieri. Soprattutto mantenevano un fortissimo senso della famiglia e della solidarietà e una cultura del lavoro assolutamente unica. Il lavoro per loro era cosa sacra. Andava fatto al meglio delle proprie forze, con il massimo rispetto, senza lesinare sacrifici. Questo li portò ben presto ad affermarsi e a padroneggiare i mercati. Inventarono il “deposito”, la cui attività talvolta fu denigrata al punto da essere definita parassitaria. Il deposito divenne ben presto un supporto preziosissimo per il commercio e per i piccoli produttori. Era una banca delle arance. Quando il mercato frenava permetteva di raccogliere arance a rischio di caduta e conservarle per i momenti migliori, quando il mercato accelerava permetteva ai commerciati di trovare immediatamente la merce occorrente; quando si verificavano lunghi periodi di piovosità permetteva di mantenere gli impegni con i mercati del nord e di non perdere la clientela. Se Lentini visse quel grande periodo di ricchezza, da cui scaturirono le condizioni per uno slancio culturale rimasto nella storia della città (il Centro Studi, il Premio Lentini, il Ponte, ecc.) buona parte del merito si deve anche a quegli ingegnosi commercianti, ai “mastri” di magazzino e alle loro famiglie. Oggi molti dei loro figli sono lentinesi a tutti gli effetti e sono parte attiva, positiva e propositiva della città. Tanti svolgono le attività dei loro padri, ma ancora di più sono i professionisti, gli insegnanti, gli impiegati, gli agricoltori, gli artigiani e negozianti. Ora i cognomi Restuccia, Carbone, Pantò, Aloisi, Scionti, Micale, Panarello, Zagami, Manganaro, Rizzo, Locondro, Grimaldi, Maimone, Sorrenti non suonano più “forestieri”. Ma loro, per fortuna, mantengono forte anche gli insegnamenti dei loro padri.
(pubblicato su "Murganzio)
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